Il bombardamento di Amburgo

70 anni fa avvenne il più devastante attacco aereo nella storia d'Europa

La mattina del 28 luglio 1943, ad Amburgo, il sole sorse su una città completamente diversa rispetto alla sera precedente. Durante la notte, al culmine di un assalto che durava da tre giorni, 700 aerei inglesi avevano attaccato la città con bombe incendiarie. Erano riusciti a raggiungere l’obiettivo che gli strateghi del bombardamento fino ad allora erano riusciti soltanto a sognare: creare una tempesta di fuoco. Ventuno chilometri quadrati della città erano stati inceneriti, più di 50 mila persone erano morte asfissiate, soffocate o carbonizzate. Fu il più devastante bombardamento nella storia d’Europa, il secondo peggiore in tutto mondo – peggiore persino, in termine di perdite umane immediate, degli attacchi con bombe nucleari che avrebbero colpito Hiroshima e Nagasaki due anni dopo.

Distruggere le città, uccidere i civili
Negli anni Venti e poi negli anni Trenta, la tecnologia aeronautica militare aveva fatto molti progressi. Dagli aerei in legno e tela della Prima guerra mondiale, in grado di portare soltanto pochi chili di armi e munizioni – quelli del celebre Barone Rosso – si passò ad aerei corazzati, in grado di volare a migliaia di metri di altezza trasportando tonnellate di bombe. Di fronte a questi progressi, i generali delle neonate aeronautiche militari formularono teorie secondo le quali i loro nuovi aerei, trasportando tonnellate di esplosivo e di gas tossici sulle città nemiche, ben oltre la linea del fronte, avrebbero potuto, da soli, vincere le guerre.

Uno dei principali teorici fu un ufficiale italiano, Giulio Douhet, autore di un libro del 1921 che ebbe una vasta influenza: Il dominio dell’aria. Secondo Douhet, per sfruttare al meglio le nuove tecnologie, un paese avrebbe dovuto colpire per primo in modo da anticipare il colpo dei suoi nemici. I suoi bombardieri, volando al di là della portata delle difese nemiche, avrebbero dovuto distruggere le città, le fabbriche e piegare il morale della popolazione. Le classi operaie, a quel punto, si sarebbero ribellate al governo e il paese bersaglio sarebbe piombato nell’anarchia. In poco tempo il nemico sarebbe stato costretto ad arrendersi per non dover affrontare un ritorno al Medioevo a causa dei bombardamenti.

Di fronte a questo tipo di minaccia, sostenevano i teorici di quello che venne battezzato “il bombardamento strategico”, gli stati nemici sarebbero capitolati molto più in fretta e bagni di sangue come la Prima guerra mondiale sarebbero stati per sempre evitati. Per quanto queste teorie non fossero condivise da tutti, molti stati investirono nello sviluppo di forze aeree dotate di armi in grado di raggiungere le città nemiche e raderle al suolo.

La Seconda guerra mondiale
La prima città ad essere sottoposta a un trattamento del tipo teorizzato nel decennio precedente fu Varsavia, attaccata dagli aerei tedeschi il 25 settembre del 1939. La Polonia, invasa poche settimane prima, era già stata sconfitta e la distruzione di Varsavia non rappresentò che una parentesi nella sua conquista da parte dell’esercito tedesco e sovietico. Per vedere una conferma o una smentita delle proprie tesi, i teorici del bombardamento dovettero attendere l’estate successiva, quando l’aviazione tedesca spostò la sua offensiva dalle basi aerei nel sud dell’Inghilterra alla città di Londra. Durante quello che venne chiamato il Blitz, dal settembre del 1940 al maggio del 1941, Londra venne bombardata per 71 volte da centinaia di aerei. La popolazione però non insorse contro il governo, i danni furono tutto sommato contenuti e il Regno Unito non ritornò al Medioevo.

L’insuccesso tedesco non scoraggiò i generali dell’aviazione britannica e gli altri teorici del bombardamento come arma risolutiva della guerra. La campagna tedesca era stata portata avanti per un periodo di tempo limitato e con mezzi inadeguati, come i bombardieri piccoli e medi, pensati per appoggiare le truppe in battaglia e non per distruggere le città. Il tipo di mezzi adatti per quel tipo di guerra era posseduto soltanto dal Regno Unito e dagli Stati Uniti e il loro utilizzo avrebbe presto rivelato se le teorie di Douhet erano corrette.

I bombardamenti della Germania
Il Regno Unito cominciò a bombardare le città tedesche per ritorsione nel 1940, ma fino al 1943 si trattò di attacchi limitati. Dal 1940 al 1942 furono sganciate sulla Germania circa 80 mila tonnellate di bombe. Nel solo 1943 sarebbero diventate quasi 200 mila. Nel 1944 avrebbero raggiunto il record di 900 mila tonnellate. Per quanto nei bollettini di guerra si parlasse sempre di bombardamenti a fabbriche o altri obiettivi militari, nei rapporti interni e riservati era chiaro che l’obiettivo dei bombardamenti alleati, e in particolare di quelli britannici che quasi sempre colpivano di notte, quando l’unico bersaglio possibile erano le grandi città, era proprio uccidere i civili, spaventare la popolazione e creare il maggior numero di sfollati possibile – il generale Arthur Harris, capo del Bomber Command, chiedeva spesso che si dicesse alla gente la verità e cioè che l’obiettivo dell’offensiva aerea era «la distruzione delle città tedesche e dei suoi abitanti in quanto tali» (secondo Harris bisognava dire la verità perché in essa non c’era proprio nulla di disdicevole).

Negli uffici strategici venivano studiati i metodi e le tattiche migliori per raggiungere efficacemente questi obiettivi. Ad esempio, era preferibile attaccare dopo giorni di tempo caldo e secco, in modo che le costruzioni di legno fossero più infiammabili. Bisognava sganciare prima bombe ad alto potenziale esplosivo che sfondassero i tetti delle case e rompessero le finestre e solo dopo passare a quelle incendiare, in modo che le case sventrate bruciassero più facilmente. Infine si poteva passare alle bombe a frammentazione a scoppio ritardato, che uccidevano pompieri e soccorritori, in modo da consentire agli incendi di espandersi.

Queste idee e numerose altre, insieme ad alcune imprevedibili coincidenze, contribuirono nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1943 a quello che i generali considerarono all’epoca il più riuscito di tutti i loro attacchi: la distruzione di Amburgo.

Il Bombardamento di Amburgo
Nel luglio del 1943 Amburgo era un importante centro industriale nel nord della Germania, con più di un milione e mezzo di abitanti. Nel porto erano situati anche i depositi e i cantieri navali dei sottomarini tedeschi, considerati un bersaglio molto importante. L’attacco venne pianificato dal Bomber Command della Royal Air Force, l’aviazione britannica – con una piccola partecipazione di aerei americani. Gli inglesi attaccarono di notte, gli americani di giorno.

L’operazione venne chiamata “Gomorrah”, cominciò il 24 luglio e terminò 8 giorni dopo. All’epoca fu il più grande attacco aereo mai organizzato e coinvolse più di 800 aeroplani: soltanto pochi raid nella storia sono arrivati a superare quel numero.

L’attacco andò secondo i piani. Le ondate di bombardieri che si succedettero sopra Amburgo a partire dal 24 luglio utilizzarono per la prima volta delle striscioline di alluminio che venivano sganciate dagli aerei e confondevano i radar della contraerea. Pochissimi aerei tedeschi decollarono per attaccare i bombardieri. Dopo un bombardamento preliminare, la sera del 27 luglio, tutto era pronto per quello che doveva essere l’attacco decisivo e 787 aeroplani decollarono dall’Inghilterra diretti su Amburgo.

I pathfinder, aerei dotati di un congegno radar che puntava verso il terreno, individuarono la città – dove le luci erano tutte spente per rendere più difficile l’identificazione – e la segnalarono ai bombardieri. Gli aerei attaccarono e riuscirono a scaricare 1.200 tonnellate di bombe in un’area residenziale molto ristretta, quasi completamente costruita in legno. Immediatamente scoppiarono centinaia di incendi. Le settimane precedenti erano state calde e secche, la condizione atmosferica ideale per il bombardamento.

Intorno alla mezzanotte i numerosi incendi che continuavano a formarsi cominciarono ad unirsi in un unico, gigantesco fuoco. L’incendio in breve divenne così grande che un aviatore disse che gli sembrava di guardare all’interno di un vulcano attivo. Questo calderone di fiamme, mano a mano che consumava tutto l’ossigeno della città, comincio a risucchiare aria verso il suo centro. Il vento raggiunse la velocità di un uragano e raggiunse i 240 chilometri all’ora. Vicino al centro dell’incendio la temperatura dell’aria era di 800 gradi. L’asfalto bruciava come fosse carta. Era la firestorm, la “tempesta di fuoco” che i generali inglesi cercavano da sempre di ottenere.

Buona parte delle persone che morirono in quell’attacco si trovavano in quel momento sotto la città, nelle migliaia di rifugi comuni e in quelli privati delle singole case. Pochi metri di terreno bastavano a garantire la salvezza da qualsiasi bomba, a meno del caso sfortunato di una bomba caduta direttamente sopra il rifugio. Il problema però non erano le bombe ad alto esplosivo: la tempesta di fuoco stava consumando tutto l’ossigeno sopra la città.

In alcuni rifugi, quando i soccorritori finalmente riuscirono a farsi largo, tutto sembrava tranquillo. Le persone erano sedute, avvolte nelle coperte, e sembravano dormire. Erano morti senza accorgersene, a causa dell’avvelenamento da monossido di carbonio. Dentro altri rifugi, decine di corpi giacevano a strati uno sopra l’altro, con le bocche premute contro le bocchette di aerazione. Spesso, nei rifugi più vicini al centro della tempesta di fuoco, i soccorritori erano in grado soltanto di stimare il numero dei morti perché non trovavano altro che strati di cenere.

Molti altri morirono per strada, nel tentativo di raggiungere i rifugi. Il vento era così forte da strappare le persone dalla strada e lanciarle nelle fiamme. L’asfalto era diventato vischioso e bollente, quando non era in fiamme, ed era pericoloso correrci sopra, per non parlare del rischio di inciampare e cadere. Il capo della polizia di Amburgo scrisse in un rapporto che le strade erano coperte da centinaia di corpi: «Madri con i figli, ragazzi, anziani, bruciati, carbonizzati oppure apparentemente integri e vestiti, oppure nudi […] giacevano in ogni posizioni, tranquilli apparentemente pacifici oppure contratti, l’agonia della morte impressa nei loro volti».

Dopo Amburgo
Il 28 luglio ci fu soltanto un piccolo attacco di disturbo, mentre la notte tra il 28 e il 29 altri 700 bombardieri britannici tornarono sulla città, ma per errore bombardarono l’area già colpita, senza riuscire a innescare una seconda tempesta di fuoco. Gli aerei, anche in questo caso intorno ai 700, tornarono ad attaccare ancora nella notte tra il 29 e il 30 luglio, l’ultimo attacco dell’operazione “Gomorrah”. Il maltempo impedì a quasi tutti gli aerei di raggiungere l’obbiettivo.

Quando i soccorritori tedeschi cominciarono a comprendere i danni e a scoprire le montagne di cadaveri, circa due terzi della popolazione di Amburgo – all’epoca un milione e 200 mila persone – lasciarono la città. I rapporti di quello che avevano scoperto le autorità di Amburgo erano così macabri che Hitler ordinò di censurare tutte le notizie. Albert Speer, all’epoca ministro degli armamenti, scrisse: «Amburgo suscitò in me il timore di Dio».

I generali britannici furono soddisfatti del successo e tentarono molte altre volte di ottenere un risultato del genere. In Germania ci riuscirono soltanto un’altra volta, a Dresda, nel febbraio del 1945. Gli americani ci riuscirono anche a Tokyo nel marzo del 1945 in quello che è passato alla storia come il più devastante attacco aereo della storia: nella tempesta di fuoco che distrusse un quarto della città morirono 100 mila persone. Ma contrariamente alle speranze dei generali, nessuno di questi attacchi portò alla fine della guerra. La Germania si arrese quando l’esercito sovietico conquistò Berlino e il Giappone soltanto dopo che venne ripetutamente sconfitto, isolato, assediato e colpito con due bombe nucleari. Per l’attacco di Amburgo nessun membro delle forze armate è mai stato processato.