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  • Venerdì 28 giugno 2013

L’uomo che ha inventato IKEA

La storia di Ingvar Kamprad, che dopo 40 anni tornerà ad abitare in Svezia: era andato via per le troppe tasse (e cosa c'entra il nazismo, e che vuol dire IKEA)

Mercoledì 26 giugno il fondatore di IKEA, Ingvar Kamprad, ha annunciato che prima della fine dell’anno tornerà ad abitare in Svezia, paese che aveva abbandonato quarant’anni fa per sfuggire alle alte tasse del paese. Kamprad, 87 anni, ha detto che andrà ad abitare in una tenuta agricola fuori da Älmhult, la cittadina del sud della Svezia in cui fondò il primo negozio di IKEA nel 1953.

Ai primi di giugno Kamprad aveva lasciato un importante posto nel consiglio di amministrazione di Inter IKEA Holding, mossa che era stata interpretata come un passaggio di consegne alla direzione del gruppo tra Kamprad e i suoi tre figli, da tempo impiegati con ruoli dirigenziali nella complessa struttura societaria di IKEA. Kamprad è rimasto comunque coinvolto nella direzione di IKEA, formalmente con il ruolo di consulente.

Kamprad tornerà quindi a pagare le tasse svedesi sul reddito, ma oltre a questo il suo trasferimento avrà poche conseguenze fiscali: il governo di centrodestra del Partito Moderato, al potere in Svezia dal 2003, ha abolito l’imposta patrimoniale sui più ricchi e da tempo Kamprad ha trasferito le sue quote in IKEA a fondazioni che hanno sede fuori dalla Svezia.

Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, in Svezia ci fu un grande dibattito quando miliardari come Kamprad e Hans Rausing, figlio del fondatore della società Tetra Pak, si trasferirono all’estero in aperta protesta contro gli aumenti di tasse sui cittadini più ricchi (Rausing vive oggi nel Regno Unito). E quella vicenda è solo un pezzo della più lunga e affascinante storia di Ingvar Kamprad, accanto all’impero economico e culturale che si è costruito.

La vita di Ingvar Kamprad
Kamprad è nato il 30 marzo del 1926 nella fattoria di famiglia a Elmtaryd, nel sud della Svezia, ed è cresciuto nel paesino di Agunnaryd. Entrambe le località entrarono nel nome della società che fondò a 17 anni per poter gestire un contratto per la fornitura di matite. IKEA, infatti, è una sigla che sta per Ingvar Kamprad Elmtaryd Agunnaryd: le radici svedesi sono evidenti nei colori del marchio – gli stessi della bandiera svedese – così come nella filosofia aziendale, che si rifà esplicitamente a quella degli abitanti dello Småland, la regione natale di Kamprad, famosa per il suo clima molto duro e il suo suolo poco fertile.

Cinque anni più tardi la nascita di IKEA, nel 1948, Kamprad fondò una società di ordini per corrispondenza che mandava i suoi pacchi con le consegne del latte del mattino. Kamprad seguiva un talento naturale: ha detto che il suo primo affare lo fece a cinque anni, comprando cento scatole di fiammiferi da una zia di Stoccolma e rivendendole con un piccolo margine di guadagno.

I veri affari con i mobili, che aveva aggiunto al suo catalogo alla fine degli anni Quaranta, cominciarono dopo aver comprato una fattoria semiabbandonata in cui produrli direttamente. La sua filosofia aziendale era estremamente semplice: tagliare i costi all’osso, non sprecare nulla, vendere a prezzi bassi. La sua idea ebbe successo, e nel 1953 comprò un piccolo negozio a Älmhult – il primo negozio IKEA – in cui poteva mostrare ai clienti la merce che vendeva per corrispondenza.

Il suo modo di fare affari gli attirò anche le inimicizie degli industriali del legno svedesi, che imposero un boicottaggio nei suoi confronti a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Pochi anni prima Kamprad aveva avuto l’idea che avrebbe fatto la sua fortuna: i mobili erano molto più economici da produrre e da trasportare se venivano venduti in pacchi compatti, smontati e da assemblare a casa.

In risposta agli attriti con i produttori svedesi, Kamprad si rivolse per i materiali a fornitori polacchi e tedeschi dell’est (un anno fa è emerso che alcuni di quei fornitori sfruttavano il lavoro forzato di prigionieri politici). Ha raccontato che, a causa dell’accompagnamento obbligato di tutti gli affari stipulati con la Polonia, è diventato un forte bevitore di vodka e per decenni ha avuto problemi di alcolismo.

A partire dagli anni Ottanta Kamprad ha cominciato a costruire una complessa rete societaria per evitare dispute ereditarie tra i suoi tre figli o la possibilità che IKEA venisse acquistata da qualcun altro. Il figlio maggiore Peter è il presidente di Ikano, la società che gestisce il capitale della famiglia ed è proprietaria di diversi punti vendita IKEA. Il secondo figlio, Jonas, è nel consiglio di amministrazione di Ingka, che è a sua volta proprietaria di IKEA Group (la società che si occupa più propriamente del commercio di mobili).

Poi c’è Inter IKEA, che è una società separata – di proprietà di una fondazione con sede in Liechtenstein – e che è la proprietaria del marchio e la holding principale del gruppo: tutti i negozi IKEA le pagano una piccola percentuale dei ricavi come diritti di sfruttamento del marchio. Dalla fine degli anni Ottanta, Kamprad ha lasciato alcune cariche importanti nelle varie società, mantenendo comunque lo stretto controllo delle attività.

Nel 1994 il quotidiano svedese Expressen pubblicò la notizia che, negli archivi di un militante neofascista, c’erano le prove dell’adesione di Kamprad al Nuovo Movimento Svedese, un gruppo neofascista e antisemita, tra il 1945 e gli anni Cinquanta. Kamprad mandò una lettera a 25 mila dipendenti del gruppo IKEA in tutto il mondo dicendo che il suo coinvolgimento nelle attività dei gruppi di Engdahl era stato un errore di gioventù: “una parte della mia vita di cui mi pento amaramente”, scrisse. Le idee filonaziste avevano qualcosa a che fare con il suo passato. Il nonno di Kamprad era di lingua tedesca e proveniva dai Sudeti, trasferendosi in Svezia alla fine dell’Ottocento: quando Hitler aveva occupato la regione nel nord della Cecoslovacchia, prima della Seconda Guerra Mondiale, la famiglia di Kamprad l’aveva vista come una liberazione.

Un’altra vicenda controversa in cui fu coinvolta l’azienda è di pochi mesi fa: un’indagine interna confermò le accuse contenute in un documentario svedese, secondo cui alcuni fornitori di IKEA in Germania Est e in Polonia a partire dagli anni Sessanta avevano sfruttato il lavoro forzato di prigionieri politici. La società pubblicò un comunicato di scuse ufficiali.

La filosofia di Kamprad
Forbes stima la fortuna personale di Kamprad in 3,3 miliardi di dollari (2,5 miliardi di euro), il che ne fa uno degli uomini più ricchi d’Europa. Altre classifiche lo mettono ai primi posti nella classifica mondiale considerandolo proprietario di tutta la società, idea che IKEA rifiuta. Ma il fondatore di IKEA è noto anche per la sua immagine di persona estremamente parsimoniosa – ha ammesso di essere “un po’ avaro” con il denaro – e totalmente dedicata alla sua società.

Tra i molti aneddoti su di lui, c’è il fatto che guida una Volvo 240 GL del 1993, oltre al fatto che indossa molto raramente un abito, mangia in ristoranti economici, non viaggia in prima classe. Lui stesso si è vantato di non essere più andato dal suo solito barbiere, dopo molti anni, perché ne aveva trovato un altro più economico, e una volta arrivò a una serata in cui doveva ritirare un premio in autobus e la sicurezza non lo voleva fare entrare.

È una questione di “buona leadership”, ha spiegato: se deve chiedere ai suoi dipendenti la massima attenzione a evitare gli sprechi e il massimo risparmio, sostiene, lui stesso deve essere il primo a dare l’esempio. «Se cominciassi a comprare cose lussuose, non farei altro che incitare gli altri a fare lo stesso. È importante che i leader diano un esempio. Sto attento alle spese che faccio per me e mi chiedo se i clienti di IKEA se le possano permettere». Questa filosofia emerge bene anche dalla quantità di massime con risvolti etici o sociali che sono contenute nella “Guida del venditore di mobili”, opera dello stesso Kamprad. Tra le massime ci sono “Lo spreco di risorse è un peccato mortale a IKEA”, “La felicità non è raggiungere un obiettivo ma essere sulla strada per farlo” e “Solo mentre si dorme non si fanno errori”.

Foto: STR/AFP/Getty Images