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  • Mercoledì 26 giugno 2013

Le due sentenze della Corte Suprema sui matrimoni gay

Arriveranno nel pomeriggio e molto probabilmente avranno conseguenze importanti negli Stati Uniti: di cosa si tratta

di Francesco Costa– @francescocosta

WASHINGTON, DC - JUNE 25: Gay rights activists hold flags outside the U.S. Supreme Court building on June 25, 2013 in Washington, DC. The high court convened again today to rule on some high profile decisions including including two on gay marriage and one on voting rights. (Photo by Mark Wilson/Getty Images)
WASHINGTON, DC - JUNE 25: Gay rights activists hold flags outside the U.S. Supreme Court building on June 25, 2013 in Washington, DC. The high court convened again today to rule on some high profile decisions including including two on gay marriage and one on voting rights. (Photo by Mark Wilson/Getty Images)

Nel pomeriggio di mercoledì 26 giugno, poco dopo le 16 ora italiana, la Corte Suprema degli Stati Uniti renderà note le proprie decisioni su due importanti ricorsi riguardo la legislazione sui matrimoni gay. Le sentenze sono molto attese perché possono cambiare notevolmente lo status legale e i diritti dei cittadini omosessuali americani e, soprattutto, perché possono avere conseguenze politiche tali da orientare il dibattito politico sul tema in futuro. I casi esaminati dalla Corte Suprema riguardano due leggi, una federale e una statale.

DOMA
Il quesito che riguarda la legge federale è quello sul cosiddetto “DOMA”, che sta per “Defense of Marriage Act”, una legge controversa approvata nel 1996, anno di una complicata campagna presidenziale, e sostenuta dall’allora presidente Bill Clinton: fu votata dal Congresso a larghissima maggioranza, sia dai democratici che dai repubblicani. La legge stabilisce che nel caso dei matrimoni gay venga meno il vincolo di reciprocità che lega gli stati americani: cioè il meccanismo che fa sì che ogni stato riconosca i titoli di studio, i documenti d’identità, i procedimenti giudiziari e lo status legale di tutti i cittadini, anche quelli degli altri stati.

Per capirci: se oggi un matrimonio eterosessuale stipulato in Alaska viene riconosciuto a New York, con tutto quello che questo comporta in termini di accesso al welfare e altri diritti, a causa del DOMA questo principio non vale per i matrimoni gay. La legge, inoltre, conteneva una definizione di matrimonio limitata alle unioni tra uomini e donne: il governo centrale, quindi, può parlare di matrimonio negli atti ufficiali riferendosi solo a quello eterosessuale.

La legge è parsa avere subito una dubbia costituzionalità e negli anni, mentre vari stati americani legalizzavano il matrimonio omosessuale, molte coppie hanno fatto causa agli stati che non riconoscevano i loro diritti: i giudici federali a volte hanno accolto le loro richieste, a volte no, finché la storia non è arrivata alla Corte Suprema. Per molti anni in tutte le cause del genere l’avvocatura dello stato ha sempre difeso la legge in questione. L’amministrazione Obama nel febbraio del 2011 ha deciso di interrompere questa pratica e di considerare la legge ingiusta e incostituzionale, schierandosi di fatto dalla parte di chi fa ricorso.

Proposition 8
A maggio del 2008 la Corte Suprema della California ha stabilito che il divieto per gli omosessuali di unirsi in matrimonio non rispetta la Costituzione della California, legalizzando di fatto per via giudiziaria il matrimonio gay in tutto lo Stato. Circa sei mesi dopo si è tenuto un referendum sul matrimonio gay, promosso dai contrari alla sentenza della Corte Suprema – la cosiddetta “Proposition 8” – e hanno vinto i Sì, cioè proprio i contrari. Il Congresso della California, recependo la volontà popolare, ha approvato quindi una legge che vieta i matrimoni gay, contraddicendo quanto aveva stabilito la Corte Suprema statale. Le domande sono: la volontà popolare può contraddire la volontà della Corte Suprema statale? Il divieto dei matrimoni gay è effettivamente incostituzionale?

La Corte Suprema si esprimerà su questi due punti, ed esiste la possibilità che se ne lavi le mani: che stabilisca che non è suo compito esprimersi su una faccenda locale. In questo caso, l’ultima parola sarebbe data dai tribunali statali californiani, che negli ultimi mesi hanno considerato invalida la legge frutto della Proposition 8: in quel caso in California i matrimoni gay tornerebbero a essere legali.

Se la Corte decidesse di esprimersi, invece, potrebbero esserci vari tipi di conseguenze. La Corte potrebbe stabilire che i divieti sul matrimonio gay sono incostituzionali secondo la stessa Costituzione degli Stati Uniti, di fatto rendendo i matrimoni gay istantaneamente legali in tutti gli Stati Uniti (possibile ma improbabile), oppure potrebbe limitare l’effetto della decisione alla California (scenario considerato il più probabile). Oppure potrebbe stabilire che quanto deciso con la Proposition 8 è valido, anche se contraddice la volontà della Corte suprema statale, di fatto mantenendo il divieto sui matrimoni gay in California (e rendendo politicamente più complicato sorpassare analoghi divieti negli altri stati americani).

La situazione oggi
Oggi i matrimoni gay sono legali in 12 stati americani. Il Minnesota è stato l’ultimo a legalizzarli dopo Connecticut, Massachusetts, Delaware, Iowa, Rhode Island, Maine, Maryland, Stato di Washington, New Hampshire, Vermont, New York.

foto: Mark Wilson/Getty Images