La storia di “Rosie the riveter”

L'immagine icona di patriottismi e femminismi è stata ripescata - e ritirata tra le proteste - da una pubblicità americana di prodotti casalinghi

di Rossella Quaranta

Per la sua nuova pubblicità negli Stati Uniti, la linea di prodotti per la pulizia della casa Swiffer ha riutilizzato – ricevendo diverse critiche, che hanno costretto la Swiffer a ritirarla – una famosa immagine dell’iconografia femminista: “Rosie the riveter” (letteralmente, “Rosie la rivettatrice”), con il fazzoletto rosso a pois bianchi legato in testa e la camicia da lavoro azzurra. Con la differenza che, mentre la Rosie originale venne usata durante la seconda guerra mondiale come simbolo delle lavoratrici impegnate in professioni faticose, tradizionalmente maschili («We can do it!», possiamo farlo anche noi, si leggeva nel fumetto sopra la ragazza, che intanto mostrava il bicipite destro), la Rosie di Swiffer tiene tra le braccia incrociate un moderno aspirapolvere.

La figura di “Rosie the riveter” prende il nome dal titolo di una canzone popolare americana del 1942 e nello stesso periodo diventò il simbolo della propaganda a favore del lavoro femminile in fabbrica negli Stati Uniti. Nel dicembre 1941, dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbour, le industrie avevano perso gran parte della manodopera maschile: gli uomini dovettero partire per la guerra proprio nel momento in cui gli Stati Uniti avevano più bisogno di produrre munizioni e armamenti. Il governo statunitense realizzò allora, con l’aiuto delle agenzie pubblicitarie, estese campagne per convincere le donne a lavorare come operaie. Venne creato il personaggio di “Rosie the riveter”, simbolo di tutte le lavoratrici che, con il loro contributo, stavano sostenendo il paese in guerra: ma la campagna era allora di stampo patriottico e solo indirettamente “femminista”.

Esistono almeno due diverse “Rosie”. Quella disegnata dall’artista Norman Rockwell per la copertina del 23 maggio 1943 del Saturday Evening Post (allora una delle riviste più vendute degli Stati Uniti, con 3 milioni di copie a settimana) ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica: mostrava un’operaia in pausa pranzo, con un martello pneumatico appoggiato sulle gambe, un’enorme bandiera americana alle spalle e il piede destro sul libro “Mein Kampf” di Adolf Hitler.

La “Rosie” tuttora più famosa – e quella ripresa dalla Swiffer – è però quella dei manifesti del 1942 commissionati a J. Howard Miller dalla società elettrica Westinghouse, con le maniche della camicia tirate su a mostrare il bicipite e lo slogan “We can do it!” in alto. In realtà all’epoca il poster venne visto pochissimo: rimase esposto due settimane all’interno di uno stabilimento Westinghouse, nel febbraio 1942, perché era stato pensato per tenere alto il morale delle lavoratrici in fabbrica, non per reclutare nuova manodopera. Ricomparve tra gli anni Settanta e Ottanta, diventando un’icona del movimento femminista.

Rosie-the-Riveter

Negli anni, sono circolate numerose ipotesi su chi avesse ispirato la figura di “Rosie”. La storia più accreditata è quella secondo cui Miller abbia preso a modello un’immagine dell’operaia 17 enne Geraldine Hoff Doyle, scattata in una fabbrica del Michigan da un fotografo della United Press. Geraldine lasciò quel lavoro appena due settimane dopo essere stata ritratta: aveva saputo che una collega si era rovinata le mani usando una pressa e temeva che un infortunio simile le impedisse di suonare il violoncello. Scoprì del poster soltanto nei primi anni Ottanta, quando – sfogliando una rivista – si riconobbe nel disegno. Una delle figlie raccontò ai giornali che i muscoli erano stati aggiunti da Miller: «Non aveva grandi braccia muscolose, era una ragazza affascinante. Tutto il resto, l’arco delle sopracciglia, le belle labbra e la forma del viso, è suo». Geraldine Hoff Doyle è morta nel 2010 a 86 anni.

Durante la seconda guerra mondiale, i media si interessarono alla vita delle operaie in chiave patriottica, alla ricerca della “vera Rosie”. Tra le tante storie raccontate dalla stampa in quel periodo spicca quella di Rose Bonavita-Hickey, una lavoratrice della General Motors che aveva totalizzato un record di 900 fori e 3.345 rivetti inseriti in un unico bombardiere, ricevendo una lettera di ringraziamento personale dal Presidente Roosevelt.

Il governo statunitense continuò a promuovere il lavoro femminile. Nel settembre 1943, tutti gli editori furono invitati a pubblicare storie su ogni possibile opportunità di lavoro femminile, non soltanto nell’industria bellica. La campagna coinvolse film, giornali e radio, mentre vennero diffusi circa 125 milioni di spot, sotto forma di manifesti e pubblicità a tutta pagina. Uno dei principali slogan recitava: «The more women at work, the sooner we win» (Più saranno le donne al lavoro e prima vinceremo).

swiffer

Nei giorni scorsi, la scelta della Swiffer di trasformare “Rosie the riveter” in una casalinga fiera del suo apparecchio a vapore per la sua nuova campagna ha generato discussioni e polemiche, soprattutto sui social network. La società ha quindi deciso di rinunciare alla campagna: «Siamo consapevoli di tutte le preoccupazioni e non è nostra intenzione offendere alcun gruppo in nessun modo. Stiamo lavorando il più velocemente possibile per intervenire ovunque l’immagine sia stata usata».