Le ultime su Emanuela Orlandi

Breve storia della ragazza che scomparve in Vaticano nel 1983, e sulla quale sono appena arrivate ennesime versioni e ipotesi

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
27-05-2012 Roma
Interni
Marcia per Emanuela Orlandi, organizzata dal fratello Pietro
Nella foto Un momento della manifestazione a p.zza S. Pietro durante l'Angelus del Papa

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
27-05-2012 Rome
March for Emanuela Orlandi
In the photo A moment of demonstration at S.Peter square
Foto Roberto Monaldo / LaPresse 27-05-2012 Roma Interni Marcia per Emanuela Orlandi, organizzata dal fratello Pietro Nella foto Un momento della manifestazione a p.zza S. Pietro durante l'Angelus del Papa Photo Roberto Monaldo / LaPresse 27-05-2012 Rome March for Emanuela Orlandi In the photo A moment of demonstration at S.Peter square

Quella di Emanuela Orlandi, la ragazza cittadina del Vaticano scomparsa a Roma il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni, è una storia ancora irrisolta e molto complessa, che successive indagini hanno via via legato a varie vicende italiane degli anni Ottanta e Novanta: all’attentato di Giovanni Paolo II, ai problemi della banca vaticana e alla banda criminale della Magliana. Nelle ultime settimane ci sono stati nuovi sviluppi investigativi: nel mese di aprile un uomo che sostiene di avere avuto un ruolo nel rapimento è stato interrogato per cinque volte dai magistrati.

Marco Fassoni Accetti e il flauto
Lo scorso 3 aprile la trasmissione Chi l’ha visto? ha mostrato in tv un flauto che potrebbe essere quello che Emanuela Orlandi aveva con sé il giorno della scomparsa. È stato trovato dopo una segnalazione, inizialmente anonima, sotto una formella raffigurante una stazione della Via Crucis in un ex stabilimento cinematografico De Laurentis di Roma: era avvolto in alcuni fogli di giornale uno dei quali del 29 maggio 1985 con un’intervista a Ercole Orlandi, il padre di Emanuela. La Procura ha acquisito il reperto e disposto una consulenza tecnica per la ricerca di eventuali impronte o tracce di saliva: il tempo stimato per le analisi sarà di un mese.

Ad aver indicato la posizione del flauto è stato Marco Fassoni Accetti, autore indipendente di cinema di 57 anni, che si è autodenunciato al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al pubblico ministero Simona Maisto. A loro, in una serie di interrogatori, ha raccontato che il sequestro Orlandi sarebbe stato organizzato da un gruppo che compiva operazioni segrete per conto di ambienti vaticani interessati a esercitare pressioni sulla Santa Sede. Ne facevano parte, oltre a lui, anche esponenti dei servizi segreti italiani e della banda della Magliana.

Intervistato da Chi l’ha visto? il 24 aprile, Fassoni Accetti ha sostenuto che la sparizione di Emanuela Orlandi vada legata a quella di Mirella Gregori, studentessa di 15 anni scomparsa da Roma il 7 maggio del 1983. E come entrambe siano connesse con l’attentato a Giovanni Paolo II  in piazza San Pietro il 13 maggio 1981. Fassoni Accetti ha dichiarato di aver partecipato direttamente all’ideazione e all’organizzazione logistica del sequestro Orlandi che, inizialmente, doveva essere solo «dimostrativo»: Emanuela avrebbe dovuto essere liberata dopo poco tempo, ma il piano fallì soprattutto a causa «dell’appello del Papa all’Angelus, il 3 luglio, che diede risalto mondiale al caso». Fassoni Accetti ha raccontato di come la ragazza abbia vissuto «in due appartamenti e in due camper», fino a dicembre 1983. Poi, «il gruppo la trasferì all’estero, nei sobborghi di Parigi», «dove potrebbe essere ancora viva».

Nonostante le molte perplessità emerse dai primi interrogatori (sul motivo che ad esempio avrebbe portato Marco Fassoni Accetti a parlare dopo 30 anni), il 27 aprile il Messaggero ha pubblicato un articolo che dimostra il suo coinvolgimento nel caso Orlandi: gli investigatori hanno infatti recuperato gli atti di una vecchia indagine in cui Marco Fassoni Accetti parla al telefono con la sua fidanzata. Lei, molto arrabbiata, dice: «Ora basta, ne hai fatte di tutti i colori, persino in quella storia di Emanuela Orlandi».

Alcune affermazioni di Fassoni Accetti sono già state verificate dagli inquirenti. La prima riguarda un episodio del 23 giugno 1983, 19 ore dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi e di cui Fassoni Accetti si è dichiarato responsabile: un pescatore, Carlo Lazzari, disse di aver visto «a valle del ponte della Magliana, alle 14.30, due giovani che si guardavano attorno con circospezione vicino a una Fiat 127, sopra la scarpata che sovrasta la sponda». Disse anche di averli visti spingere la macchina in mare e che sopra c’era una persona: «in quell’istante ho notato un braccio penzolare dal finestrino posteriore». Quell’auto fu cercata per settimane, ma non venne mai ritrovata. Fassoni Accetti ha dichiarato: «Era un sequestro sceneggiato, no? Non dimenticate che io sono un artista. E che con le scenografie, i manichini ho sempre lavorato…».

Fassoni Accetti avrebbe inoltre fornito la spiegazione di alcuni messaggi in codice contenuti in rivendicazioni e lettere spedite nel 1983: la linea telefonica 158 chiesta dai presunti rapitori direttamente con il Vaticano sta per 5 e 81, rispettivamente mese e anno dell’attentato al Papa. Inoltre, se alle 375 mila lire offerte a Emanuela il giorno della sua scomparsa per distribuire pubblicità si aggiunge due volte il numero 1, si ottiene 13-5-17, data dell’apparizione della Madonna di Fatima in Portogallo.

La scomparsa di Emanuela Orlandi
Il 22 giugno del 1983, Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, stava andando a scuola di musica al “Tommaso Ludovico da Victoria”, in piazza Sant’Apollinare. Arrivò con mezz’ora di ritardo e uscì verso le 19, in anticipo. Da una cabina telefonica chiamò a casa e alla sorella riferì di una proposta che le era stata fatta: 375 mila lire per distribuire pubblicità di prodotti cosmetici durante una sfilata. Questo fu l’ultimo contatto che Emanuela ebbe con la famiglia. L’ultima volta fu vista da una compagna di musica alla fermata dell’autobus 70 in via Panisperna, intorno alle 19.30. Il giorno dopo il padre di Emanuela ne denunciò la scomparsa all’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano.

Il primo luglio del 1983, a Roma vennero affissi 3mila manifesti con la foto di Emanuela e la parola “scomparsa”. Due giorni dopo, papa Giovanni Paolo II durante l’Angelus rivolse un appello ai rapitori di Emanuela Orlandi ufficializzando l’ipotesi del sequestro:

«Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela, 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso. Elevo al Signore la mia preghiera perché Emanuela possa presto tornare incolume ad abbracciare i suoi cari che l’attendono con strazio indicibile. Per tale finalità invito anche voi a pregare».

Alla scomparsa di Emanuela Orlandi venne collegata la sparizione di Mirella Gregori, avvenuta il 7 maggio 1983: Mirella aveva 15 anni e abitava in via Nomentana. Quel pomeriggio qualcuno citofonò a casa e lei scese dicendo alla madre che un amico di scuola e altri amici la stavano aspettando. Non tornò mai più: l’amico venne interrogato ma disse che quel giorno si trovava da tutt’altra parte.

Le rivendicazioni
Il 5 luglio arrivò una chiamata alla sala stampa vaticana: un uomo dall’accento anglosassone (e per questo chiamato “l’Americano”) disse di avere in ostaggio Emanuela Orlandi e richiese l’attivazione di una linea telefonica diretta con il Vaticano. Fu la prima di una serie di telefonate, lettere e rivendicazioni: nell’agosto 1983 da parte dell’organizzazione “Fronte Liberazione Turco Anti Cristiano Turkesh”, a settembre del gruppo “Phoenix”, l’anno dopo della “Nuova organizzazione musulmana per la lotta anticristiana” e del movimento nazionalista turco “Lupi grigi”.

Tutti i presunti sequestratori in cambio della liberazione di Emanuela, chiedevano la scarcerazione del terrorista turco Mehmet Alì Agca, responsabile dell’attentato a Giovanni Paolo II  in piazza San Pietro il 13 maggio 1981. Ma nessuno fornì una prova che concretamente tenevano in ostaggio la ragazza. Nel frattempo il Papa lanciò altri appelli (7 in totale) e il 20 ottobre 1983 il capo dello Stato Sandro Pertini rilasciò all’agenzia di stampa Ansa un’intervista dove chiedeva ai sequestratori di rilasciare “immediatamente” Emanuela.

Con la sentenza firmata il 19 dicembre 1997 dall’allora giudice istruttore Adele Rando si stabilì che il movente politico-terroristico fu “un’abile operazione di dissimulazione dell’effettivo movente del rapimento”. Nel frattempo Agca era tornato in patria e aveva ottenuto la grazia dal Presidente Ciampi il 13 giugno 2000. In un’intervista al Corriere della Sera di giugno 2012, la prima dopo la sua scarcerazione, disse che Emanuela era viva, e che «fu rapita soltanto per ottenere la mia liberazione. Tutte le altre ipotesi e speculazioni sono state inventate da personaggi malati, mitomani, paranoici».

La cosiddetta “pista di Bolzano”
Nel marzo del 1985, si aprì la cosiddetta “pista di Bolzano” basata sulla deposizione ufficiale di Josephine Hofer Spitaler, abitante della cittadina altoatesina di Terlano, che disse di aver visto arrivare su una macchina targata Roma una ragazza molto somigliante a Emanuela Orlandi, accompagnata da un uomo. Riferì anche che dopo tre giorni la ragazza fu prelevata e portata via su un’altra auto verso la Germania. La pista investigativa di Bolzano fu confermata anche dalla testimonianza di un’insegnante di musica, Giovanna Blum, che raccontò ai carabinieri di Bolzano di aver ricevuto una telefonata da una giovane che, parlando rapidamente, disse di essere Emanuela Orlandi, di trovarsi a Bolzano e di informare la polizia.

In questa vicenda fu coinvolto anche Rudolf von Teuffenbach, parente dei proprietari dell’appartamento, che lavorava per il Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) da Monaco di Baviera. Le persone indiziate, i proprietari dell’appartamento e Rudolf von Teuffenbach, furono interrogati dal giudice istruttore, ma risultarono “estranei ai fatti”: i primi due affermarono che i loro ospiti, quel giorno, erano dei familiari e Rudolf di Teuffenbach, in base alla testimonianza del suo segretario, risultò essere in servizio: non poteva dunque trovarsi a Terlano.

La banda della Magliana
Nel 2005, iniziò a costruirsi un’altra ipotesi, che portò, tre anni dopo, alla riapertura delle indagini. La redazione del programma Chi l’ha visto? ricevette una telefonata anonima in cui si stabiliva un legame tra il caso di Emanuela Orlandi e la banda della Magliana:

«Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare».

Nella cripta a Sant’Apollinare era sepolto Enrico De Pedis, detto “Renatino”, capo della banda della Magliana e morto in una sparatoria a Campo de’ Fiori il 2 febbraio 1990. La sua sepoltura in Sant’Apollinare fu autorizzata dal Vicariato di Roma dopo che monsignor Piero Vergari, rettore della basilica, scrisse una lettera in cui sosteneva che De Pedis in vita fu un benefattore dei poveri. L’autorizzazione fu poi sottoscritta dal cardinale Ugo Poletti, allora presidente della Cei.

Il possibile coinvolgimento della banda della Magliana nel rapimento di Emanuela, venne stabilito anche dalla testimonianza di un pentito. Nei giorni successivi alla scomparsa di Emanuela, la famiglia Orlandi ricevette una serie di telefonate da due uomini diversi (il primo diceva di chiamarsi Pierluigi, il secondo Mario). Entrambi riferirono di aver incontrato una ragazza di nome Barbara mentre, accompagnata da un’amica, vendeva cosmetici in centro. Le loro descrizioni sembrarono corrispondere a Emanuela. La telefonata di Mario del 28 giugno 1983 venne registrata. Nel febbraio 2006 uno degli esponenti della banda della Magliana, collaboratore di giustizia, Antonio Mancini, disse di aver riconosciuto nella voce di Mario uno della banda, soprannominato “Rufetto”. Le indagini della Procura della Repubblica però non confermarono le parole di Antonio Mancini.

Nel 2008 Sabrina Minardi, ex amante di De Pedis proprio in quegli anni, confermò il coinvolgimento della banda nel sequestro. Sabrina Minardi disse che il rapimento di Emanuela Orlandi venne eseguito materialmente da Enrico De Pedis, ma che il mandante fu monsignor Paul Marcinkus che all’epoca era presidente dello IOR, la banca vaticana. Sabrina Minardi spiegò le motivazioni del rapimento: «Renato, da quello che mi diceva, aveva interesse a cosare con Marcinkus perchè questi gli metteva sul mercato estero i soldi provenienti dai sequestri». E aggiunse: «Io la motivazione esatta non la so però posso dire che con De Pedis conobbi monsignor Marcinkus».

Dopo le dichiarazioni di Sabrina Minardi, Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa del Vaticano, scrisse:

La tragica vicenda della scomparsa della giovane Emanuela Orlandi è tornata di attualità nel mondo della informazione italiana.
Colpisce il modo in cui ciò avviene, con l’amplissima divulgazione giornalistica di informazioni riservate, non sottoposte a verifica alcuna, provenienti da una testimonianza di valore estremamente dubbio.
Si ravviva così il profondissimo dolore della famiglia Orlandi, senza dimostrare rispetto e umanità nei confronti di persone che già tanto hanno sofferto.
Si divulgano accuse infamanti senza fondamento nei confronti di S.E. Mons. Marcinkus, morto da tempo e impossibilitato a difendersi.
Non si vuole in alcun modo interferire con i compiti della magistratura nella sua doverosa verifica rigorosa di fatti e responsabilità. Ma allo stesso tempo non si può non esprimere un vivo rammarico e biasimo per modi di informazione più debitori al sensazionalismo che alle esigenze della serietà e dell’etica professionale.

Dopo la testimonianza di Sabrina Minardi, nel registro degli indagati furono iscritti tre membri della banda: Angelo Cassani, Gianfranco Cerboni e Sergio Virtù, l’autista che, sempre secondo la testimonianza di Sabrina Minardi, avrebbe caricato la ragazza in auto per portarla sul litorale dove poi sarebbe stata uccisa, chiusa in un sacco e gettata in una betoniera. Nelle indagini venne coinvolto per concorso nel sequestro di Emanuela Orlandi anche monsignor Piero Vergari, rettore di Sant’Apollinare all’epoca dei fatti, poi rimosso dall’incarico nel 1991.