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  • Giovedì 25 aprile 2013

I bambini kamikaze del Pakistan

Un video inquietante diffuso online pochi giorni fa sta facendo parlare di nuovo dei bambini reclutati, comprati o costretti a unirsi a gruppi terroristi

di Elena Zacchetti – @elenazacchetti

Il 21 aprile il sito LiveLeaks ha pubblicato un video che mostra le immagini dell’addestramento militare di alcuni bambini nella regione nordorientale pakistana del Waziristan, al confine con l’Afghanistan. Il video si può considerare autentico e affidabile: è stato ripreso nei giorni seguenti da molti altri siti di news, tra cui il Telegraph, e da siti di autorevoli centri di ricerca sul terrorismo, come Long War Journal. E racconta una storia che era già stata denunciata negli ultimi cinque anni dalle autorità pakistane e da molti giornali internazionali.

Il Long War Journal ha confermato che il video è stato realizzato in un campo di addestramento del Partito Islamico del Turkestan (PIT), un movimento terrorista che opera principalmente nella regione occidentale cinese dello Xinjiang e nelle repubbliche centroasiatiche. Il PIT è stato responsabile di diversi attacchi terroristici anche in Pakistan e in Afghanistan, dove ha dei campi di addestramento. In sovrimpressione in basso a destra si vede il logo di Islam Awazi, canale spesso utilizzato dal PIT per diffondere i video di propaganda. Nel video i bambini, che sembrano avere tra i 5 e i 10 anni, sparano da diverse posizioni con pistole, fucili AK47 e mitragliatrici.

Negli ultimi anni alcuni giornalisti, per lo più di CNNTelegraph, hanno riportato episodi e storie simili: utilizzando sistemi diversi, alcuni gruppi che hanno base in Pakistan reclutano – o comprano – bambini e ragazzini che vengono poi addestrati, a volte rivenduti e altre volte direttamente usati, per portare a termine attacchi suicidi o per eseguire materialmente attacchi contro autorità statali, forze politiche moderate o soldati stranieri presenti nel vicino Afghanistan. Le testimonianze di questo sistema sono state diverse: per lo più racconti diretti di alcuni ragazzini che sono stati arrestati, ma anche video diffusi su qualche sito o forum qaedista e poi ripubblicati online, e fotografie di bambini rinchiusi nelle madrasse pakistane, le scuole islamiche che in alcuni casi si sono dimostrate essere collegate ai talebani.

In Pakistan un numero rilevante di kamikaze ha tra i 12 e i 18 anni: secondo il giornalista pakistano Zahid Hussain, sarebbero addirittura il 90 per cento del totale di coloro che portano a termine attacchi suicidi. In un bellissimo documentario realizzato dal canale televisivo americano PBS Frontline World, “Children of Taliban“, il regista Sharmeen Obaid Chinoy intervistò il comandante talebano Qari Abdullah, che rivelò di avere reclutato bambini anche di 5, 6 e 7 anni (il documentario intero, realizzato per lo più nei distretti pakistani al confine con l’Afghanistan, si può vedere qui).

I ragazzi bomba
Il 13 gennaio 2012 il Telegraph riportò la testimonianza di Abdul Samat, 13 anni, originario della città pakistana di Quetta, sede di quella che era chiamata la “Shura di Quetta”, cioè l’organizzazione composta dai leader dei talebani afghani fuggiti dall’Afghanistan dopo l’invasione americana del 2001. Samat raccontò di essere stato reclutato dai talebani proprio a Quetta, e di essere stato portato a Kandahar, in Afghanistan, per portare a termine un attacco suicida contro i soldati americani. A Samat gli fu messo addosso un giubbotto bomba e gli fu spiegato che l’esplosione non lo avrebbe ucciso, perché Dio lo avrebbe risparmiato dal fuoco e dalle schegge. Pochi minuti prima di farsi saltare in aria, però, Samat realizzò che non sarebbe sopravvissuto all’esplosione: «Ho iniziato a piangere e urlare. Le persone venivano fuori dalle loro case e chiedevano cosa stava succedendo. Ho mostrato loro quello che avevo sotto il mio giubbotto. Si sono spaventati e hanno chiamato la polizia, che mi ha tolto la bomba da dosso».

Le forze di sicurezza afghane spiegarono che la storia di Samat non era per niente inusuale. Da qualche anno i talebani hanno iniziato ad usare, oltre alle donne, anche molti bambini e ragazzi giovanissimi per eludere i controlli nei checkpoint sparsi per l’Afghanistan e il Pakistan. La maggior parte di questi bambini, raccontò un funzionario dell’intelligence afghana, sono analfabeti e costantemente bambardati da una propaganda anti-occidentale e anti-afghana: «La cosa peggiore è che questi bambini non pensano che uccideranno loro stessi. Spesso gli viene dato un ciondolo contenente i versi coranici. I Mullah dicono loro, “quando questo esploderà tu sopravviverai e Dio ti aiuterà a sopravvivere al fuoco. Solo gli infedeli saranno uccisi, e tu i tuoi parenti vi salverete e andrete in paradiso”».

Un video pubblicato su YouTube il 20 febbraio 2011 mostrava alcune immagini provenienti, pare, da una scuola del sud-est dell’Afghanistan. Il video mostra alcuni bambini che ricreano le dinamiche di un attacco suicida: uno di loro abbraccia uno per uno i compagni, come se li stesse salutando per l’ultima volta. Poi il bambino finge di farsi saltare in aria, e con della sabbia simula l’esplosione di una bomba. Gli altri gli si avvicinano per riconoscere l’identità dei bambini a terra, che fingono di essere morti.

Il video, di cui non è possibile risalire alla fonte originale, era stato poi ripreso da alcuni siti britannici, tra cui quello del Telegraph. Salma Jafar, di “Save the Children UK” in Pakistan, disse al Guardian: «È orribile e allarmante. Questi bambini si stanno facendo affascinare da chi usa le bombe, al posto che condannarli».

Le madrasse pakistane
Uno dei sistemi di reclutamento dei bambini e ragazzi tra le fila della guerriglia talebana è quello delle madrasse, le scuole coraniche gratuite risalenti all’11esimo secolo, ma che si diffusero molto in Pakistan tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta. Sulla vicinanza delle madrasse ai talebani si è parlato e discusso molto nell’ultimo decennio: il 27 luglio 2011, l'”Institute for War & Peace Reporting” scrisse che le madrasse pakistane, soprattutto quelle del nord-est del paese, rimanevano la fonte primaria di reclutamento e addestramento per diversi gruppi terroristici. Le scuole coraniche legate all’indottrinamento di futuri terroristi sembrano comunque essere una piccola parte rispetto alla totalità delle madrasse del Pakistan.

Uno di questi gruppi terroristici, la cosiddetta “Rete Haqqani”, che ha la sua base nella regione del Waziristan pakistano e che nel settembre 2012 fu inclusa dall’amministrazione di Barack Obama nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere, avrebbe ampiamente recuperato giovani reclute dalle madrasse. Gul Khan, 10 anni, raccontò al Telegraph la sua esperienza nella scuola coranica che aveva frequentato: «Ogni giorno loro predicavano che avremmo dovuto legare le bombe ai nostri corpi e attaccare gli stranieri in Afghanistan». Le madrasse si sono dimostrate essere luogo privilegiato per il reclutamento anche perché, in alcuni casi, svolgono la funzione di “centri riabilitativi” per coloro che soffrono di dipendenza di droga e alcol: alcune famiglie decidono di mandare i propri figli, a volte giovanissimi, in queste scuole, rendendoli dei soggetti deboli e “a rischio” per il reclutamento svolto dai talebani.

Di queste madrasse si parlò molto nel dicembre 2011, quando la polizia pakistana trovò 53 studenti, tra cui anche ragazzini di 12 anni, rinchiusi e legati nella cantina di una madrassa nei pressi di Karachi, in Pakistan, e sottoposti a processi di disintossicazione di vario genere. Quella madrassa, dissero poi le autorità del paese, non sembrava legata alle attività dei talebani, ma le foto dei bambini rilasciate dalle agenzie internazionali mostravano chiaramente le condizioni di precarietà e debolezza a cui per anni i reclusi erano stati sottoposti.

La compravendita di bambini
Nel luglio 2009 CNN scrisse dell’esistenza di processi di compravendita di bambini tra famiglie pakistane e talebani. Il responsabile del traffico era Baitullah Mehsud, leader dei Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), organizzazione ombrello che raccoglie la maggior parte dei gruppi di talebani pakistani. Secondo gli analisti militari americani, Mashud negli anni precedenti aveva guidato fino a 5000 combattenti per portare a termine numerosi attacchi terroristici in Pakistan.

I bambini, una volta comprati, venivano venduti ad altri talebani a un costo tra il 6mila e i 12mila dollari ciascuno. L’allora portavoce dell’esercito pakistano, Akhtar Abbas, disse che le forze di sicurezza pakistane avevano intercettato alcuni messaggi tra diverse fazioni talebane in cui si trattava la vendita di persone per effettuare attacchi suicidi. Secondo Abbas, Meshud avrebbe ammesso di aver gestito un centro di addestramento per ragazzi giovani, preparandoli per attacchi suicidi. Meshud fu ucciso un mese dopo la diffusione del video ripreso da CNN, da un attacco organizzato dalla CIA nel Waziristan meridionale.

Il progetto dei “Sabaoon”
Il 27 marzo 2013 lo psicologo John Horgan, direttore dell’International Center for the Study of Terrorism, ha raccontato a CNN la storia del progetto “Sabaoon” (in Urdu, lingua del Pakistan, significa “primo raggio di luce dell’alba”): si tratta dello sviluppo di centri rieducativi, per lo più collocati nelle Aree Tribali di Amministrazione Federale (che sono conosciute con l’acronimo inglese FATA), ovvero quelle al confine con l’Afghanistan abitate dall’etnia pashtun, da cui partono molti attacchi in territorio afghano da talebani e qaedisti. Questi centri si rivolgono ai bambini e ragazzi che erano stati reclutati dai talebani pakistani e addestrati a tattiche di guerriglia e a diventare kamikaze. Horgan aveva appena compiuto un viaggio in Pakistan, nelle FATA, insieme alla collega Mia Bloom.

Horgan ha spiegato che “Sabaoon” si era reso necessario per riassorbire tutti quei bambini che, soprattutto dal 2008, erano stati reclutati nelle scuole talebane della zona e liberati dopo un’imponente controffensiva dell’esercito pakistano durata ben 18 mesi. Queste strutture, diverse dalle madrasse, avevano lo scopo preciso di fare il “lavaggio del cervello” e addestrare bambini e ragazzi a compiere atti suicidi.

Fino ad oggi “Sabaoon” ha accolto 118 studenti che stanno partecipando ai programmi di riabilitazione previsti dal progetto. Il tempo di permanenza nei campi di addestramento, ha spiegato Hargon, è da 6 mesi a 2 anni. Secondo le testimonianze raccolte da Horgan e Bloom, molti dei bambini reclutati non hanno potuto dire di “no” ai talebani, per paura di subire violenze ma anche per la minaccia di ritorsione sui famigliari. In altri casi sono state le stesse famiglie a consegnare i propri figli alle scuole dei talebani, in particolare quando non erano in grado di pagare l’enorme tassa che i talebani pretendevano, che arrivava ad essere anche il doppio della retribuzione annuale famigliare.

La maggior parte dei bambini che oggi si trovano nei centri “Sabaoon” ha raccontato di avere subito esperienze bruttissime nei campi di addestramento. I bambini erano costretti, oltre che a maneggiare armi e prepararsi per gli attacchi suicidi, a svolgere lavori umili e a rimanere rinchiusi in celle grandi 4 metri per 5. Alcuni hanno detto di essere stati picchiati e violentati. Anche per coloro che gestiscono i centri rieducativi è difficile stabilire l’età degli studenti: molti, infatti, non hanno un certificato di nascita e non conoscono la loro stessa età.