L’apertura della sede del Louvre ad Abu Dhabi doveva avvenire nel 2012. Poi nel 2013. Poi nel 2015. Il 12 aprile, il giornale francese Libération ha pubblicato un’inchiesta che ne annuncia il posticipo al 2016, con un articolo titolato: «Louvre Abou Dhabi, les mille et un ennuis», le mille e una noie, con un gioco di parole tra la parola “ennuis”, problemi, e la parola “nuit”, notte, per richiamare la celebre raccolta di novelle persiane.
La storia comincia il 7 marzo 2007, quando il Louvre di Parigi annuncia di voler associare il suo nome a un nuovo museo negli Emirati Arabi Uniti, con un accordo di 30 anni tra la città di Abu Dhabi e il governo francese. Il museo farà parte di un distretto culturale per il turismo di massa sull’Isola di Saadiyat (che in arabo significa “isola della felicità”) con centri di intrattenimento, hotel di lusso, campi da golf. Nell’area di 64 mila metri quadri, dedicata ai grandi nomi dell’arte mondiale, ci saranno anche altri musei: lo Sheihk Zayed National Museum, progettato da Foster and Partners e ideato da Norman Foster; il Guggenheim Abu Dhabi, che sarà il Guggenheim più grande del mondo e l’unico in Medio Oriente, progettato da Frank Gehry; un centro di arti performative e dello spettacolo, progettato da Zaha Hadid, e un museo marittimo di Tadao Ando.
L’accordo venne firmato da Renaud Donnedieu de Vabres, allora ministro della Cultura francese, e lo sceicco sultano Bin Tahnoon Al Nahyan. La Francia si sarebbe occupata della consulenza in materia di progettazione e costruzione dell’edificio, oltre che dello sviluppo del progetto scientifico e culturale del museo. Il Louvre Abu Dhabi, secondo il progetto, avrà in prestito le opere di alcuni musei francesi – 300 nel primo anno, 250 dal quarto anno e 200 dal settimo al decimo anno – e per quindici anni la Francia fornirà annualmente quattro mostre. Infine aiuterà il museo a creare una raccolta che andrà progressivamente a sostituire le opere dei francesi con una collezione propria. Gli Emirati Arabi Uniti, a loro volta, si sono impegnati a versare circa 700 milioni di euro in trent’anni, di cui beneficeranno i soci del Louvre (che è di proprietà pubblica per due terzi) e altri musei che partecipano all’operazione.
Per avviare questo accordo, la Francia ha creato una struttura specifica, l’Agence France-Muséums, i cui azionisti sono dodici istituzioni culturali francesi, tra cui alcune più volte criticate per l’amministrazione non sempre chiara dei beni. Fin dall’inizio il governo francese è rimasto fuori dalla transazione, anche se l’accordo dovrebbe essere intergovernativo. Nel 2011 la situazione è diventata critica: ignorando gli obblighi contrattuali, Abu Dhabi ha interrotto il pagamento della sua tariffa trimestrale. Il museo doveva aprire nel 2012 ma la gara d’appalto per il progetto di costruzione è stata affidata a una ditta spagnola soltanto quest’anno, a gennaio.
Il museo – a forma di astronave, o fungo atomico in esplosione, o medusa galleggiante sul mare – è stato progettato dall’architetto francese Jean Nouvel, si estenderà su una superficie di 24.000 metri quadri, con una cupola di 180 metri di diametro e con un costo di costruzione stimato tra 83 e 108 milioni di euro. La zattera di questa medusa, però, come quella del più celebre capolavoro di Théodore Géricault esposta nelle sale del Louvre di Parigi, ha rischiato più volte di affondare. La principale accusa che i museologi fanno ai francesi è aver tradito la specificità del modello francese, legata storicamente alle sue origini “rivoluzionarie” e basata sulla redistribuzione dei beni: mettendola brutalmente, sulla confisca dei beni ai ricchi (il clero, i reali, i militari) in favore dei poveri (il pubblico, il popolo, il paese).
A differenza dell’Inghilterra o della Germania, in Francia – come in Italia – la nascita dei musei è storicamente caratterizzata da una stretta relazione con lo Stato. Per questo non le si perdona – e questo succede anche in Italia – di prestare capolavori. Una “vocazione” totalmente diversa da quella statunitense e, nello specifico, del Guggenheim, che è considerato il padre del museo “capitalista”, centrato sul contenitore (è il primo museo al mondo firmato da un archistar, Frank Lloyd Wright) e sull’espansione in altri posti (Venezia, Bilbao, Berlino). Nasce però nel differente contesto americano, dalla collezione di un privato newyorkese che investe in arte contemporanea (ed educazione, nella visione del “museo tempio” della sua consigliera Hilla Rebay).