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  • Lunedì 13 febbraio 2012

Lo scandalo della telefonia mobile in India

La Corte Suprema ha revocato l'assegnazione di oltre 120 licenze a vari operatori, aumentando i timori degli investitori nel paese, scrive l'Economist

(AP Photo/Mustafa Quraishi)
(AP Photo/Mustafa Quraishi)

Negli ultimi giorni, in India, è tornato a fare notizia uno scandalo di circa un anno fa che era stato considerato uno dei più gravi nella storia del paese. La storia ha a che fare con le licenze di telefonia mobile di seconda generazione (2G) concesse a partire dal 2008, che sono state revocate la settimana scorsa a causa di irregolarità nella procedura pubblica di assegnazione. La Corte Suprema indiana, infatti, ha revocato le 122 licenze telefoniche assegnate nel 2008 a nove compagnie telefoniche che operano in India. Una vicenda che, come scrive l’Economist, ha aumentato notevolmente l’incertezza degli investitori nel mercato indiano. Gli operatori coinvolti da questa revoca potranno continuare a sfruttare le licenze acquisite nel 2008 per altri tre mesi abbondanti, poi si rifarà una nuova asta.

Ma questa nuova asta quale credibilità potrà avere? La sentenza ha rappresentato una nuova sconfitta per il governo del primo ministro indiano Manmohan Singh, che nel 2008 aveva il compito di supervisionare la concessione delle licenze sotto i prezzi di mercato. Secondo l’Economist, la sentenza dimostra quanto la situazione in India non sia confortante riguardo al contenimento della corruzione e trasparenza degi affari. Nella circostanza, le 122 licenze erano state vendute a privati e società locali per soli 2,7 miliardi di dollari. Queste le avevano rivendute direttamente ad altre compagnie per un ricavo totale di 36 miliardi di dollari. Lo Stato indiano, dunque, ha perso almeno 30 miliardi di dollari. In seguito a questo scandalo, alla fine del 2010 si era dimesso il ministro per le Telecomunicazioni, Andimuthu Raja, tuttora in carcere in attesa di processo.

Lo scandalo è ancora più grave se si pensa che il business della telefonia mobile è il più grande successo industriale della storia dell’India, ricorda l’Economist, nonché il secondo mercato più grande del mondo in questo settore. Tra 1994 e 2007, la concessione delle licenze era stata regolata in diversi modi, tra cui anche un cosiddetto “beauty contest”. Poi nel 2007, secondo le motivazioni della sentenza della Corte Suprema, “tutto è stato governato dallo Stato” indiano, che in pratica ha assegnato le licenze e cambiato le deadline dell’assegnazione a suo piacimento, avvertendo addirittura le società vincitrici delle licenze in anticipo rispetto alla comunicazione ufficiale. Tra l’altro, 13 delle 16 società che hanno ottenuto le licenze avrebbero “imbrogliato” sui loro bilanci.

Ora sei delle nove aziende coinvolte potrebbero fallire, anche perché è difficile che possano riavere i soldi indietro, se non un piccolo indennizzo. Per loro si parla di investimenti complessivi per circa 10 miliardi di dollari, denaro ormai in gran parte perduto. Una nuova asta dovrà avere quindi regole molto più ferree, soprattutto in materia di antitrust, scrive l’Economist. La Vodafone indiana, infatti, starebbe già sfruttando questa sentenza per allargare la sua influenza già molto estesa in India, se si pensa che è la seconda compagnia del Paese, con il 22 per cento del mercato. La prima è l’indiana Bharti Airtel che, come Vodafone, non è stata toccata dalle revoche delle licenze.

nella foto, l’ex ministro per le Telecomunicazioni indiano Andimuthu Raja arrestato (AP/Mustafa Quraishi)