Gli scienziati si ribellano alle riviste scientifiche

Cresce il boicottaggio contro Elsevier, uno dei principali e più controversi editori di pubblicazioni specializzate

di Massimo Sandal

This Thursday, Dec. 29, 2011 photo shows the entrance to the editorial offices of the New England Journal of Medicine in Boston. Unhappy with today's health care? Think of what it was like to be sick 200 years ago. No stethoscopes, antibiotics, X-rays or vaccines. Bloodletting was a common treatment. If you had a heart attack or a stroke, doctors put you in bed and hoped for the best. Into this medical dark age, two Boston doctors brought a beacon of light. Two centuries ago, they started what is now the New England Journal of Medicine with the idea that science should guide care medical treatment. (AP Photo/Michael Dwyer)
This Thursday, Dec. 29, 2011 photo shows the entrance to the editorial offices of the New England Journal of Medicine in Boston. Unhappy with today's health care? Think of what it was like to be sick 200 years ago. No stethoscopes, antibiotics, X-rays or vaccines. Bloodletting was a common treatment. If you had a heart attack or a stroke, doctors put you in bed and hoped for the best. Into this medical dark age, two Boston doctors brought a beacon of light. Two centuries ago, they started what is now the New England Journal of Medicine with the idea that science should guide care medical treatment. (AP Photo/Michael Dwyer)

Non lo sa nessuno, ma ognuno di noi, quando paga le tasse, paga due volte per la ricerca scientifica. In breve, funziona così. Si paga la prima volta per finanziare la ricerca direttamente – stipendi, materiale per i laboratori. Quando una ricerca giunge a una conclusione, i metodi e i risultati vengono pubblicati dalle riviste specializzate, dopo un processo di peer review – ovvero, di revisione e commento da parte di altri ricercatori. Tali pubblicazioni sono fondamentali: sono l’unica “prova” ufficiale della paternità di una ricerca, ed è il loro numero e la loro qualità l’unica cosa che conta ai fini della carriera di un ricercatore.

Una volta pubblicato, si paga la seconda volta. Già, perché se i ricercatori vogliono leggere gli articoli dei loro colleghi – e quindi rimanere aggiornati – devono pagare gli abbonamenti alle riviste (tramite le biblioteche universitarie e dei centri di ricerca). Come riassume Brett S. Abrahams, professore di genetica all’Albert Einstein College of Medicine:

“Il governo paga me e altri scienziati per produrre articoli, che diamo gratis per la pubblicazione ad aziende private. Dopo di che, queste ci fanno pagare per leggerli”

Questo sistema è nato in un’epoca in cui tipografare e stampare una rivista aveva dei costi non indifferenti. Che senso ha oggi, in un’epoca in cui chiunque può creare un file PDF e metterlo online, immediatamente disponibile a chiunque?

Gli editor delle riviste specializzate, infatti, ormai non fanno quasi nulla. Non dovete immaginare queste pubblicazioni come delle normali riviste “da edicola”: tranne che in casi eccezionali esse non hanno editoriali, non hanno una vera redazione nè dei giornalisti. Sono meri contenitori di articoli tecnici, scritti da accademici, che non vengono pagati dalle riviste su cui pubblicano (a volte si paga addirittura anche per scriverlo, l’articolo: molte riviste chiedono soldi in caso uno voglia pubblicare immagini a colori o sforare il limite di pagine per articolo). La peer review è gratuita: è un servizio volontario che ciascun ricercatore fa per i propri colleghi. Quanto al lavoro tipografico, ormai tutti gli editori forniscono dei template da riempire, e gli autori devono quindi inviare alla rivista i file già quasi completamente formattati. Tutto ciò che fa l’editore è fornire il server da cui scaricare gli articoli, stampare qualche copia per le biblioteche che chiedono il cartaceo, e raccogliere i soldi degli abbonamenti.

La comunità scientifica da anni sta provando a reagire. I fisici e i matematici hanno fondato fin dal 1991 il database arXiv (pronunciato come “archive”), dove si possono caricare e scaricare gratuitamente i propri articoli prima che questi vengano sottoposti a peer review e quindi pubblicati ufficialmente. In questo modo la diffusione aperta è garantita, ma un articolo su arXiv non ha  purtroppo valore dal punto di vista della carriera, per cui contano esclusivamente le pubblicazioni ufficiali. Varie associazioni accademiche no-profit, come Public Library of Science e BioMed Central, hanno fondato riviste ufficiali open access,  ovvero i cui articoli sono liberamente accessibili su Internet gratuitamente.

Gli editori a pagamento, però, fanno ancora la parte del leone, e consapevoli del loro ruolo fondamentale per le carriere e il lavoro di migliaia di accademici in tutto il mondo non si sono fatti scrupolo nello spremere economicamente le biblioteche universitarie. La Association of Research Libraries, un’associazione di biblioteche scientifiche americane, ha valutato che il costo delle riviste specializzate è aumentato del 260% tra il 1986 e il 2003 – mentre i prezzi medi degli altri generi di consumo sono aumentati solo del 68%. L’abbonamento di una biblioteca a un singolo mensile specializzato può costare tranquillamente dai 5.000 ai 20.000 dollari ogni anno.

Il 21 gennaio Timothy Gowers – un matematico dell’Università di Cambridge e vincitore della Medaglia Fields (l’equivalente del premio Nobel nel campo della matematica)- ha scritto sul suo blog:

“Può sembrare assurdo che questa situazione sia andata avanti fino adesso. Dopo tutto i matematici e gli altri scienziati se ne lamentano da molto tempo. Perché non possiamo dire alla casa editrice Elsevier che non vogliamo più pubblicare con loro?
Beh, parte della risposta è che possiamo.”

Reed Elsevier è un gruppo editoriale olandese che, tra le altre cose, controlla un quarto delle pubblicazioni scientifiche mondiali – circa 2000 testate tra cui Lancet , la principale rivista specialistica di medicina. Nel 2010 il suo fatturato era di 6 miliardi di sterline -poco più del doppio di Facebook. Gowers spiega sul suo blog che:

“1. Le loro riviste hanno tariffe esorbitanti
2. Vendono gli abbonamenti sotto forma di grossi “pacchetti”, per cui o le biblioteche comprano dei pacchetti contenenti anche molti giornali-spazzatura, oppure niente -e se una biblioteca cerca di contrattare, ne tagliano immediatamente l’accesso.
3. Supportano leggi come SOPA, PIPA e il Research Works Act [una proposta di legge per penalizzare l’open access nella ricerca americana, n.d.r.] che vogliono restringere ulteriormente il libero scambio di informazioni”

E infine scrive:

“Non solo mi rifiuto da ora in poi di avere a che fare con le riviste di Elsevier, ma lo dico chiaro e tondo in pubblico. Non sono certo il primo a farlo, ma più di noi lo faranno, più diventerà accettabile”

E il resto della comunità accademica l’ha appoggiato. Pochi giorni dopo era nata la petizione The Cost of Knowledge – che conta già più di 3000 firmatari in tutte le discipline scientifiche, tra cui numerosi altri vincitori della Medaglia Fields – per il boicottaggio di Elsevier. I blog scientifici hanno rilanciato la petizione: tra gli altri l’ha raccolta Sean Carroll, uno dei più noti astrofisici e divulgatori americani, e il biologo e agguerrito blogger P.Z.Myers ha titolato esplicitamente un suo post “Morte a Elsevier!”. L’iniziativa sta investendo anche i ricercatori nelle discipline umanistiche: il blog Crooked Timber, su cui scrivono numerosi filosofi contemporanei, ha diffuso la petizione.

Non è solo questione di soldi. Il fisico John Baez sul suo blog ricorda altri problemi con al centro Elsevier. Nel 2008 l’editore olandese era stato al centro di polemiche a causa della rivista Chaos, Solitons and Fractals, che secondo molti era considerata solo un mezzo per pubblicare gli articoli (giudicati di dubbia attendibilità) del suo caporedattore – la cosa finì in una causa del caporedattore alla rivista Nature, colpevole di aver diffuso la polemica.  L’anno dopo Elsevier ha dovuto ammettere che aveva creato ben sei riviste scientifiche fasulle, che servivano solo a dare credibilità a report scritti e finanziati dalla casa farmaceutica Merck. E già nel 2007 il British Medical Journal ha pubblicamente condannato Elsevier per il suo ruolo di organizzatore di manifestazioni fieristiche per l’industria degli armamenti – fiere dove si vendevano anche bombe a grappolo e attrezzi di tortura.

Finora Elsevier ha reagito debolmente. Il vicepresidente Thomas Reller ha ammesso di aver gonfiato i prezzi negli anni ’80 e ’90, ma dice che ora “sono diventati dei buoni cittadini” della comunità editoriale e che la protesta si basa più su di una reputazione passata che sul comportamento presente. Dice anche che non è vero che gli abbonamenti siano solo sotto forma di pacchetti – ma Timothy Gowers replica che in questo caso i prezzi degli abbonamenti alle singole riviste diventano talmente alti da essere impraticabili. In ogni caso, la casa editrice rifiuta di svelare i dati precisi dei prezzi delle sue pubblicazioni, dicendo che questi sono contrattati privatamente con ciascuna istituzione.

Ma non è solo una questione dei prezzi di Elsevier: è tutto il modello editoriale a pagamento che è in gioco. Il promotore della petizione ha dichiarato che “Elsevier non è l’unico editore ad avere politiche discutibili – è solo il peggiore” e fa notare che utilizzare siti web aperti invece di riviste a pagamento sarebbe “molto più conveniente e altrettanto efficace”. C’è chi si chiede infatti perché limitarsi a Elsevier, e chiede un boicottaggio generale degli editori a pagamento in favore di quelli open access, liberamente accessibili dagli scienziati e dal pubblico che li finanzia, in egual misura. Comunque vada a finire la protesta, sembra sempre più chiaro che per la comunità scientifica sia questa la via da seguire.

(AP Photo/Michael Dwyer)