Che cos’è il default

Quando succede e quando è successo negli ultimi anni: breve guida per orientarsi in quello che non dovrebbe succedere

Si chiama default di uno Stato la condizione in cui il governo di un paese non è in grado (oppure, più raramente, si rifiuta) di pagare in tutto o in parte il proprio debito. Solitamente il fatto non è improvviso, ma è preceduto da un periodo di difficoltà (una crisi del debito) come quello che sta attraversando la Grecia. Durante le crisi del debito aumenta la pressione dei creditori per prendere misure economiche adeguate, e in passato il default di uno stato nazionale ha causato anche l’invasione da parte del paese creditore: così ha fatto il Regno Unito nel 1882, quando ha invaso l’Egitto, e nel 1876, quando occupò la capitale turca Istanbul.

È raro che un paese non paghi tutto il proprio debito, che è sempre diviso tra creditori stranieri e creditori cittadini dello Stato, e che non è mai interamente formato dai titoli di Stato. È più probabile che un paese avvii trattative con i propri creditori per arrivare a una cosiddetta ristrutturazione del debito: ovvero la promessa che pagherà una parte minore del dovuto e/o dopo un intervallo di tempo maggiore. Queste misure sono già state prese nel caso della Grecia, anche se nell’attuale crisi lo Stato greco non ha finora mai mancato una scadenza di pagamento.

Nella storia, i fallimenti hanno avuto cause molto varie, come guerre, crollo improvviso dei prezzi dei beni, o un accumulo troppo alto di debito nel corso del tempo. Dal punto di vista finanziario, invece, i segnali d’allarme sono un rialzo eccessivo dei tassi di interesse, ovvero degli interessi che un paese deve promettere per farsi prestare i soldi, oppure l’improvvisa scomparsa della domanda per i titoli di stato di un paese. Altri ancora sono un crollo del valore della moneta nazionale, che rende troppo costoso pagare i debiti espressi in valuta estera, o la (più rara) decisione di un governo di non pagare anche se ne avrebbe la possibilità.

Non c’è un solo parametro economico che implica necessariamente il default: uno di quelli che viene nominato di solito è il rapporto tra debito pubblico e PIL superiore al 200%, ma il Giappone è molto vicino a quella soglia senza suscitare reali allarmi, dato che altri fattori ne assicurano la stabilità. Gli annunci che si sentono spesso in questi giorni sui livelli dello spread tra titoli italiani e tedeschi, che raggiungerebbero “punti di non ritorno” oltre quota 450 o 700, non tengono conto della complessità dei fattori economici in gioco.

In molti casi, come aveva mostrato un grafico dell’Economist, le conseguenze economiche di un default sono recuperabili in pochi anni, almeno dal punto di vista della ricchezza complessiva dello Stato. Più difficile è recuperare la fiducia degli investitori, soprattutto stranieri, e un default ha comunque conseguenze molto pesanti sui meccanismi del credito e sul sistema bancario. L’impossibilità di pagare i propri debiti rende molto difficile per uno Stato, per molti anni a venire, piazzare titoli sui mercati internazionali senza il sostegno di istituzioni internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale.

Più spesso di quanto si pensi
Nessuna delle economie cosiddette avanzate ha dichiarato bancarotta, nel secondo dopoguerra, dopo la Germania nel 1948. Nel resto del mondo, invece, l’avvenimento è stato decisamente più frequente. La pratica di uno Stato di dichiarare che non pagherà il debito che ha con gli altri paesi è vecchia di molti secoli. Nel Cinquecento, ad esempio, la Spagna dichiarò più volte che non avrebbe pagato le quantità di oro e argento che doveva ad altri paesi stranieri.

Solo negli ultimi cinquant’anni ci sono stati 126 casi di default di stati nazionali, alcuni dei quali hanno dichiarato bancarotta più volte: il Venezuela, un caso piuttosto limite, nel 1982, 1990, 1995-1997, 1998 e 2004. Nel 1983 fallirono 17 diversi stati del mondo. I default tendono ad avvenire “a gruppi”, e questo viene spiegato solitamente con il fatto che gli investitori colpiti da un fallimento hanno spesso altri investimenti in altri paesi a rischio, e cercano di venderli per limitare le perdite. Un esempio di fallimenti “a gruppo” sono le prolungate crisi del debito nei paesi sudamericani negli anni Ottanta e Novanta.

I fallimenti degli ultimi 10 anni
Questi sono i principali fallimenti di Stati nazionali negli ultimi dieci anni, con la data e il valore del debito coinvolto in dollari statunitensi. Nella maggior parte dei casi i paesi rinegoziarono i termini del loro debito estero. In alcuni casi intervenne a sostegno il Fondo Monetario Internazionale (come nel caso dell’Argentina).

Argentina – novembre 2001, oltre 82 miliardi
Moldavia – giugno 2002, 145 milioni
Uruguay – maggio 2003, 5,5 miliardi
Repubblica Dominicana – aprile 2005, 1,62 miliardi
Belize – dicembre 2006, 242 milioni
Ecuador – dicembre 2008, 3,2 miliardi (un raro caso di mancato pagamento anche in presenza di risorse, ma dichiarando i debiti precedenti “illegittimi e ingiusti”)

foto: Sean Gallup/Getty Images