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  • Mercoledì 15 giugno 2011

“Un’officina dell’illecito fiscale”

L'arresto del presidente della Confcommercio di Roma spiegato dai giornali di oggi

©AlessandroParis/Lapresse

Roma 06-12-2007

economia

ACER/Confcommercio Firma accordo tra le due associazioni

Nella foto: Cesare Pambianchi (presidente Confcommercio Roma)
©AlessandroParis/Lapresse Roma 06-12-2007 economia ACER/Confcommercio Firma accordo tra le due associazioni Nella foto: Cesare Pambianchi (presidente Confcommercio Roma)

Il Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza ieri ha arrestato 46 persone, accusate di aver messo in piedi una “organizzazione imprenditoriale della frode fiscale” che avrebbe sottratto al fisco almeno 600 milioni di euro. Se n’è parlato molto ieri perché tra gli arrestati c’è Cesare Pambianchi, presidente della Confcommercio di Roma e Lazio. I giornali di oggi forniscono qualche informazione in più e aiutano a capire meglio di cosa si parla.

Nelle 633 pagine dell’ordinanza del gip Giovanni De Donato si legge che, secondo l’accusa, Pambianchi e un altro commercialista Carlo Mazzieri, avrebbero messo in piedi quella che Carlo Bonini su Repubblica di oggi definisce “un’officina dell’illecito fiscale chiavi in mano”.

Di cosa aveva bisogno il cliente? Ristrutturazioni aziendali con trasferimento fittizio di società all’estero per evitare fallimenti, bancarotte, e seppellire debiti con il Fisco? Pambianchi aveva fior di collaboratori nel ramo (Paolo Verrengia), una rete di prestanome (anche cittadini bulgari) e di conti correnti. Il cliente doveva sottrarsi al pagamento delle imposte? Doveva autofinanziarsi con operazioni farlocche di lease-back immobiliare o, più banalmente, riciclare beni e denaro? Lo studio si proponeva come «l’eccellenza nel settore». Il Sistema lo si può riassumere con una parola: “bare fiscali”. I clienti facevano la fila (tra loro Giampiero Palenzona, fratello di Fabrizio, vicepresidente di Unicredit, Renato Semeraro, Gianmauro Borsano, ex presidente del Torino ed ex deputato del Psi). I “becchini” dei debiti con l’Erario, Mazzieri e Pambianchi non avevano il tempo di contare i soldi. Le chiamavano “parcelle”.

Le società esaminate dal Nucleo valutario della Finanza in relazione ai presunti reati sono 703, 292 di queste trasferite in Bulgaria, Gran Bretagna, Romania, Venezuela, Perù e Spagna. Lavinia Di Gianvito sul Corriere della Sera fornisce degli altri numeri.

Grazie a prestanome bulgari, inglesi, romeni e cinesi, le aziende hanno sottratto al fisco 550 milioni di euro e distratto 208 milioni di beni. Tra imprenditori, professionisti e prestanome l’inchiesta «Fuori tutto» conta 83 indagati, 44 dei quali (oltre a Pambianchi e Mazzieri) colpiti da misure cautelari: 13 in carcere, 27 ai domiciliari, 4 interdetti dall’esercizio di uffici direttivi. […] Associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, evasione fiscale, emissione di fatture false e appropriazione indebita sono i reati contestati, secondo le diverse posizioni, agli arrestati. Che ieri hanno subito anche 75 perquisizioni e 159 sequestri: case, auto, barche (tra cui gli yacht gemelli dei due commercialisti Dabliu e Chimera), azioni, conti correnti e polizze vita per 85 milioni di euro.

Sempre Lavinia Di Gianvito sul Corriere spiega che il gip sarebbe stato convinto ad autorizzare le misure cautelari per via di un file trovato su una penna USB sequestrata nove mesi fa. Il file si chiama “Prova” e dentro sarebbero descritti, scrive il giudice, “con dovizia di particolari, scientifica precisione e matematica suddivisione l’illecita conduzione delle ‘spese di funzionamento’ dello studio”. Gli inquirenti ipotizzano pure che la separazione di Pambianchi dalla moglie sia in realtà fittizia, anche quella volta a eludere il fisco.

«In realtà – osserva De Donato – le intercettazioni telefoniche e le perquisizioni domiciliari dello scorso 16 settembre hanno dimostrato sia l’esistenza di un rapporto tuttora stabile» tra i due, «sia la loro convivenza presso l’abitazione di via Ugo de Carolis 98». L’asserita separazione, prosegue il giudice, «è dunque da intendersi fittizia e strumentale ai vantaggi fiscali che ne derivano ma, soprattutto, alla possibilità per Pambianchi di intestare beni e quote sociali a una persona formalmente estranea ai suoi interessi, soprattutto illeciti».

foto: Alessandro Paris/Lapresse