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  • Venerdì 3 giugno 2011

A che punto è la lotta all’AIDS

La prossima sfida, dice l'Economist, è continuare a sostenere economicamente la lotta alla malattia, che negli ultimi anni ha registrato qualche successo

A used HIV's test kit shows a negative result at a roadside AIDS testing table in Langa, a suburb of Cape Town, during the world AIDS Day on December 1, 2010. A million people are now receiving anti-AIDS drugs in South Africa, a country with the world's heaviest HIV infections, Deputy President Kgalema Motlanthe said. South Africa has 5.6 million people who are HIV-positive out of a 50-million population, according to UN estimates. AFP PHOTO / RODGER BOSCH (Photo credit should read RODGER BOSCH/AFP/Getty Images)
A used HIV's test kit shows a negative result at a roadside AIDS testing table in Langa, a suburb of Cape Town, during the world AIDS Day on December 1, 2010. A million people are now receiving anti-AIDS drugs in South Africa, a country with the world's heaviest HIV infections, Deputy President Kgalema Motlanthe said. South Africa has 5.6 million people who are HIV-positive out of a 50-million population, according to UN estimates. AFP PHOTO / RODGER BOSCH (Photo credit should read RODGER BOSCH/AFP/Getty Images)

La prima epidemia di AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome, in italiano Sindrome da Immunodeficienza Acquisita) iniziò nel giugno 1981 negli Stati Uniti, e precisamente il 5 giugno, quando il Center for Desease Control and Prevention di Los Angeles diagnosticò in cinque persone la stessa rara forma di malattia polmonare. Da allora, circa 25 milioni di persone sono morte a causa della malattia e si stima che attualmente altri 34 milioni di persone convivano con l’AIDS, tre quarti dei quali nei paesi africani.

L’Economist dedica il suo articolo di copertina di questa settimana alla lotta contro la malattia che, dopo trent’anni, sembra registrare qualche successo. Per prima cosa, il numero di morti di AIDS è in calo: nel 2005 la malattia uccise 2,1 milioni di persone, mentre nel 2009 la cifra era scesa a 1,8 milioni. Diversi filantropi e politici occidentali hanno aiutato programmi che hanno distribuito i farmaci a molte persone dei paesi più poveri. Le medicine sviluppate dalle case farmaceutiche sono riuscite a salvare molte vite e, stando ad uno studio recente su centinaia di coppie con un solo partner infetto, sarebbero anche in grado di impedire la trasmissione del virus.

Ma rimangono diversi problemi. Le prime terapie farmacologiche sviluppate negli anni Novanta costavano diverse migliaia di dollari l’anno: anche se da allora le cose sono migliorate, anche adesso il numero di persone che utilizza le medicine è poco più di un terzo dei 16 milioni di persone che ne avrebbero bisogno con più urgenza. Non sono farmaci che guariscono del tutto dalla malattia, comunque, ma che la contengono per tutta la durata del trattamento. Manca un vaccino e una cura definitiva: il sistema immunitario di alcune persone (molto poche) è in grado di tenere sotto controllo la malattia, e questo dà speranza per il vaccino; alcuni antibiotici sembrano in grado di neutralizzare il virus, e questo potrebbe essere la base per una cura.

Al momento, la strada migliore rimane quella che associa il trattamento farmacologico con la prevenzione. L’uso del preservativo per gli uomini, lo sviluppo di microbicidi vaginali e altre pratiche sanitarie come la circoncisione sono fondamentali per limitare il numero di nuovi malati. Uno studio della rivista medica Lancet ha concluso che circa venti miliardi di dollari l’anno, spesi nel modo giusto, permetterebbero di mettere in atto una cura per tutti i 16 milioni di persone che mostrano i sintomi della malattia o che sono a rischio per il loro sistema immunitario particolarmente debole.

Oggi i paesi poveri spendono 16 miliardi di dollari l’anno nella lotta all’AIDS. Metà proviene dai paesi stessi, mentre l’altra metà proviene dagli aiuti stranieri. Le due organizzazioni principali che finanziano l’acquisto delle medicine sono il Fondo Globale (fondato nel 2002 a Genova) e il President’s Emergency Plan For AIDS Relief (PEPFAR), opera principalmente dell’ex presidente statunitense George W. Bush. Ma Olanda e Spagna stanno diminuendo il loro contributo al Fondo Globale, mentre l’Italia ha smesso del tutto. La prima sfida, dice l’Economist, è convincere questi paesi a non smettere proprio adesso di sostenere economicamente la lotta all’AIDS.

foto: RODGER BOSCH/AFP/Getty Images