Le torture di Bolzaneto

L'elenco delle angherie subite dalle persone fermate durante il G8 di Genova, nelle motivazioni depositate oggi dai giudici

Sono state depositate oggi le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di 38 delle 44 persone condannate in appello lo scorso marzo per quanto accaduto nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova, nel luglio 2001. Sono generali della polizia penitenziaria, guardie carcerarie, ufficiali dell’Arma, militari, agenti e funzionari di polizia, medici, responsabili dei maltrattamenti e delle torture inflitte alle persone fermate e arrestate durante le manifestazioni di protesta occorse in quei giorni. La maggior parte dei reati è caduta in prescrizione, ma i responsabili – e i ministeri di appartenenza – dovranno comunque pagare dei risarcimenti danni alle famiglie delle persone maltrattate. Le motivazioni, contenute in ottocento pagine suddivise in sette sezioni, elencano e descrivono tutto il campionario delle aberrazioni che dovettero subire le persone fermate.

Insulti e percosse all’arrivo degli arrestati da parte di assembramenti di varie forze di polizia, ma non con sistematica frequenza, come detto da diverse parti offese; posizione vessatoria, (in piedi, gambe divaricate e braccia alzate diritte sopra la testa) nel cortile, contro il muro della palazzina delle celle, contro la rete di recinzione del campo da tennis o nei pressi della palazzina delle fotosegnalazioni; passaggio nel corridoio tra due ali di agenti di varie forze che percuotevano con schiaffi e calci, sgambettavano, ingiuriavano e sputavano; posizione vessatoria in cella o in ginocchio col viso alla parete, per 10, 18 o 20 ore, senza riposarsi o sedersi se non per pochi minuti; la posizione vessatoria della “ballerina”, sulla punta dei piedi o su un a gamba sola e far stare per ore con le mani strette nei laccetti di plastica; provata l’imposizione di tali posizioni anche a persone ferite o in menomazione fisica; provate le percosse al corpo compresi i genitali con le mani coperte da pesanti guanti di pelle, o con i manganelli, in tutti i locali per costringere alla posizione vessatoria, senza motivo o perché i soggetti avevano chiesto un magistrato o un avvocato o di andare in bagno o di conoscere il motivo del fermo o dell’arresto; provati spruzzi di sostanze urticanti o irritanti nelle celle; provati insulti a fondo sessuale, razzista; a contenuto politico; provate minacce di percosse o di morte, di stupro; provata la costrizione a pronunciare frasi lesive della propria dignità personale e frasi e inni al fascismo al nazismo e alla dittatura di Pinochet; provato il taglio forzato dei capelli e la distruzione di oggetti personali; provate le lunghe attese prima di andare in bagno e costrizione dei soggetti a urinarsi addosso; provata la “marchiatura” sul volto con pennarello degli arrestati della scuola Diaz.

L’inesistenza in Italia del reato di tortura ha reso le pene più lievi di quanto sarebbero state in molti altri paesi europei. Nonostante la ratifica della convenzione dell’ONU che vieta la tortura risalga al 1987, in quasi venticinque anni l’Italia non si è ancora dotata di una legge. Una legge era stata approvata alla Camera nel dicembre del 2006, durante il governo Prodi, ma non fu mai definitivamente varata dal Senato.