L’omicidio di Ventimiglia

L'odiosa storia del padre ammazzato di botte per aver difeso il figlio

di Francesco Costa

Nei giorni scorsi Ventimiglia, cittadina ligure al confine con la Francia, è stata su tutti i quotidiani per via dell’emergenza immigrazione, dei tunisini che arrivavano da tutta Italia nel tentativo di oltrepassare la frontiera. Sui giornali di oggi si parla ancora di Ventimiglia, ma per una ragione completamente diversa: per un episodio di violenza particolarmente odioso e impressionante, avvenuto su un padre che stava difendendo suo figlio da un’aggressione.

Dove siamo
Siamo a Torri Superiore, un posto che troverete in tutte le guide turistiche sulla Liguria. Un piccolo villaggio medievale a pochi chilometri da Ventimiglia. Costruito nel XIII secolo, è composto da tre strutture principali che constano in tutto di 160 stanze, collegate tra loro da un’intricata rete di scale. Per via della sua struttura, lo troverete descritto in giro come un labirinto o come una fortezza. Oggi è meta turistica “ecosostenibile”, dove si organizzano ogni anno iniziative ed escursioni. Ha anche dei residenti, un paio di centinaia, che vivono stabilmente nel villaggio. Tutto questo per dire che Torri Superiore è il posto più lontano possibile dalla “periferia degradata” o dall’area residenziale abbandonata in cui ci si aspetta di collocare simili episodi di violenza: è un posto in cui negli ultimi dieci anni non c’è stata una sola denuncia per furto, per capirsi.

Sabato sera
A Torri Superiore c’è un bar, l’unico nella zona aperto fino a tardi, ed è un punto di ritrovo. Sono le 23,30 e al bar c’è, tra gli altri, Claudio Allavena, 22 anni, studente, col suo cane. E a un certo punto arriva un gruppo formato da quattro persone, tutti più o meno ubriachi, tutti di nazionalità rumena, di età compresa tra i 19 e i 36 anni. Si chiamano Mereut Marius Ciprian, Mihut Andrei Bogdani, Mihai Aredelean e Mereut Aurelian Sebastian. Lavorano nelle vicinanze, dove vive una numerosa comunità rumena. Scoppia una rissa, i giornali usano la più classica delle formule: futili motivi. Stando alle attuali ricostruzioni, uno dei rumeni avrebbe tentato di accarezzare il cane di Claudio Allavena, questo avrebbe ringhiato e il suo padrone avrebbe chiesto ai quattro di allontanarsi. Quello che si sa è che a un certo punto si viene alle mani e i quattro pestano Claudio Allavena. La rissa attira l’attenzione delle altre persone. Il padre di Claudio Allavena, Walter, idraulico, 53 anni, è in casa: sente le urla di suo figlio e interviene.

Separa gli uomini, prende suo figlio sotto il braccio e lo porta via. Dopo pochi minuti però i quattro lo raggiungono, lo accerchiano e si accaniscono su di lui con pugni e calci. Quando lo lasciano, Walter Allavena si rialza, fa per tornare a casa, poi crolla di nuovo a terra e non si alza più. Un suo amico lo raggiunge e chiama un’ambulanza, tenta di rianimarlo ma inutilmente. Walter Allavena muore. Sarà la badante, rumena anche lei, a farlo sapere alla sua famiglia, urlando e picchiando forte alla porta.

I quattro
Nel frattempo i quattro responsabili del pestaggio si erano allontanati in macchina. Grazie alle testimonianze dei presenti sono stati rintracciati a Calvo, un’altra frazione di Ventimiglia, nel giro di poche ore. Anche il manovale che li ha indicati alle forze dell’ordine è rumeno, anche lui appartenente alla numerosa comunità che – scrivono oggi i giornali – “da queste parti vive e lavora onestamente da anni”. «Poveri noi, chissà adesso cosa penserà la gente di questa terra», avrebbe detto, riporta Repubblica. «Non sono dei cattivi ragazzi: li conosco, lavorano duro tutta la settimana e mandano i soldi in patria. Però sono soli, lontano da casa. Soffrono dentro. Senza una famiglia, isolati quassù. E il sabato sera bevono. Speriamo che gli italiani capiscano, che continuino ad accoglierci come fratelli». Non è ancora chiaro se Walter Allavena è morto direttamente per le botte o per un infarto conseguente alle botte: lo stabilirà l’autopsia. I quattro, intanto, sono accusati di omicidio preterintenzionale in concorso e sono in stato di fermo, oggi saranno interrogati. I giornali riferiscono le parole di chi li ha visti, al commissariato, e dicono che pensavano di averlo «picchiato e basta».