Nessun inizio d’anno da festeggiare / nessun dolcetto a forma di cuore ricoperto di cioccolato da dare via
I Just Called To Say I Love You, Stevie Wonder
1985 – con I Just Called To Say I Love You Stevie Wonder vince l’Oscar (primo cantante non vedente ad aggiudicarselo) e lo dedica a Nelson Mandela. Il giorno seguente i dischi di Stevie Wonder vengono immediatamente banditi dalla South Africa Broadcasting Corporation. I tempi non erano ancora maturi per vincere l’apartheid. Fu molto criticata, all’epoca, I Just Called To Say I Love You, per l’uso di sintetizzatori e di drum machine, elementi poco graditi dai puristi del soul e della black music. Con il passare del tempo, è diventato un successo mostruoso amato da tutti. Commovente la versione che Stevie Wonder improvvisò il 27 giugno 2009, due giorni dopo la morte di Michael Jackson, che era grande amico di Stevie. In quell’occasione, Wonder cambiò il testo del ritornello. Non più «I just called to say I love you / I just called to say how much I care» ma «I just called to say I love you / Michael knows I’m here and I love you».
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Ho visto i migliori della mia generazione giocare a flipper / simili a bambole cinesi
Wasteland, Dan Bern
1957 – viene intentato dalle autorità un processo per oscenità nei confronti dell’Urlo di Allen Ginsberg, per via dei molti riferimenti alle droghe e alla libertà sessuale, sia etero sia omo. Un verso in particolare fu poco gradito, quello che diceva: «Si lasciavano inculare da santi motociclisti e strillavano di gioia». A rischiare non era tanto Ginsberg, ma Lawrence Ferlinghetti, editore e proprietario di una bellissima libreria a San Francisco che per anni fu punto di ritrovo fisso della controcultura e del movimento hippie. Grazie anche a un pool formato da nove esperti di letteratura, Ferlinghetti fu assolto e quindi scarcerato. Dopo la pubblicità ottenuta dal processo, l’Urlo divenne a tutti gli effetti uno dei vertici della Beat Generation, insieme a On The Road di Kerouac e a Il pasto nudo di William Burroughs.
L’incipit, soprattutto, ebbe un effetto devastante: «Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa». Divenne lo spunto per molte opere. Anche per canzoni. Ne cito alcune che citano esplicitamente i versi dell’Urlo: Machinehead dei Bush, Werewolves Of London di Warren Zevon, I Should Be Allowed To Think dei They Might Be Giants, I Saw The Best Minds Of My Generation Rock dei Fugs, Spell di Patti Smith e la meravigliosa Wasteland di Dan Bern. Non fa parte della lista, stranamente, Dio è morto, perché Guccini ha categoricamente smentito di aver preso spunto da Ginsberg per il suo inno, nonostante abbia lo stesso incipit.
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E andrò in alto come un aquilone, per allora / mi manca la terra, così tanto, mi manca mia moglie
Rocket Man, Elton John
1947 – nasce a Pinner, nel Middlesex, Reginald Kenneth Dwight, ovvero Elton John, senza ombra di dubbio uno dei più grandi talenti melodici del pop di tutti i tempi. Grazie anche a un sodalizio perfetto con Bernie Taupin (capace di tradurre in parole quello che Elton descriveva in musica), ha scritto in quarantun anni di carriera decine di canzoni indimenticabili, di quelle che ti si attaccano addosso anche quando non vorresti e che ti ritrovi a cantare, sotto la doccia o dopo aver fatto la barba, flirtando a volte con il soul della Motown o il blues di Philadelphia, altre volte con l’honky tonk e il gospel, ma sempre riconducendo tutto nelle pareti del formato radiofonico e vendendo oltre trecentocinquanta milioni di dischi nel mondo. Eccessivo negli atteggiamenti, glamourous negli abiti (la sobrietà è sempre stata bandita dal suo guardaroba), buffo nei parrucchini (in questo è secondo solo a Lucio Dalla), pacchiano nei travestimenti (lo ricordate vestito da Paperino?), impulsivo nelle decisioni (come quando sposò la sua segretaria, lui dichiaratamente omosessuale), debole in certe occasioni (è stato a lungo preda della cocaina), Elton John ritrova se stesso davanti a un pianoforte. I puristi della musica – vil razza dannata – commettono con lui l’errore più grande e più stupido: pensare che non ci sia qualità dietro a un successo di così vaste dimensioni. Invece, a volte, c’è bella musica anche nelle classifiche pop.