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  • Martedì 28 dicembre 2010

“Nei guai il caposcorta di Belpietro”

Il Giornale scrive che per i pm l'attentato dello scorso ottobre al direttore di Libero sarebbe "solo una montatura"

Lo scorso ottobre il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, fu coinvolto in un episodio singolare: il capo della sua scorta lo aveva accompagnato fino alla soglia del suo appartamento e poi, sceso per le scale, si era imbattuto in uno sconosciuto armato di una pistola. Questo gli aveva puntato l’arma addosso e aveva premuto il grilletto, ma il colpo non era partito. L’agente allora lo aveva messo in fuga sparando in alto con l’arma di ordinanza.

Seguirono giorni di solidarietà al giornalista e polemiche politiche, anche perché diversi dettagli della dinamica non risultavano chiari e non si riuscivano a trovare altri testimoni che non fossero lo stesso caposcorta. A un certo punto il Corriere della Sera scrisse: “tra i poliziotti circola uno strano convincimento: che l’agente di tutela del direttore di Libero si sia inventato tutto”. Tale circostanza sarebbe stata avvalorata da un precedente episodio che aveva visto protagonista lo stesso agente: un’aggressione sventata, anche quella piuttosto misteriosa, cui era seguita una promozione.

Tre mesi dopo, scrive il Giornale, “i pub­blici ministeri si sono fatti un’idea abba­stanza precisa”. L’indiscrezione è contenuta in un retroscena di cronaca giudiziaria: va presa con le molle ma va registrata, sia perché in questi giorni si parla di nuovo, per ragioni diverse, di Maurizio Belpietro e di finti attentati, sia perché il Giornale non è certo un giornale che si può assimilare alla sinistra rivale del centrodestra e di Libero. E intanto così scrive oggi.

La conclusio­ne cui i due pm sarebbero giunti (il condizionale è d’ob­bligo, visto il riserbo che fin dall’inizio circonda le indagi­ni) pone i magistrati in una si­tuazione per alcuni aspetti lie­vemente imbarazzante. Compiute tutte le verifiche, eseguiti tutti gli esperimenti, valutate tutte le testimonian­ze, gli inquirenti sarebbero in­­fatti arrivati a convincersi che in via Monte di Pietà, nel palaz­zo dove abita il direttore di Li­bero, quella sera non sia acca­duto in realtà assolutamente nulla. Ovvero: che nessuno ab­bia cercato di fare la pelle al giornalista. Che sulle scale del palazzo non ci fosse nessun al­­tro, se non il capo della squa­dra di poliziotti che vigila sulla sicurezza di Belpietro. E che tutto quanto accaduto- gli spa­ri, l’allarme, eccetera – sia sta­to frutto, nella migliore delle ipotesi, di un errore di valuta­zione da parte dell’agente.

A essere determinante sarebbe la registrazione effettuata dalle telecamere a circuito chiuso presenti nella zona, che non hanno mostrato nessuna immagine riconducibile al presunto attentatore. Qui il racconto del Giornale si fa ancora più vago, e si dice che i pm starebbero tentando di far sì che una simile conclusione non diventi un boomerang per Belpietro, che i pm non ritengono responsabile della faccenda. Questo perché i pm avrebbero accertato che “il direttore di Libero ha percepi­to i fatti come se il pericolo fos­se assolutamente reale” e “si è spaventa­to molto”. Anche l’agente avrebbe delle attenuanti, però, dice il Giornale: era stressato.

In teoria, se ora dovesse emergere che l’agente si è in­ventato tutto, gli andrebbero contestati diversi reati: procu­rato allarme, spari in luogo pubblico, simulazione di rea­to. Ma l’orientamento della Procura sarebbe, nei limiti del possibile, di non infierire su Alessandro. L’agente (già pro­tagonista all’epoca di Mani Pu­lite di un agguato rimasto sen­za riscontri, quello al procura­tore a­ggiunto di Milano Gerar­do D’Ambrosio) potrebbe ave­re agito comunque in buona fede, sotto il peso di uno stress eccessivo. Proprio questo sta­to di stress avrebbe, d’altron­de, convinto i vertici della que­stura ad allontanarlo dalla se­zione Scorte e destinarlo ad un altro servizio.