A Brescia c’è un processo, per strage

E non è che riveli bazzeccole, spiega Benedetta Tobagi su Repubblica

C’è un gruppo di cronisti, storici, bresciani e semplici cittadini, che continua a seguire il processo in corso a Brescia per la strage del 1974, che nell’indifferenza generale è andato ancora rivelando storie clamorose su responsabilità e connivenze di quella bomba. In quel gruppo c’è Benedetta Tobagi, che ne ha scritto oggi su Repubblica.

Mentre un governo crolla a pezzi, intere province s’inondano con danni inauditi, i media seguono con morbosa attenzione i torbidi sviluppi dell’omicidio di una quindicenne, la polizia prende a manganellate un sit in non violento che solidarizza con alcuni operai immigrati che protestano per i loro diritti, in una città di provincia, nella quiete ovattata di una stanza d’albergo piena di computer e tazze di caffè, otto persone stanno studiando da giorni centinaia di migliaia di pagine di documenti in formato digitale, per decidere di un delitto di 36 anni fa. Sembra l’inizio di un episodio della popolare serie investigativa Cold Case, ma sta succedendo davvero. Brescia, le donne e gli uomini della corte d’assise del tribunale locale, due togati e sei giurati popolari, dopo due anni di dibattimento, 150 udienze e migliaia di testimoni, il 9 novembre si sono ritirati in camera di consiglio per decidere le sorti di cinque imputati per concorso in una strage che ha ucciso 8 persone e ne ha ferite 102, il 28 maggio 1974. Tra gli imputati, un generale dei Carabinieri, Francesco Delfino. Un ex deputato, senatore e segretario dell’Msi, Pino Rauti. Due figure chiave dell’organizzazione eversiva neofascista Ordine Nuovo (costola del centro studi fondato da Rauti nel 1956), il medico Carlo Maria Maggi e l’orientalista, poi imprenditore, naturalizzato giapponese (il suo nome oggi è Roy Hagen) Delfo Zorzi: condannati e poi assolti per la strage di piazza Fontana.

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