Le cronache dei giornali di oggi tornano a parlare drammaticamente di Lea Garofalo, ex collaboratrice di giustizia di 35 anni sparita nel nulla dallo scorso novembre. Secondo le ordinanze di custodia cautelare emesse stanotte dal giudice per le indagini preliminari Giuseppe Gennari, la donna sarebbe stata uccisa in un capannone della periferia milanese e poi sciolta nell’acido in un terreno vicino a Monza. Il mandante dell’omicidio sarebbe Carlo Cosco, padre di sua figlia e boss di una delle cosche della ‘ndrangheta crotonese.
Il nome di Lea Garofalo arriva per la prima volta sulle cronache nazionali nel febbraio del 2010, quando i giornali danno notizia della sua sparizione in seguito all’apertura di un fascicolo contro ignoti per «sequestro di persona» da parte della Procura di Campobasso. La sua storia però ha radici molto più tortuose e profonde, e per raccontarla bisogna partire almeno dall’inizio degli anni novanta e seguire le vicende della faida fra le famiglie Garofalo e Mirabelli di Petilia Policastro, provincia di Crotone.
La cosca Garofalo
Il 7 maggio 1996 i carabinieri di Milano circondano il palazzo di via Montello 7 e organizzano un blitz contro la ‘ndrangheta di Petilia Policastro, che già da alcuni anni aveva iniziato a trapiantarsi nella città. Tra gli uomini arrestati c’è anche un giovane boss di Petilia: Floriano Garofalo, che dalla Calabria aveva il compito di gestire gli affari milanesi. Floriano Garofalo è il fratello di Lea Garofalo e l’8 giugno del 2005 – nove anni dopo quel primo arresto e dopo l’assoluzione al processo – viene ammazzato in un agguato nella frazione Pagliarelle di Petilia Policastro.
La collaborazione con la giustizia
Nel frattempo Lea Garofalo aveva iniziato a collaborare con la giustizia e aveva iniziato a parlare anche degli omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni novanta a Milano. Nel caso dell’omicidio di Antonio Comberiati, nel 1995, sarà proprio Lea Garofalo a fornire informazioni importanti e denunciare il ruolo avuto da suo fratello Floriano Garofalo e dal fratello di Carlo Cosco, Giuseppe Cosco detto «Smith». Ammessa già nel 2002 nel programma di protezione insieme alla figlia e trasferita a Campobasso, se lo vede revocare nel 2006 perché l’apporto dato non era stato significativo. La donna si rivolge allora prima al TAR, che le dà torto, e poi al Consiglio di Stato, che le dà ragione. Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma, ma nell’aprile del 2009 – pochi mesi prima della sua scomparsa – decide all’improvviso di rinunciare volontariamente a ogni tutela e di tornare a Petilia Policastro, per poi trasferirsi di nuovo a Campobasso in una casa che le trova proprio l’ex compagno Carlo Cosco.
Il primo tentativo di sequestro
Lea Garofalo conosce molti segreti della lotta fra le famiglie Garofalo e Mirabelli di Petilia Policastro e quando scompare, nel novembre del 2009, il giudice per le indagini preliminari di Campobasso Teresina Pepe parla subito di sospetti a carico dell’ex compagno della donna e ne dispone l’ordine di custodia cautelare: «È possibile affermare che Cosco avesse un interesse concreto sia a vendicarsi di quanto la Garofalo aveva già detto, sia ad evitare che potesse riferire altro». Insieme a Carlo Cosco viene arrestato anche Massimo Sabatino: entrambi sono sospettati di avere tentato un primo rapimento della donna pochi mesi prima della sua definitiva scomparsa.
Nel maggio del 2009 Lea Garofalo era andata infatti dai carabinieri di Campobasso e aveva raccontato di avere subito un’aggressione nel suo appartamento. La storia che Lea racconta ai carabinieri è questa. È il 5 maggio e la sua lavatrice si rompe. Decide di chiamare Carlo Cosco – che vive a Milano, ma su questo torneremo dopo – e lui le trova subito un idraulico. Solo che quello che bussa alla sua porta non è un idraulico ma Masimo Sabatino, 37 anni, che Cosco ha mandato per uccidere la «sua donna». Secondo la ricostruzione dei carabinieri e della Procura di Campobasso, l’uomo riesce a entrare in casa senza difficoltà e poi aggredisce Lea Garofalo. La donna racconta ai carabinieri di essere riuscita a sottrarsi all’agguato anche grazie all’aiuto della figlia Denise e dice che dietro il tentativo di sequestro c’è sicuramente Cosco, preoccupato per quello che lei avrebbe potuto rivelare a novembre durante l’udienza di un processo a cui era stata chiamata a testimoniare a Firenze.