Animali molto brutti

Ricercatori e naturalisti spiegano sul New York Times perché alcuni animali ci sembrano più brutti degli altri

Insieme al suo gruppo di ricerca, Morgan J. Trimble della Università di Pretoria (Sudafrica) ha dedicato mesi di lavoro a uno studio sulle ricerche scientifiche condotte su oltre 2.000 specie di animali che vivono nell’Africa meridionale. L’analisi, pubblicata sulla rivista scientifica Conservation Biology, ha portato a una interessante conclusione: anche la scienza bada all’estetica dei fenomeni che osserva e studia.

Tra il 1994 e il 2008, ben 1.855 ricerche scientifiche sono state dedicate agli scimpanzé, 1.241 ai leopardi e 562 ai leoni. Per il Lamantino africano, un mammifero acquatico certo non affascinante quanto un grande felino, i paper scientifici prodotti negli anni presi in considerazione da Trimble sono stati solamente 14. Il lamantino è l’animale meno studiato tra i mammiferi di grandi dimensioni e una sorte simile spetta a molti altri animali poco avvenenti, cui il New York Times ha da poco dedicato un lungo articolo.

Per i nostri standard si tratta di animali brutti, magari brutti in modo carino, ma generalmente molto molto brutti. E nonostante la scienza della bruttezza sia molto indietro rispetto alle indagini scientifiche sull’evoluzione della bellezza e le proporzioni del viso di una fotomodella, alcuni ricercatori stanno cercando di capire perché reputiamo inguardabili alcuni animali anche se non ci minacciano con del veleno o sono in competizione con noi per il cibo.

Nella classifica degli animali più brutti, la talpa dal muso stellato (Condylura Cristata) detiene sicuramente uno dei primi posti. Questo mammifero pesa intorno ai 50 grammi ed è riconoscibile per la particolare conformazione del suo muso, costellato da 22 minuscoli tentacoli. La talpa utilizza queste propaggini dal colore rosa carne per tastare il terreno in cerca di vermi, insetti e piccoli crostacei di cui cibarsi. Secondo alcuni neuroscienziati, riteniamo che questa talpa sia brutta a causa della scarsa evidenza di alcuni tratti distintivi sul suo muso, come gli occhi, il naso e la bocca. L’animale appare quasi senza testa e questa immagine ci disturba.

Sono in genere le differenze macroscopiche da ciò che ci appare normale a farci dire che un animale è brutto. La mancanza di pelliccia in alcune specie di felini, il naso enorme della scimmia nasica o la testa trapezoidale del facocero sono “stranezze” rispetto ad animali simili che riteniamo invece normali come un comune gatto domestico, una scimmietta o un maiale da allevamento. Secondo gli scienziati, ci bastano pochissimi istanti per giudicare un animale e metterlo nella categoria dei belli e dei brutti, cosa che per estensione facciamo anche in continuazione nel valutare l’aspetto dei nostri simili.

«Nessuno direbbe che la talpa dal muso stellato è brutta se i suoi tentacoli fossero blu elettrico» spiega Denis Dutton, docente di filosofia dell’arte presso la Univeristy of Canterbury in Nuova Zelanda. «Ma la somiglianza del suo naso rosato con il colore della carne umana sovverte le nostre aspettative e diventa una violazione perversa dei valori che abbiamo per definire ciò che costituisce la pelle umana sana o normale.»

Il concetto di bruttezza viene associato più facilmente a quegli animali che hanno alcuni tratti estetici in comune con i nostri, rispetto a quelli che sono completamente differenti. Troviamo del tutto normale che un mammifero come un elefante abbia una lunga proboscide e molti di noi trovano questi pachidermi affascinanti, ma un naso altrettanto sproporzionato su una scimmia fa mutare la nostra percezione. Secondo Dutton, nel valutare l’aspetto di un primate applichiamo i nostri standard umani e dunque il naso enorme rende brutta la scimmia che stiamo osservando.

Gli animali con lineamenti poco marcati, occhi grandi, naso piccolo e bocca poco pronunciata riscuotono in genere maggiore successo perché ci ricordano i neonati. Secondo i naturalisti, gli esseri umani e gli altri mammiferi hanno una sorta di schema mentale innato che li spinge ad apprezzare i lineamenti del viso dei neonati e dunque a prendersene cura quando sono ancora vulnerabili.

Istintivamente, quando osserviamo un animale badiamo anche al suo stato di salute. Asimmetrie molto evidenti e ingiustificate, la pelliccia irregolare o la presenza di strane chiazze sulla pelle influiscono sulla nostra percezione, e di solito è un bene visto che gli animali malati possono essere causa di problemi seri per la nostra salute. Secondo i ricercatori, siamo anche in grado di distinguere con buona approssimazione gli animali che ci potrebbero contagiare da quelli che sono semplicemente nati asimmetrici, strani o brutti.

Fortunatamente il nostro giudizio estetico influisce in minima parte sulle sorti delle specie animali che popolano il Pianeta. Il Lamantino africano sarà anche trascurato dagli scienziati, ma continua a popolare i fiumi tropicali dell’Africa, così come la talpa dal muso stellato continua a scorrazzare nei tunnel che scava nel terreno per procacciarsi il cibo. Del resto, se non ci fossero gli animali brutti, non esisterebbero quelli belli.