Israele e i civili

Nel dibattito su Israele e Palestina, i contributi si articolano fra grandi ricostruzioni storiche e immediata cronaca quotidiana. Questo compendio vuole essere una via di mezzo, cioè un tentativo di inquadrare quello che sta succedendo in questi giorni per chi non ha familiarità col tema. Data la vastità dell’argomento, lo dividerò in capitoli per concentrarmi su un argomento alla volta, in modo da poter raccogliere materiale, analizzare fatti e considerare l’attualità meglio che in un unico scritto-fiume.

Capitolo 1 – La strategia di Israele (leggi qua)
Capitolo 2 – Israele e i civili
In mancanza di un accordo di disarmo, l’unica possibilità che Israele ha per distruggere l’arsenale di Hamas è attraverso azioni militari. Queste azioni comportano, inevitabilmente, il rischio di causare morti anche fra i civili. Nella Striscia di Gaza questo rischio è una certezza, come si è visto in questi giorni. Per questo diventa fondamentale domandarsi quanti sforzi faccia Israele per prevenire l’uccisione di civili: più precisamente, quanto è disposta a pregiudicare l’efficacia delle proprie azioni. Rispondere a questa domanda, diversamente da quello che sembra nella baraonda delle reazioni partigiane, non è facile.

Una necessaria distinzione preliminare è quella fra l’atteggiamento israeliano e quello di Hamas, che rivendica il fine di uccidere ogni civile che può. Quando ero in Palestina, ai tempi della prima guerra a Gaza, formulai così il concetto:

Ci sono tre comportamenti, nei riguardi dei civili, in guerra: il primo è quello di cercare di ridurre al minimo le vittime civili, anche a costo di fare operazioni militari meno efficaci; il secondo è quello di ignorare la quantità di vittime civili che un’operazione militare possa comportare; il terzo è quello di cercare di fare più morti civili possibile.

Israele si comporta in un modo che rientra nello spettro fra il primo e il secondo, a seconda dell’opinione che se ne ha. Hamas si comporta inequivocabilmente nel terzo modo. Israele vuole uccidere il meno possibile o se ne frega. Hamas vuole uccidere il più possibile.

È importante notare che, da un punto di vista fattuale, la speculazione sul perché Israele non abbia come obiettivo l’uccisione del maggior numero di civili – scrupoli etici o pressioni della comunità internazionale – è del tutto irrilevante.

Naturalmente la distinzione fra Israele e Hamas è ben lontana dall’esaurire la questione, perché fra “cerca di uccidere il meno possibile” e “se ne frega” c’è uno spazio enorme, che va dalla condotta esemplare ai crimini contro l’umanità. Anche qui le versioni competono: da una parte viene citata la sproporzione fra le vittime palestinesi e quelle israeliane (1500 a 19, nei tre interventi a Gaza), dall’altra tutte le precauzioni che Israele prende prima dei bombardamenti, assieme a pareri di esperti militari che sostengono che nell’intera storia bellica, nessun esercito ha mai avuto tanta preoccupazione e attenzione ai civili quanto quello israeliano a Gaza.

Siamo tanto abituati a qualificare lo schieramento di ciascuno a seconda dei fatti che riporta (chi cita la sproporzione è filopalestinse, chi cita le precauzioni è filoisraeliano) che è impossibile credere che le due cose non si escludano. È certamente vero che Israele ha delle procedure per ridurre le morti civili: lancio di volantini con inviti a sgomberare le zone dei bombardamenti, telefonate e sms agli abitanti delle case che verranno colpite, esplosioni di avvertimento prima dell’attacco. Sono effettivamente pratiche precauzionali che mostrano un’attenzione ai civili che raramente si è riscontrata nella storia militare (d’altra parte, gli eserciti non hanno mai avuto una gran fama di cura dei civili, tanto meno nella storia). In questo senso, la domanda da porsi è: è sufficiente?

Ci sono due problemi: il primo è che, come chiunque abbia avuto a che fare con Tzahal sa (per dire la più assurda capitatami, hanno tentato di far esplodere la mia bicicletta), a fronte di procedure molto articolate, l’applicazione avviene con marcata disinvoltura. Più precisamente: quando le procedure lasciano un tasso di arbitrarietà, questo viene sfruttato nella maniera più prevaricatrice. Israele, giustamente, pubblicizza le proprie precauzioni, ma si guarda bene dal garantire di lanciare volantini in tutte le zone che subiranno bombardamenti, di telefonare a tutti gli abitanti delle case da colpire, di operare sempre esplosioni di avvertimento in tempo utile perché gli abitanti scappino. È evidente che questo limiterebbe la libertà dell’esercito israeliano (IDF) di analizzare caso per caso e decidere, in alcuni casi, che l’uccisione di un tot di non combattenti è un sacrificio accettabile per non compromettere il proprio obiettivo militare.

Il secondo è che Hamas difende le proprie postazioni con scudi umani. L’impiego di questa tecnica è contrario alla Convenzione di Ginevra, ma la pratica viene lodata in televisione e ci sono video e foto di persone che si raccolgono sui tetti degli edifici che Israele ha minacciato di colpire. Questo è un implicito riconoscimento di come Hamas sa bene – al contrario di ciò che dice la propaganda – che gli israeliani hanno degli scrupoli nel colpire i civili: ma Hamas sa molto più di questo, e cioè che usare scudi umani mette Israele in un angolo. Questo gigantesco vicolo cieco è mostrato dall’atteggiamento contraddittorio che ha l’IDF: da una parte afferma che quando strutture civili sono usate a scopi bellici, esse diventano obiettivi legittimi che Israele colpirà; dall’altra pubblicizza video in cui mostra come in questi casi rinuncia agli attacchi per tutelare le vite di quei palestinesi.

Il problema, per Israele, è che se promettesse di non attaccare ogni edificio sul cui tetto si raccolgono dei civili, questo darebbe un’arma potentissima a Hamas, che la sfrutterebbe in ogni occasione. È anche per questo che c’è una evidente tensione fra il dare agli abitanti degli edifici il tempo necessario a scappare e il non darlo a chi voglia portarci degli scudi umani. Ed è per questa stessa ragione che se Israele desse tale garanzia, la pratica diventerebbe estremamente meno pericolosa, facilitando a Hamas il reclutamento di nuovi potenziali scudi umani. Questo è ciò che nelle Relazioni Internazionali si chiama il Paradosso (o la Teoria) del Pazzo. Israele vorrebbe convincere il proprio nemico di essere disposta a fare qualunque cosa, anche uccidere tutta la Striscia di Gaza, per raggiungere il proprio obiettivo; al tempo stesso, deve convincere tutto il resto del mondo che non si comporterebbe mai così, e anzi ha a cuore la vita di ciascun palestinese.

Gli scrupoli di Israele sono perciò chiaramente un’arma nelle mani di Hamas: riconoscere questo fatto è semplice realismo. Questo non toglie che la domanda iniziale rimane: posto che Israele ha mostrato una misura d’impegno nello scongiurare morti civili, e posto che Hamas sfrutta questa preoccupazione al proprio fine, quella misura è sufficiente? Qui torniamo al dato iniziale, quello della sproporzione fra morti civili israeliani e palestinesi. Israele ha certamente grande merito nel riuscire a tutelare i proprî cittadini con Iron Dome, ed è sciocco chi gliene fa una colpa. Ed è naturale, per quanto triste, che un governo tenga di più alle vite dei proprî cittadini che a quelle dei propri nemici. Ma una valutazione etica esterna alle parti deve necessariamente astrarsi da questa considerazione.

A oggi, il bilancio di questo nuovo conflitto è di quasi 200 morti (la maggior parte dei quali civili) a 0. È ipotizzabile che il mantenimento dell’arsenale di Hamas avrebbe creato pericoli maggiori ai cittadini israeliani (e palestinesi)? La risposta, naturalmente, non è certa: come è sempre il futuro. È però importante sottolineare che questa è la domanda che deve porsi chi vuole ragionare fuori di tifoseria: se Israele non fosse intervenuto, le cose sarebbero andate peggio? Non solo in termini di vittime civili immediate, ma anche di scenario futuro.

Nel prossimo capitolo affronterò questo punto: il futuro e come questo nuovo conflitto condiziona il Processo di pace.

Capitolo 3 – Cosa succede ora a Gaza? (leggi qua)
Capitolo 4 – Perché Hamas si comporta così? (e Fatah?) (leggi qua)

Giovanni Fontana

Dopo aver fatto 100 cose diverse, ha creato e gestisce Second Tree, ONG che opera nei campi profughi in Grecia. La centounesima è sempre quella buona. Il suo blog è Distanti saluti. Twitta, anche.