Su “Don’t Look Up” ci sono opinioni molto nette

Il film di Adam McKay ha stimolato accese discussioni, ma i critici ne hanno parlato soprattutto male

A tre settimane dall’uscita di Don’t Look Up nei cinema e a qualche giorno da quella su Netflix, la commedia satirica del regista Adam McKay è diventata un argomento di accese discussioni sui social network e di grandi divisioni tra i critici, che per lo più l’hanno stroncata. Il film, che ha un cast pieno di attori e attrici celebri ed è costato 75 milioni di dollari, parla di una grande cometa che potrebbe colpire la Terra e annientare l’umanità, nel generale disinteresse di chi dovrebbe provare a prevenire il disastro. Una metafora molto esplicita sul cambiamento climatico, apprezzata da chi è interessato al cinema che trasmette messaggi di questo tipo ma giudicata da molti troppo didascalica e grossolana.

Don’t Look Up è stato candidato a quattro Golden Globe e nei suoi primi tre giorni su Netflix ha accumulato un totale di oltre 111 milioni di ore di visione. Secondo siti come IMDb e Rotten Tomatoes, che aggregano decine di recensioni professionali e voti di semplici appassionati, il voto medio dato dagli spettatori che hanno valutato il film è intorno al 7, mentre quello dei critici si aggira intorno al 5. Ma ci sono comunque critici e critiche a cui il film è piaciuto.

Uno è Mick LaSalle, che sul San Francisco Chronicle ha scritto: «potrebbe essere il film più divertente del 2021, ed è anche il più deprimente, una strana combinazione che lo rende unico». Per LaSalle, «McKay riesce a far ridere per due ore mentre ci convince che il mondo sta per finire». È simile l’opinione di Mae Abdulbaki, che su Screen Rant ha scritto: «è destabilizzante ma anche cupamente divertente, con la giusta dose di commedia e impegno, cosa che gli permette di non perdere di vista il suo obiettivo e non allontanarsi troppo dalla tensione che ribolle sotto la superficie».

Di Don’t Look Up ha parlato bene anche Mathieu Macheret su Le Monde: «ha una comicità esplosiva, una notevole ampiezza drammatica e una voluta lentezza […] ed è «sorprendente per la sua capacità di tenere tutto insieme senza mai perdere il filo, con personaggi credibili a fianco di grottesche caricature del nostro tempo», come sono per esempio la presidente interpretata da Meryl Streep, la conduttrice tv interpretata da Cate Blanchett e il guru tecnologico interpretato da Mark Rylance.

Oltre ad averne apprezzato tono, comicità e sfaccettature, chi ha gradito il film ha in genere parlato bene anche delle interpretazioni di Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence, i due astronomi che provano ad avvisare il mondo dell’imminente disastro.

Ma in tanti hanno descritto Don’t Look Up come un film compiaciuto, presuntuoso, sconclusionato e meno efficace dei precedenti di McKay: Vice, ma soprattutto La grande scommessa. Su Variety, Peter Debruge ha parlato di un film «intricato» che vuole essere «un Armageddon di sinistra», sull’Hollywood Reporter David Rooney lo ha definito «cinico e insopportabilmente arrogante», spiegando che vorrebbe essere qualcosa di simile a Il dottor Stranamore, diretto da Stanley Kubrick nel 1964, ma che non ci si avvicina nemmeno da lontano.

Rooney ha scritto che, ancor più dei precedenti di McKay, Don’t Look Up «si guarda troppo allo specchio e vuole far sentire i suoi spettatori superiori a quegli amorali conservatori, quei liberali che pensano solo a se stessi e quei capitalisti avidi e insaziabili». Secondo Rooney, se nei precedenti film di McKay c’era però profondità, in questo ci sono solo «fumo negli occhi di chi guarda, battute veloci, saccenteria, spocchia e caratterizzazioni macchiettistiche e scontate».

Secondo l’Economist, Don’t Look Up è «lungo e lento, così come lo sono molti film di Netflix, e incapace di trasmettere l’energia che il suo catastrofico scenario richiederebbe». Sul Wall Street Journal, Joe Morgenstern ha scritto: «avrebbe potuto essere un film molto divertente, se solo fosse stato girato con un po’ di rispetto per la nostra intelligenza e con la voglia di fare satira pungente anziché superficiale nichilismo».

Anche per David Ehrlich di IndieWire è un film che «si sforza di far ridere e che al contempo prova a sostenere che non c’è niente da ridere». Sul Guardian Charles Bramesco ha scritto: «il film spiega anche ciò che è ovvio e lo fa da una posizione di altezzosa superiorità che allontana ogni persona che vorrebbe convincere». La sua recensione si intitola “Look away” (guardate altrove) e presenta il film come un «disastro».

Come sempre, ci sono poi molte recensioni e opinioni che stanno nel mezzo. Sul New York Times, Manohla Dargis ha scritto che è difficile fare un film come questo quando «gli obiettivi della tua satira – specie quelli della politica e dell’infotainment – hanno già raggiunto i massimi livelli di tragedia e autoparodia (spesso entrambe le cose insieme)». Ha poi aggiunto: «a conti fatti, nel film McKay non fa molto altro se non urlarci contro, ma a ben vedere ce lo meritiamo». A proposito di urla, sul Chicago Sun-Times Richard Roeper ha scritto che Don’t Look Up «è pieno di attori di talento, ma è sempre esagerato, senza i cambi di tono che invece sarebbero serviti».

Su Repubblica, in un articolo dal titolo “Capolavoro o pasticcio, l’importante è parlare di Don’t Look Up”, Antonio Dipollina ha riassunto le opinioni discordanti: «piace, il film (definizioni anche come “Capolavoro” o “Descrizione perfetta del nostro tempo”) e parimenti viene detestato per un didascalismo invero irritante, ha dentro una ventina di temi possibili su cui dividere quel mondo che discute di tutto quello che passa davanti, ha un cast eccezionale e assai corretto (DiCaprio è un attivista totale su questioni ambientali), sobilla quelli di un paio di generazioni e sconvolge, per il sobillare altrui, quelli di un altro paio». Sempre su Repubblica, Roberto Nepoti ha scritto: «se Don’t Look Up merita la visita, è più per le buone intenzioni che per il modo in cui le mette in pratica».

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