Il salvataggio di quattro banche italiane

Banca Marche, Banca Etruria, Cassa Ferrara e CariChieti sono nei guai: cosa si sta facendo per evitare che siano i piccoli investitori a pagarne le conseguenze

(ANSA)
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Quattro piccole banche italiane – Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e Cassa Ferrara – sono in liquidazione coatta amministrativa dal 22 novembre, una procedura simile a quella fallimentare ma svolta da un istituto amministrativo e non da un tribunale. Tutte e quattro le banche avevano pessime condizioni patrimoniali, anche se sviluppate in periodi diversi, e rappresentano una piccola porzione del mercato bancario nazionale: circa l’1 per cento. Per le quattro banche è stato effettuato un “salvataggio” da parte del “Fondo di Risoluzione”, un fondo previsto dalla legge italiana e dall’Unione europea alimentato con contributi delle altre banche nazionali (quindi non con soldi dello Stato). La distinzione è importante perché l’Unione Europea non permette l’aiuto da parte dei singoli Stati alle imprese in difficoltà, e ritiene che queste situazioni debbano essere gestite dal libero mercato.

Il “salvataggio”

Per quanto riguarda Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e Cassa Ferrara, la parte “cattiva” di ogni banca – quella con i prestiti che hanno meno possibilità di rientrare – è stata separata dalla parte “buona”, quella con i depositi dei clienti, che è stata temporaneamente affidata ad amministratori designati appositamente. Chi ha “pagato” il salvataggio delle quattro banche sono anzitutto i loro azionisti e chi aveva investito in obbligazioni subordinate. Le obbligazioni sono generalmente di tre tipi: garantite, non garantite e subordinate. Si differenziano principalmente per i guadagni che promettono, per il tipo di rischio e per la loro priorità di rimborso: se l’impresa che le ha emesse non ha i soldi per ripagarle tutte, le prime a perdere dei soldi sono le subordinate (che però erano quelle che avrebbero promesso i guadagni maggiori). In totale il salvataggio è costato circa 3,6 miliardi, anticipati dalle tre maggiori banche italiane: Unicredit, UBI Banca e Intesa Sanpaolo.

I soldi pubblici

In questi giorni si sta parlando della possibilità di un altro intervento, questa volta compiuto – almeno in parte – dallo Stato (quindi con soldi pubblici) per procedere a un rimborso parziale dei sottoscrittori di obbligazioni subordinate. L’idea è costituire un altro fondo, con partecipazioni delle banche e del ministero dell’Economia, pari a circa 100 milioni di euro per rimborsare ai piccoli obbligazionisti qualcosa come il 30 per cento di quello che hanno perso. Un’altra ipotesi prevede invece di concedere a questi soggetti un credito di imposta di qualche tipo (cioè pagare meno tasse) per i prossimi anni. Secondo il ministro dell’Economia Padoan, il nuovo intervento non dovrebbe andare contro le leggi europee perché si tratta di «un’operazione di natura umanitaria» e non di un vero rimborso, cioè un intervento con denaro pubblico a tutela a tutela dei piccoli risparmiatori.