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  • Giovedì 29 ottobre 2015

Le madeleine di Proust, che non erano madeleine

Manoscritti appena pubblicati di "Alla ricerca del tempo perduto" mostrano che inizialmente erano semplice pane tostato

(Karen Booth/flickr)
(Karen Booth/flickr)

La casa editrice francese Éditions des Saints Pères ha da poco pubblicato la riproduzione di tre manoscritti di Marcel Proust, che rappresentano tre stesure temporalmente diverse del celebre episodio delle madeleine, uno dei passaggi più conosciuti di Alla ricerca del tempo perduto.

Quando nel 1907 Proust iniziò a scrivere il primo volume, Dalla parte di Swann, le madeleine – un dolcetto molto comune in Francia, simile a un plumcake ma più burroso – erano invece un pain grillé, del semplice pane tostato, spalmato di miele e da inzuppare nel tè. Nella seconda stesura il pane tostato è diventato un biscotto, che in francese indica sia le fette biscottate che i biscotti di frolla, e soltanto nella terza, piena di note e correzioni, compaiono le piccole madeleine (se volete prepararle anche voi, trovate la ricetta qui).

Una pagina dei manoscritti riprodotti
madeleine

Le riproduzioni sono state stampate in edizione limitata e numerata – mille copie in tutto – e suddivise in tre taccuini Moleskine, per un costo complessivo di 249 euro.

Alla ricerca del tempo perduto è l’opera più importante di Proust ed è considerata uno dei libri più importanti del Novecento. Fu pubblicata in sette volumi tra il 1913 e il 1927. Le madeleine, in italiano maddalene, sono tipici dolci francesi soffici con una particolare forma a conchiglia – derivata dallo stampo in cui vengono cotte – e introducono ne Alla ricerca del tempo perduto il tema della memoria involontaria: mentre ne assaggia una il narratore ricorda quando le mangiava da piccolo, preparate ogni domenica dalla zia Léonie. Nel tempo la metafora delle madeleine è diventata una delle più famose della letteratura del Novecento.

Al mio ritorno a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di bere, contrariamente alla mia abitudine, una tazza di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, cambiai idea. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano Petites Madeleines e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di una “cappasanta”. E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato che s’ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua casa. Di colpo mi aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, quell’essenza non era dentro di me, io ero quell’essenza. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente mortale. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Cosa significava? Dove afferrarla? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda.

(Dalla traduzione di Maria Teresa Nessi Somainia per Mondadori)