I problemi delle automobili connesse

I sistemi di Apple e Google che fanno "parlare" gli smartphone con le auto stanno creando guai riguardo privacy, sicurezza e gestione dei dati degli automobilisti

di Andrea Fiorello – @andreafiorello

Apple CarPlay sulla plancia della Ferrari FF
Apple CarPlay sulla plancia della Ferrari FF

Il costruttore americano Chevrolet – parte del gruppo General Motors  – e quello sudcoreano Hyundai hanno cominciato a vendere negli Stati Uniti automobili dotate dei software Apple CarPlay e Android Auto, due programmi che permettono di comandare direttamente dal touchscreen dell’auto o tramite comandi vocali numerose applicazioni e funzioni dei sistemi rispettivamente di Apple e Google. I modelli Chevrolet e Hyundai – dopo le Ferrari California e FF – sono per ora i primi a offrire questo tipo di software, ma tra la seconda metà di quest’anno e il 2016 Apple CarPlay e Android Auto cominceranno ad arrivare anche in Europa sulle novità di molte case automobilistiche, tra cui il SUV Volvo XC90, la berlina premium Audi A4 e alcuni modelli Volkswagen e Opel.

Nelle ultime settimane alcune tra le maggiori case automobilistiche mondiali, però, hanno fatto sapere di non voler condividere i dati riguardo gli utenti ottenuto coi due nuovi programmi: nelle loro intenzioni c’è soprattutto una questione di soldi – i dati in questione possono essere venduti ad assicurazioni o concessionari di pubblicità – ma anche di sicurezza, dato che l’integrazione fra smartphone e varie componenti dell’auto è ancora una questione molto delicata.

I problemi dell’unione auto-smartphone
Con l’arrivo e la diffusione degli smartphone, negli ultimi anni le case automobilistiche si sono trovate a dover affrontare alcuni problemi “di base” piuttosto complessi: l’integrazione tra i sistemi elettronici delle auto e le funzioni dei sistemi operativi mobili più diffusi – spesso connessi a Internet – ossia quelli di Google e Apple. Le difficoltà derivano principalmente dal fatto che i tempi di sviluppo necessari per realizzare nuovi modelli di auto – circa cinque anni – sono molto superiori rispetto a quelli dell’elettronica. La vita media delle auto, inoltre, rischia di far invecchiare rapidamente le tecnologie a bordo, le quali sono tenute a garantire un grado adeguato di sicurezza dagli attacchi informatici per proteggere gli elementi vitali di un’auto come le centraline che controllano il funzionamento di motore, freni e controlli elettronici.

Per risolvere questi problemi e allo stesso tempo attrarre i consumatori con nuovi accessori potenzialmente decisivi nella scelta di un marchio – specie nel caso di clienti più interessati all’elettronica che alle caratteristiche “meccaniche” di un’auto – le case hanno scelto di procedere per gradi. CarPlay e Android Auto, in pratica, non sono veri sistemi operativi che controllano tutte le funzioni dell’auto e dei telefoni, ma software aggiornabili che replicano sullo schermo della plancia alcune applicazioni degli smartphone, come quelle per la messaggistica e l’ascolto di musica in streaming, oltre ai comandi vocali, alla navigazione Internet, ai social network e agli assistenti personali come Siri o Google Now. Le funzioni più tradizionali dell’auto – per esempio l’ascolto della radio FM, il controllo dell’aria condizionata e tutti i dispositivi di sicurezza – restano quindi integrate nel vero e proprio sistema operativo dell’auto, isolate dai software di Apple e Google; ma è proprio su questo confine che l’industria automobilistica e quella dell’elettronica si stanno confrontando.

Una questione di dati e soldi
Secondo la società di consulenza AlixPartners, nel 2018 il business della “connected car” (auto connessa) varrà 40 miliardi di dollari. È facile quindi intuire come le case automobilistiche stiano cercando di mantenere il controllo sui dati che si generano quando un guidatore collega il proprio smartphone all’auto. Alcuni costruttori hanno già messo in chiaro che non condivideranno con Apple e Google le informazioni sul funzionamento del veicolo, come quelle riguardanti l’uso di sterzo, freni, acceleratore o l’autonomia residua prima del prossimo pieno di carburante. «Dobbiamo controllare l’accesso a questo tipo di dati e proteggere la nostra capacità di creare valore dai nuovi servizi digitali, realizzati sulla base dei dati che ci arrivano dalle auto», ha detto Don Butler, direttore esecutivo per l’auto connessa e i servizi del costruttore americano Ford.

Nei piani delle case automobilistiche, l’utilizzo dei dati dei clienti creerà profitto tramite l’offerta di vari servizi, come la pianificazione della manutenzione o l’invio d’informazioni pubblicitarie che attireranno gli automobilisti nelle concessionarie. I costruttori potranno guadagnare anche grazie alla collaborazione con le compagnie di assicurazione, fornendo loro informazioni che permetteranno una più accurata valutazione del rischio tramite l’analisi del comportamento al volante del singolo automobilista. La preoccupazione di perdere il controllo sul business dei dati e di essere scavalcati nella gestione e configurazione dell’infotainment dal duopolio Apple-Google è la ragione per cui case importanti come l’americana Ford e la giapponese Toyota – rispettivamente sesto e primo produttore al mondo, con 6,3 e 10,2 milioni di auto vendute nel 2014 – hanno deciso per ora di tenersi i propri sistemi di integrazione auto-smartphone, in attesa di maggiori garanzie riguardanti la privacy e i contenuti di eventuali collaborazioni.

Per ora i livelli di condivisione dei dati con Apple e Google variano secondo le scelte delle singole case che hanno invece deciso di adottare i loro sistemi, ma il confronto tra l’industria automobilistica e quella elettronica è ben chiaro anche in un altro settore legato al giro d’affari della connected car: quello delle applicazioni specifiche per auto. In questo caso le case automobilistiche vorrebbero essere coinvolte come diretti (e magari esclusivi) interlocutori degli sviluppatori, mentre Apple e Google stanno spingendo in direzione opposta, cercando di convincere le case a elaborare software che permettano il controllo di tutti i sistemi di bordo dell’auto senza mai uscire dai loro sistemi CarPlay e Android Auto.

E la sicurezza?
Un altro problema fondamentale dell’adozione di software esterni sulle auto è la sicurezza: se i sistemi Apple e Google fossero completamente integrati nell’elettronica di bordo, un semplice “buco” rischierebbe di permettere l’accesso da parte di eventuali hacker alle parti “vitali” dell’auto come le centraline che controllano la meccanica, con conseguenze potenzialmente molto gravi. Un episodio del genere si è verificato di recente sul sistema di gestione del reparto infotainment ConnectedDrive del gruppo tedesco BMW – sviluppato proprio da BMW – in cui una falla nella sicurezza avrebbe consentito di sbloccare le porte di 2,2 milioni di auto tramite la rete telefonica.

Per cercare di evitare simili problemi, il produttore statunitense di auto elettriche Tesla Motors nel luglio 2014 ha organizzato in Cina un hackathon – un evento in cui esperti d’informatica si riuniscono per creare nuovi programmi o lavorare a progetti di vario tipo – promettendo un premio di 10.000 dollari a chi fosse stato in grado di infiltrarsi nel sistema elettronico di bordo della sua Model S, che adotta un software molto avanzato in grado di eseguire aggiornamenti anche alla meccanica tramite OTA (Over-the-air, il metodo usato per aggiornare le applicazioni degli smartphone ricevendo wireless il nuovo software). In quel caso nessuno dei partecipanti è andato oltre il controllo delle luci, del clacson o del tetto apribile.

Altri punti critici dell’unione tra smartphone e automobile sono la stabilità dei programmi e la responsabilità delle aziende in caso di problemi: il rischio è che un malfunzionamento di CarPlay e Android Auto o la loro interfaccia grafica possano distrarre i guidatori, causando incidenti la cui responsabilità andrebbe poi accertata secondo regole e norme ancora non definite.