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  • Lunedì 14 febbraio 2011

È stato un colpo di stato?

L'Egitto "torna alla normalità", le macchine scorrono in piazza Tahrir, ma è una specie di normalità

A general view shows crowds and traffic at Cairo's Tahrir Square, the epicentre of the popular revolt that drove veteran strongman Hosni Mubarak from power, as people camping out in the square pack and leave on February 13, 2011. AFP PHOTO/MOHAMMED ABED (Photo credit should read MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images)
A general view shows crowds and traffic at Cairo's Tahrir Square, the epicentre of the popular revolt that drove veteran strongman Hosni Mubarak from power, as people camping out in the square pack and leave on February 13, 2011. AFP PHOTO/MOHAMMED ABED (Photo credit should read MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images)

Il simbolo del “ritorno alla normalità” per il Cairo e per l’Egitto c’è: la smobilitazione di piazza Tahrir, il luogo che era diventato protagonista delle proteste, è quasi completamente avvenuta, riferisce la BBC: rimangono ancora solo pochi tenaci dimostranti nel traffico automobilistico che è ripreso ad attraversare la piazza. Ma altrove, la normalità è una normalità nuova per molti versi: diverse fonti riferiscono per esempio che le prospettive di nuove libertà e democrazia hanno già portato a far nascere tensioni, proteste, confronti dove prima erano state tenute a freno, soprattutto nei luoghi di lavoro dove i dipendenti chiedono paghe migliori, maggiore efficienza, nuove attenzioni nei confronti dei loro ruoli.

E la normalità è poi una normalità temporanea, che immagina di evolversi in una nuova normalità più stabile quando ci saranno state nuove elezioni e sarà stato creato un nuovo parlamento: quello vecchio è stato disciolto ieri dall’esercito, parallelamente allo sgombro di piazza Tahrir e con simile facilità. E questo porta al nodo a cui tutti girano intorno, in Egitto e nel mondo: se la rivoluzione di piazza Tahrir non si sia risolta in un colpo di stato militare. A molti commentatori internazionali piace dirlo, ed esibire un cinico distacco rispetto agli entusiasmi estesi in tutto il mondo: e di fatto, ora comandano i militari. Però di solito i militari intervengono per sedare le rivolte in supplenza dei poteri democratici, e assai più raramente per consegnare ai rivoltosi la soddisfazione delle loro richieste: la deposizione di Mubarak e la promessa di una nuova Costituzione più democratica. Ieri poi il Consiglio Supremo Militare ha incontrato alcuni gruppi di loro rappresentanti.

Questa è insomma una fase di cautela e sospetto, e di molte attese: in cosa si evolverà dipenderà molto dai tempi con cui le promesse saranno eventualmente mantenute. Che sia poi o no un colpo di stato è un dibattito sulle parole: è una cosa assai più complicata – e per ora assai più promettente dei colpi di stato a cui siamo abituati – che tiene conto di molti contesti particolari, a cominciare dai rapporti internazionali dell’Egitto. E chi, nei paesi occidentali, ha bisogno continuamente di un contesto catastrofico da evocare – l’integralismo dei Fratelli Musulmani prima, l’Iran poi, ora il colpo di Stato – può avere il passato dalla sua parte ma deve provare ad aprire un po’ di più gli occhi sul presente.