Le chiacchiere sulle elezioni anticipate

Di Matteo Renzi che sotto sotto desidera e prepara elezioni anticipate leggete in questi giorni, leggete da mesi, continuerete a leggere a lungo. È un tic tipico dell’analisi e della cronaca politica, legate a modalità tradizionali, che avevano ben senso nella Prima repubblica e sopravvissero anche nella Seconda. Sulla base di una semplice valutazione di convenienza, l’intenzione di sciogliere la legislatura è stata attribuita a Renzi fin dal suo primo minuto come segretario del Pd. Si sarebbe dovuto dunque votare in primavera, subito dopo l’approdo a palazzo Chigi. Magari in accoppiata alle Europee. Oppure subito dopo. O in questi mesi autunnali, nonostante il fatidico semestre di presidenza della Ue. Ora di nuovo la profezia viene avanzata guardando alla primavera prossima, in concomitanza con le Regionali, magari all’indomani dell’elezione del successore di Napolitano al Quirinale.

Renzi può cambiare idea e piano di battaglia in qualsiasi momento, dunque è giusto lasciare sempre un margine di incertezza. Ma ignorare gli impegni che assume, questo i suoi critici e avversari dovrebbero aver capito trattarsi di un errore. E quando il premier ha fissato per sé e per il governo la scadenza dei mille giorni, specificando poi di vedere elezioni addirittura alla scadenza naturale del 2018, ha assunto un impegno sul quale non gli converrà sorvolare.
Qualsiasi dovesse essere il motivo, il giorno in cui Renzi dovesse spezzare anticipatamente questo patto stretto con gli italiani e con il parlamento sarebbe un brutto giorno per lui. Un chiaro segnale che qualcosa non ha funzionato. Una sconfitta. Un passaggio che qualsiasi politico preferirebbe risparmiarsi, uno come Renzi più di chiunque altro. Può succedere, naturalmente, ma sicuramente non è nei suoi piani attuali: l’ansia è di riempire di cose da fare l’agenda del governo e del parlamento, e di arrivare fino al momento in cui la tendenza economica potrà finalmente invertirsi. Per Renzi, come per Padoan, mille giorni sono il tempo giusto.

È giusto però prendere in considerazione le alternative. E allora un ovvio motivo per eventuale cambio di scenario sarebbe lo svuotarsi della maggioranza, nel caso che dal Ncd a Forza Italia si consumasse un esodo in direzione opposta a quello verificatosi un anno fa di questi tempi. Per quanto Berlusconi sia per Renzi un partner solido e affidabile per le riforme istituzionali, neanche il Pd di Renzi potrebbe permettersi di reimbarcare i forzisti nella vera e propria maggioranza di governo, non foss’altro perché verrebbe istantaneamente meno l’attuale assoluta autonomia di manovra del premier. A quel punto recuperabile solo andando a capitalizzare il 40 per cento in nuove elezioni politiche generali.

Questa sola banale considerazione induce a dare il giusto peso alle schermaglie di questi giorni nel centrodestra: poca roba. L’ultimo interesse di Berlusconi è costringere Renzi a scarti bruschi dal percorso attuale, che oltre tutto prevede (de facto, come già accadde con Bersani, dunque non sulla base di chissà quale patto segreto e clandestino) il tentativo di eleggere con maggioranza molto ampia il prossimo presidente della repubblica. Dunque D’Alì non farà proseliti, non troppi almeno. Per ora, tra berlusconiani e diversamente berlusconiani ci si sta solo misurando in vista degli inevitabili patti elettorali regionali della primavera 2015.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.