La trama massonica del Corriere

Ieri sul Corriere della Sera sono usciti due editoriali riunificati in uno. Entrambi molto interessanti e importanti, com’è ovvio per la testata e per l’autore, il direttore Ferruccio de Bortoli. Ma di argomento diverso, all’apparenza.

Il primo editoriale ha messo insieme e riproposto aggravati tutti i più diffusi spunti di critica nei confronti di Matteo Renzi, della sua persona e del suo stile di leadership. Solitario, egocentrico, incapace di fare squadra, irruente, muscolare, superficiale, concentrato più che altro sulla comunicazione. Circondato di collaboratori e ministri più fedeli che leali, deboli, inesperti, generalmente incompetenti (con citazioni positive per Padoan e Delrio), caricature del loro capo. Insomma, un disastro, come s’è già capito all’estero. Motivo per cui de Bortoli dichiara di non essere «convinto» dal premier. Annuncio di una “sfiducia” da parte del Corriere della quale si erano già viste le tracce, certo piazzata abbastanza a sorpresa nel momento in cui Renzi è sfidato da sinistra sul tentativo (da de Bortoli condiviso) di modernizzare il mercato del lavoro.

Il secondo editoriale, condensato in poche righe dopo il primo, è molto più forte. Perché il direttore del Corriere in sostanza dà il via alle danze intorno al vero appuntamento politico-istituzionale del futuro, cioè l’elezione del successore di Napolitano. E la mossa d’apertura è già micidiale: sul Quirinale secondo de Bortoli esiste un’ipoteca contenuta nel patto Renzi-Berlusconi. E questo patto è descritto con tinte grilline: è misterioso, di contenuto sconosciuto («riguarda anche la Rai?») e – punto alto dell’editoriale, o basso se si preferisce – è impregnato «dallo stantio odore di massoneria».
Dunque le riforme istituzionali ed elettorali concordate al Nazareno e l’intero assetto politico fino all’elezione del capo dello stato sarebbero sotto il sigillo di una sorta di nuova P2. Lo scrive il direttore del Corriere (che a questo punto getterà decine di cronisti sulla preda, fino allo svelamento della trama), ma giustamente fanno festa soprattutto al Fatto quotidiano rivendicando il copyright sulla pista massonica.

Ma è immaginabile un de Bortoli travaglizzato? No. Allora che cosa ci sarà dietro, a proposito di sospetti?
Ricomponiamo le due metà dell’editoriale e lo capiremo.
La tesi volgarotta della seconda parte (ma poi l’afrore massonico de Bortoli lo avverte con sette mesi di ritardo? E c’entra qualcosa anche Napolitano, che di quel patto come si sa è auspice?), la tesi dicevamo è in realtà funzionale all’avvertimento a Renzi, implicito nella prima parte, a non fare da solo. Ad accettare consigli, a far fare agli esperti. Perché non è vero, si legge in filigrana, che non ci siano alternative per l’Italia: può sempre arrivare la troika europea, tecnici e tecnocrazia, completando nel 2014 l’intervento avviato nel 2011 con l’esautoramento di Berlusconi. Neutralizzando ogni patto e ogni Nazareno. Facendo ovviamente saltare i piani di compassi e grembiulini sul Quirinale.

De Bortoli è e rimane un grande giornalista. Ed è questa bella differenza rispetto a tanti dietrologhi da strapazzo che inquieta, oggi. Perché autorizza a sospettare che l’insofferenza dell’establishment verso «l’irruenza» del premier sia ormai a livelli di guardia, superati i quali possano effettivamente ripartire manovre di commissariamento della politica, con tanti saluti anche al 40,8 per cento.
Che adesso Renzi si fermi o si freni intimorito, possiamo escluderlo. Certo lui e tutto il Pd devono sapere che dopo tante schermaglie, siamo arrivati al gioco duro.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.