L’asfaltatore democratico

A quanto pare c’è qualcuno che s’è sentito disturbato per l’immagine usata da Matteo Renzi a proposito degli avversari politici di sempre, nel momento di spiegare che a loro non converrà di mettere il governo in crisi e di andare alle elezioni «perché se si vota stavolta li asfaltiamo».
Se una frase del genere suscita fastidio, perfino nello stesso Pd, è una buona e clamorosa notizia: vuol dire che lo standard dello scontro politico in Italia è diventato altissimo, quasi etereo, una cosa che neanche gli anglosassoni (che infatti si dicono molto di peggio). Ieri eravamo sotto lo tsunami di Grillo e d’un tratto siamo il paese del perfetto bon ton, incredibile.
Lasciamo perdere queste ipocrisie: Renzi piace anche perché non ne pratica alcuna, e perché parla un linguaggio comprensibile a qualsiasi italiano.

Il problema al solito è politico, e cioè che il solo minacciare gli avversari di sconfiggerli nelle urne pare essere diventato un attentato alla stabilità del paese.
La cosa è assurda, anche perché ci rifiutiamo di credere che ci sia davvero qualcuno che voglia trasformare le larghe intese in una formula politica permanente.
Certo poi questo qualcuno non sarebbe il bipolarista nato Enrico Letta. Nessuno è autorizzato a sospettarlo di un disegno tanto improbabile, che lui infatti nega in ogni occasione. Fino a prova contraria, nel ciclo economico ci sono sufficienti ragioni oggettive per dar ragione al premier nel suo tentativo di far durare il governo sia pure «non a ogni costo»: anche Renzi può e deve riconoscerlo.
Quanto alla gettata di asfalto elettorale: chi può negare che se fosse Berlusconi il favorito per le elezioni, allora davvero il governo avrebbe i giorni contati?

E il mestiere del futuro segretario del Pd: quale si pensa che debba essere, se non quello di proteggere Letta con la propria forza ritrovata; preparare il centrosinistra a vincere veramente, tra un mese fra un anno o fra tre anni; e soprattutto prepararsi a fare meglio per l’Italia, una volta andati al governo da soli, senza stati d’emergenza politica e senza tutoraggi istituzionali? Sarà ben questo il mestiere di un segretario di partito chiamato alla rifondazione, o no?
Renzi va incalzato, altroché, su un’idea di Pd ancora vaga, come se tutta la sua partita si giocasse in un singolo gamble elettorale. Sulle battute lasciamolo perdere, che poi nessun governo sano è mai caduto per una battuta.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.