Meglio le riforme che le furbizie

Non serve lamentarsi dell’autolesionismo e della mancanza di disciplina all’interno del Pd, se poi è il partito stesso che costruisce da sé le trappole e le occasioni per incidenti.
Né serve ripetersi nelle riunioni di vertice che ormai la sensibilità dell’opinione pubblica su alcuni argomenti è altissima, se poi logiche politiciste inducono a operazioni destinate a generare nuovo disorientamento, nuove delusioni, nuovo sconcerto.

Spero di sbagliarmi, e già ieri sera all’arrivo delle prime notizie sul discorso di Enrico Letta ai deputati democratici ho avuto un sollievo rispetto ad alcune cattive impressioni. Perché, al di là delle serie e rassicuranti parole del premier, qualche volta sembra che la sacrosanta esigenza di sostenere e difendere il governo stia inducendo anche il Pd a scelte che sarebbero fattori di maggiore instabilità, non del contrario. Come il rinvio a data da destinarsi della riforma elettorale e della riforma del finanziamento pubblico ai partiti nella direzione indicata da Letta.
Lo so anche io che, secondo i manuali del Transatlantico, un’ora dopo che un parlamento ha approvato una riforma elettorale la legislatura può considerarsi estinta.

I manuali della politica possono però anche essere riscritti.
Per esempio, in una loro edizione aggiornata aggiungerei che provare a proteggere un governo rimandando artificiosamente una riforma che i cittadini aspettano come un messaggio liberatorio è un espediente troppo evidente, che già due volte nel recente passato si è ritorto contro chi l’aveva concepito.
Peggio ancora sarebbe – ma per fortuna l’indiscrezione che attribuisce a Epifani e a Bersani questa idea non ha trovato conferma – consegnare di nuovo l’abolizione del Porcellum ai tempi e alle incertezze di un referendum: un finto omaggio alla sovranità popolare che in realtà equivarrebbe a confermare, per l’ennesima volta, l’incapacità di partiti e parlamento a fare il minimo del proprio dovere.

L’ideale invece, per una legislatura che voglia capovolgere la pessima immagine che il sistema politico ha dato di sé negli ultimi anni, sarebbe mettere al più presto al sicuro una buona riforma elettorale, maggioritaria in modo sano e non malato.
Da quel momento, la salute del governo e della legislatura dipenderebbero solo dalla forza e dall’efficacia del patto politico e dei risultati per il paese, come del resto ha detto lo stesso Letta ieri sera (aggiungendo però: non bastano più le parole su questi argomenti, ci vogliono i fatti).
Dunque, nessun artificio. E soprattutto nessun tappo: dovrebbe essere chiaro a tutti, ormai, che di questi tempi i tappi non reggono.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.