L’equilibrio del terrore a Montecitorio

È il festival delle proposte di legge avanzate e ritirate nel giro di una giornata, dopo aver danzato per qualche ora sulla cresta di una tempesta mediatica, aver riproposto ansiosi interrogativi sulla durata del governo, aver scatenato raffiche polemiche evitabili.

Andiamo dalla riapertura dei termini per il condono edilizio al divieto di presentazione alle elezioni dei non-partiti, dall’azzoppamento del concorso esterno in associazione mafiosa alla legge-bavaglio sulle intercettazioni telefoniche, e siamo sicuramente solo all’inizio.
Succede che a inizio legislatura i parlamentari di centrodestra e centrosinistra si rifacciano sotto con proposte figlie di un’altra era politica, magari presentate mesi fa alla vigilia della campagna elettorale, in pieno clima di contrapposizione. E che subito debbano fare i conti con un quadro politico che invece consente pochissimi margini di manovra partigiana.

Si distinguono in questa inane opera di montaggio e smontaggio di polemiche gli eletti del Pdl, sulle materie di giustizia sulle quali un tempo non mettevano limiti alla fantasia. Del resto, per capire la situazione basti considerare che i falchi devono essere frenati da due capigruppo come Schifani e Brunetta, cioè da un autore di lodi ad personam e da un attabrighe professionale.
Anche in casa democratica si avverte un deficit di comando. Al senato, Zanda e Finocchiaro hanno detto cose diverse sull’opportunità di rinunciare alla norma ormai sfortunatamente conosciuta come anti-movimenti o anti-Grillo.

Intanto, su una vicenda speculare ancora più delicata – quella dell’ineleggibilità di Berlusconi – si consuma uno psicodramma nel Pd tra chi su questo punto vorrebbe offrire sponda al M5S (cioè agli stessi che con l’altra mano il Pd vorrebbe escludere dalle elezioni) e chi ritiene assurdo riaprire un contenzioso che avrebbe avuto senso venti anni fa, cioè all’inizio e non alla fine del ciclo di protagonismo politico del Cavaliere, peraltro già pronto a ripresentarsi come vittima del sopruso di chi non sa batterlo democraticamente.

Sia per il Pdl che per il Pd queste sofferenze sono l’onda lunga della stagione del bipolarismo blindato. Da entrambe le parti si fa fatica a interpretare la necessaria e virtuosa autonomia parlamentare senza scivolare nel tic che fa infuriare l’avversario (ora partner di governo) su questioni che sono in realtà fuori dalle priorità nazionali, suscitate quasi solo per dispetto reciproco. Di questo passo, toccherà dar ragione a chi pensa che l’identità dei due partiti sta stata – adesso e sempre – definita più da queste scaramucce laterali ma letali, che dal confronto fra soluzioni alternative ai problemi del paese.

Apparentemente è un problema grave per Letta e Alfano e per il loro governo. Ma non è detto. Magari invece, chissà, questo fare e disfare dispetti reciproci potrebbe finire per diventare l’assicurazione sulla vita dell’esecutivo: una sorta di equilibrio del terrore stile Guerra Fredda, che fa durare la tregua invece di precipitare subito nel conflitto.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.