Monti va male, un guaio per il PD

Speriamo di non doverli rimpiangere, il senatore Monti e le sue liste, dopo averne parlato male per tutta la campagna elettorale. Perché quando il presidente del consiglio decise di partecipare alle elezioni e di mettere il nome su un simbolo, si vide da sinistra più il rischio di una competizione che non l’opportunità di un interlocutore difficile ma affidabile, in caso di maggioranza parlamentare incerta.
Oggi le cose stanno evolvendo in una direzione che invita a ripensarci un momento.

I segnali per Pd e centrosinistra sono contraddittori. Positivi per il proprio risultato e per il margine di distacco rispetto al Pdl (che pare stia aumentando invece che restringersi). Inquietanti per il quadro generale.
A quel che si coglie, le due coalizioni di Berlusconi-Lega e dei centristi annaspano e addirittura arretrano, mentre sale a vista d’occhio il consenso per Beppe Grillo. Con la conseguenza che fra una settimana i senatori centristi e montiani potrebbero non essere abbastanza numerosi per risolvere l’eventuale deficit di seggi progressisti.

Una conferma indiretta di questa prospettiva viene da Bersani medesimo, che ieri ha fatto esplicito riferimento a uno scouting da compiere nei gruppi parlamentari grillini. Non per portare via degli eletti, ma per valutarne la disponibilità a convergenze parziali, limitate, su obiettivi parlamentari.
Torna in ballo perfino la questione della presidenza di una delle due camere, che fino all’altroieri pareva una faccenda da risolvere fra Pd e Udc: quando D’Alema ripropone la convinzione (follemente ignorata nel 2006) di dover lasciare all’opposizione uno dei due scranni, a quale opposizione pensa? Se il secondo partito d’Italia dovesse rivelarsi non il Pdl bensì il M5S, l’offerta non andrebbe rivolta a loro, come è già successo in Sicilia?

In conclusione, il Pd potrebbe trovarsi di fronte al paradosso di aver ben limitato la crescita di Monti e di doversene un po’ pentire. Naturalmente la responsabilità principale del flop che si intravede ricade sui promotori di un’iniziativa politica che non risulta non abbastanza dirompente e innovativa per i gusti attuali degli italiani. Ma il prezzo di questo mezzo fallimento (sempre che davvero finisca così) potrebbe pagarlo più chi vince, che chi perde.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.