Il rischio di rottamare i giovani

Che la prossima legislatura assuma davvero la questione giovanile come priorità, è tutto da vedere. Certo non s’è mai parlato tanto di giovani come in questa campagna elettorale. Alle innumerevoli proposte tipo la detassazione delle assunzioni degli under 30, adesso si aggiunge perfino un problema di diritto di voto da garantire ai ragazzi che studiano all’estero con Erasmus: il Pd ha chiesto alla Cancellieri un decreto ad hoc.
Del resto il ministro fa parte di un governo che s’era seduto ai tavoli delle trattative sulle riforme (delle pensioni, del lavoro) come rappresentante di generazioni ignorate dalle forze sociali.
Per quanto riguarda il centrosinistra vale l’effetto Renzi. Il rinnovamento generazionale va di moda sia nella versione del rottamatore che nella versione bersaniana, non meno incisiva. Raccontava giorni fa Matteo Orfini, della segreteria Pd: «Nella compilazione delle liste per il parlamento faticavamo a trovare candidati per il senato più anziani di quarant’anni».
È un fatto senza dubbio positivo, che oltre tutto potrebbe aiutare la sinistra a ritrovare insediamento in una fascia anagrafica che da almeno trent’anni s’è diretta altrove.
È anche un bene che, aprendo loro le porte della vita politica al livello più alto (è un discorso che si sente fare anche a proposito del prossimo gruppo dirigente del Pd, dopo le elezioni), si chieda ai giovani di fare qualcosa di più della solita claque, o del solito bel discorso in una convention.
C’è solo un problema, e non si può pretendere che siano i ragazzi stessi a farsene carico: il rovescio della medaglia di sbarcare in parlamento molto presto, trentenni o anche meno, quando ancora non si hanno un lavoro stabilizzato, una vita definita, un equilibrio esistenziale.
Il rischio di legarsi alla politica (e ahinoi al posto nella politica) come alla propria unica risorsa.
C’era una ragione, in società molto diverse dall’attuale, se nei parlamenti di una volta si arrivava in età matura, come coronamento di carriere e professioni: in teoria valevano l’esperienza, la competenza, la stabilità personale.
Ora il valore è rovesciato nel suo opposto. Con tanti vantaggi, ma anche il rischio di predestinare le giovani promesse di oggi a diventare gli ostinati rottamandi di un domani non tanto lontano.
Con la regola dei due mandati, se entri in parlamento a 24 anni massimo a 34 sei fuori. E poi? Mica c’è posto per tutti a Domenica in, con Irene Pivetti.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.