Che vuol dire Monti nel 2013

Mario Monti nel 2013? Non è fantapolitica, non è una provocazione, non è una manovra. Ovviamente non è neanche una notizia: non è sufficiente, a renderla tale, che dei commensali incitino il presidente del consiglio a ricandidarsi senza che lui si alzi dal tavolo indignato, insultandoli.

Diciamo che la permanenza di Monti a palazzo Chigi da una parte è un amo lanciato agli ingordi pesci della finanza mondiale, per vedere se davvero il problema Italia ai loro occhi è l’incertezza sul futuro politico. E dall’altra parte è una razionale ipotesi allo studio delle segreterie dei partiti.
Per Pdl e Pd risponde a due logiche opposte: ai post-berlusconiani serve un’altra zattera per non affogare elettoralmente, devono disperatamente comprare tempo. Nel Pd invece non tutti hanno fretta di impugnare a mani nude il pentolone bollente della crisi italiana; e del resto in Europa Monti si è dimostrato disponibile e adatto a fare sponda con Hollande almeno quanto avrebbe fatto Bersani, con un plus di carisma e di relazioni internazionali.

Il punto rispetto al quale però il Pd non potrà mai arretrare è la legittimazione elettorale di una maggioranza politica. Questa scadenza non è rinviabile né rinunciabile. E ha una conseguenza ovvia: dopo il 2013 Monti o chi per lui non potrà reggersi sulla attuale “strana coalizione”. Nessuno nel Pd è disposto a sobbarcarsi altri casi Rai, altri casi De Gregorio, altri inutili girotondi intorno alle riforme istituzionali. Ergo, il Pdl rimane fuori, niente zattere da condividere. La versione democratica della Grosse Koalition non si spinge oltre Fini.

Ma per separare le proprie sorti da quelle di Cicchitto e compagnia, bisogna evitare di affondare con loro nel discredito popolare. Alla linea indicata ieri da Napolitano sulla legge elettorale non va dato un plauso formale. Va seguita alla lettera. Cioè: imporre adesso un voto in parlamento, sul testo di riforma del Pd o già su un testo di mediazione. Se il Pd andasse in vacanza senza aver fatto almeno questo passo, darebbe ragione a chi lo accomuna agli altri partiti.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.