Rifare l’Italia, oppure rifare il Pci

Sarà interessante venerdì seguire i lavori del convegno organizzato dal Crs con Rifare l’Italia (il gruppo interno al Pd di cui sono capofila Orfini, Fassina, Orlando). Relatori di prima categoria, il tema è quello cruciale delle “forme della politica organizzata”, ovvero ciò che sta più a cuore a quest’area di democratici: come possa un partito “autentico” (cioè solido, strutturato, radicato nel territorio, “degli iscritti” più che “degli elettori”) riconquistare a sé e alla politica il primato che contemporaneità, individualismo e frammentazione sociale gli hanno strappato.

Tranne sporadiche presenze altre, l’ossatura del convegno (e del relativo progetto politico) è saldamente post-diessina, com’è giusto considerati gli attuali assetti Pd.
Bersani vinse le primarie soprattutto su una suggestione che andava incontro all’ansia di un corpo militante frastornato da scioglimenti, fusioni, commistioni, fino alla liquidità veltroniana considerata causa della sconfitta elettorale.

Oggi il suo partito solido deve però fare i conti con una realtà più solida, e cioè che la caduta del berlusconismo non restituisce affatto un paese ricomposto secondo le linee di demarcazione destra-sinistra, nel quale operare come qualsiasi normale socialdemocrazia europea. La colpa ne viene attribuita alla malvagità «della borghesia», pronta a cavalcare il vento anticasta in chiave di aggiornato fattore K.

Sta di fatto però che la risposta di Bersani a questa crescente mobilità e inafferrabilità sociale ed elettorale non rivendica centralità di partito ma anzi teorizza e pratica cessioni di sovranità: primarie aperte per leader e parlamentari, liste civiche, società civile chiamata alla supplenza. Mosse veltroniane (anche perché Veltroni è fisicamente dietro a molte di esse) ma anche dalemiane (lui che fece una campagna elettorale cancellando dai manifesti il simbolo del partito).

Come si vede, la scuola di tattica è comunque la stessa. Il che potrebbe suggerire come soluzione ai problemi d’oggi il recupero dell’antico efficace sistema di collateralismo tra Pci e corpi intermedi che consentiva agili scambi di ruoli, funzioni, carriere. Se n’è avvertito il sapore nella recente vicenda dei nomi per il cda Rai, dunque può funzionare. A due condizioni. Che la divisa società civile rinunci alle sue pretese e sia disposta a fare sponda a una nuova guida di partito. E che si prendano tanti, tanti voti in più di quelli ora certi per il Pd.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.