Dietro il velo delle polemiche

C’era una perfidia neanche tanto sottile, nella coda del discorso di Mario Monti ieri al senato. Quando, riferendosi evidentemente ai resoconti di stampa sui suoi vertici di mercoledì con Berlusconi e Bersani, il presidente del consiglio ha ringraziato i partiti della nuova maggioranza tecnica, «che mi appoggiano più di quanto lascino credere o dichiarino».

Se Monti fosse una figura del famoso teatrino della politica, una battuta del genere andrebbe annoverata sotto la voce: avvertimenti. Cari Pdl e Pd, io capisco se davanti ai vostri elettorati fate le facce sofferenti per i sacrifici della manovra, ma non esagerate. Perché anche io so comunicare con gli italiani: potrei ricordare loro che a palazzo Chigi mi avete chiamato voi e raccontargli come in privato mi incitiate ad andare avanti nonostante polemiche e freddezze pubbliche. Monti non è un teatrante della politica, dunque non parleremo di avvertimento bensì di bonaria presa in giro. Con un bel po’ di verità dentro, però.

Di Berlusconi l’unica cosa oggettiva che si possa dire è che si è trasformato in uno straordinario fattore di stabilità del quadro politico. Per essere un leader detronizzato appena un mese fa dopo diciassette anni di egemonia, ha assorbito bene la botta. Fin troppo bene, per molti dei suoi sostenitori. È troppo presto, ancora non sappiamo quale sarà sul medio periodo l’impatto per il Pdl di questo disarmo. Quando incontra i suoi, il Cavaliere promette vigilanza, e la rivincita. Ma l’ha già comunque fissata al 2013, mentre tutte le sue scelte vere, impegnative, concrete vanno nella direzione di lasciare lavorare Monti per tutto il tempo che gli servirà. Qualcuno potrebbe anche nutrire il sospetto di un distacco crescente, in più stadii, dall’impegno diretto. Esiti processuali come quello del caso Mills, ieri, aiuterebbero in questo senso.

Il discorso a proposito del Pd è parallelo ma molto diverso. Rispetto al Pdl, i democratici danno l’idea di essere molto più impegnati nel confronto quotidiano col governo sulle misure economiche e sociali. C’è come un investimento maggiore, che naturalmente deriva dalla più netta vocazione sociale del partito di Bersani ma finisce per dare un’idea di tensione politica più forte, nel male ma anche nel bene. Infatti i berlusconiani più accorti ne soffrono, e cercano di recuperare terreno e visibilità su questi temi.
Bersani non perde occasione per ribadire che il Pd è altra cosa e ha altri programmi rispetto a Monti. La realtà quotidiana però è di relazioni frequenti e poi c’è quel fatto ineludibile: nell’agenda di Monti, Fornero, Passera, Barca, Riccardi, Profumo stanno confluendo anni e anni di elaborazione riformista. L’intesa politica col Pd non è certo facile ma il linguaggio è comune. Gli interventi di Bersani nel fuoco della polemica sull’articolo 18, pubblici e soprattutto privati, sono stati quelli di un facilitatore, non di uno che pone veti: l’effetto è stato rapido, positivo, come auspicato dal capo dello stato.
Le materie della fase due, per come enunciata ieri da Monti, sono il cuore della vocazione del Pd. Il governo ha intenzione di affrontarle sul serio, col metodo del dialogo ma per raggiungere risultati.

Per questo motivo l’idea di un sostanziale disimpegno del Pd dalla vicenda del governo tecnico, da trattare a mo’ di parentesi, non solo è lunare ma si rovescia nel suo opposto: successi e insuccessi del governo, e come il Pd giocherà il proprio ruolo di pieno inevitabile coinvolgimento, definiranno i caratteri e la sorte del partito di Bersani.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.