La ragazza Amy, quella morta d’amore

Sono passate solo poche ore dall’annuncio della morte, ma basta fare un rapido giro in rete per trovare ovunque fotografie di Amy Winehouse: sono tutte identiche. Come se Amy fosse diventata ormai un fumetto, non più una persona. Tormentato, certo, ma un personaggio. Poi ci sono le didascalie che accompagnano le foto, anche quelle tutte uguali: flirtava con la morte, problemi di alcool, droghe, ricoveri. Un quadro perfetto, sentito già mille volte, un profilo che combacia perfettamente con quello di altri ché i paragoni sono facili, vengono bene e portano via poco tempo. Amy è morta a 27 anni, dopo essere diventata stratosfericamente famosa nel 2006, dopo l’uscita di Back to black. Dal 2006 ad oggi fanno cinque anni, non una vita. Cinque anni che l’hanno consegnata alla storia della musica, ma che non sono una vita intera. Perché Amy Winehouse esisteva anche prima di diventare il fenomeno Amy Winehouse. Alle volte lo si dimentica, ma è così. A ricordarcelo è una scena di I told you I was trouble, il documentario uscito qualche anno fa.  In questa scena c’è una ragazza al suo primo provino davanti a quelli che diventeranno i suoi discografici. Ha i capelli corti, è vestita in modo normalissimo, completamente diversa da come ci abitueremo a vederla sul palco. Sembra leggermente agitata. Soprattutto, quella ragazza sorride. Sembra felice. Probabilmente lo è. È la sua occasione: quando inizia a cantare, poi, è chiaro subito a tutti che è dotata di un talento straordinario. Quello che succede dopo quella scena lo sappiamo: la sua vita si trasforma in un insieme di cliché sul rock e sul maledettismo legato all’arte, fino al più estremo dei luoghi comuni: morire di overdose, a 27 anni, nientemeno, diventando così materiale per statistica, un nome da aggiungere alla lista la prossima volta che si deve fare un boxino sugli artisti maledetti. La cantante Amy Winehouse è morta così, un cocktail casuale di droga e alcool, perché è così che muoiono le rockstar, e i fiori, le pagine dei giornali, le lacrime dei fan sono lì a testimoniarlo. Scene di un film già visto. Ma la ragazza Amy Winehouse lei no, lei è morta d’altro, perché a 27 anni nel 2011 una ragazza normale non muore di droga, almeno che non lo voglia davvero. La ragazza Amy è morta perché era ormai troppo tempo che non sorrideva più. Forse la ragazza Amy è morta addirittura prima, quando la rockstar ha incominciato a prendersi troppo spazio nella sua vita, chi lo sa. O forse la ragazza Amy è semplicemente morta di dolore. I giornali inglesi raccontano che fosse disperata per la fine della storia con il regista Reg Traviss, suo fidanzato da più di un anno. Disperata come può esserlo solo una ragazza che si ritrova di nuovo con il cuore spezzato.  Perché se c’era una cosa che rendeva davvero speciale la ragazza Amy non era tanto il suo essere una rockstar. Era la sua capacità di cantare di quando lui ti manca così tanto che ti sembra di impazzire, del dolore che si rinnova ogni volta che lui torna da quell’altra, della solitudine che ti prende quando ti rendi conto che quella sbagliata dei due sei tu, non lui. Disperazioni che tutte noi ragazze normali abbiamo provato almeno una volta nella vita, soprattutto a 23 anni. La ragazza Amy è morta d’amore. D’altronde ce lo aveva insegnato lei: l’amore è un gioco al quale si perde sempre. E qualche volta, addirittura, si muore.

 

 

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.