Come ti disegno il vincitore

Se pensate che porre la fiducia sul Rosatellum bis sia una mossa aggressiva, lasciate che vi racconti dei Repubblicani del Wisconsin e delle loro mappe elettorali, su cui la Corte Suprema dovrà decidere a breve. Nel 2011, il parlamento del Wisconsin, controllato dai Repubblicani, aveva ridisegnato i confini dei collegi elettorali per l’elezione dei deputati e dei senatori dello stato. Alle elezioni dell’anno dopo, i Repubblicani presero poco meno della metà dei voti e i Democratici un po’ di più. Ciononostante, grazie ai nuovi confini dei collegi i Repubblicani ottennero 60 seggi e i Democratici soltanto 39. L’operazione aveva funzionato e i Repubblicani si erano assicurati un’ampia maggioranza dei seggi senza avere la maggioranza dei voti.

Questo tipo di manovre non è certo una novità inventata dagli ingegnosi Repubblicani del Wisconsin. Gli americani hanno persino una parola apposita per descrivere questo tipo di maneggi: gerrymandering, che significa appunto “cambiare i confini di una circoscrizione elettorale per dare un ingiusto vantaggio a un partito”. In un sistema elettorale in cui chi prende anche un solo voto in più viene eletto, i confini del collegio contano parecchio. E se si hanno sufficienti informazioni sulle simpatie elettorali della gente, si può provare a disegnare i collegi in modo tale da assicurarsi la vittoria con una minoranza di voti.

Questo è possibile perché vincere con 100 o con 10.000 voti di scarto non fa differenza. Si può quindi disegnare una mappa in cui si vince di poco in molti collegi e si perde male negli altri. Immaginate una città di 300.000 elettori che va divisa in tre collegi da 100.000 elettori ciascuno. Poniamo caso che una maggioranza di questi elettori, 160.000 contro 140.000, voti per i Democratici e che voi siate dei Repubblicani che hanno la possibilità di modificare le mappe elettorali. Se conoscete la distribuzione geografica delle preferenze politiche, potrete fare in modo che i Democratici risultino minoranza in due collegi su tre. Basta avere, per esempio, un collegio in cui i Repubblicani vincono con 55.000 voti contro 45.000, un secondo collegio in cui i Repubblicani vincono con 52.000 voti contro 48.000, e un terzo collegio in cui i Repubblicani perdono clamorosamente con 33.000 voti contro 67.000. Se si sommano i voti di tutta la città, i Repubblicani hanno preso 140.000 voti, cioè poco meno del 47%, ma ottengono due deputati su tre.
Intuitivamente, la cosa sembra un insulto alle normali regole della democrazia. Come ha chiesto la giudice Ruth Bader Ginsburg all’udienza dello scorso 3 ottobre, che ne è in questo caso del prezioso diritto di voto? Il rischio, ha suggerito Ginsburg, è che il cittadino consideri il proprio voto inutile perché le sorti del collegio sono state già decise a tavolino.

In pratica, però, la questione è più complicata di così. I collegi elettorali vengono corretti e ridisegnati per svariate ragioni, come i cambiamenti demografici. E il gerrymandering del Wisconsin – come di solito accade – arrivò proprio dopo un nuovo censimento, quello del 2010. Come si fa a distinguere una mappa elettorale lecita da una illecita? Come ha risposto l’avvocato del Wisconsin al giudice Ginsburg, può capitare a chiunque di vivere in un distretto in cui il partito per cui si vota risulta sistematicamente in minoranza. In quel caso che ne è del diritto di voto?
La Corte Suprema aveva già preso una decisione importante sulla questione qualche anno fa, nel caso Vieth v. Jubelirer. Dopo il censimento del 2000, la Pennsylvania aveva rimaneggiato le mappe elettorali per favorire il Partito Repubblicano e alcuni militanti Democratici avevano fatto causa. La questione era arrivata sino alla Corte Suprema. Quattro giudici liberal volevano cancellare il nuovo piano, quattro giudici conservatori volevano evitare di mettersi a giudicare su questo argomento. Il nono voto decisivo fu quello di Anthony Kennedy, giudice di nomina repubblicana ma che in varie questioni importanti ha deciso di schierarsi con l’ala liberal (è sua, per esempio, la celebre sentenza sui matrimoni omosessuali). Per Antonin Scalia, che scrisse la sentenza per la maggioranza, era impossibile avere un criterio chiaro per poter distinguere una mappa valida da una mappa incostituzionale. Qualche volta, scrive Scalia, non è affare dei giudici dire se una cosa è giusta o sbagliata. Il gerrymandering sarebbe uno di quei casi. Disegnare o correggere la mappe elettorali non è compito dei giudici, ma del legislatore.

L’idea di Scalia può sembrare semplicemente un modo astuto per giustificare una scelta faziosa. Ma se ci pensate bene non si tratta di una cosa così assurda. Qualsiasi regola elettorale può portare vantaggi a questo o a quel partito. Ma è davvero difficile dire quando avvantaggiare il proprio partito è una mossa sgradevole o addirittura una conseguenza casuale, e quando invece è una cosa illecita. Ancor più complicato, poi, è stabilire se la costituzione pone dei limiti a queste pratiche, e quali. Insomma, senza un criterio tecnico per decidere il rischio è quello di spostare la faziosità dalla politica locale alla Corte Suprema. Kennedy votò per tenere in piedi le nuove mappe della Pennsylvania. Il suo ragionamento era però diverso da quello di Scalia. Per Kennedy era teoricamente possibile trovare un qualche criterio per dire se una mappa elettorale è così faziosa da essere addirittura incostituzionale. Ancora questo criterio non è stato trovato, osservò Kennedy, ma non è detto che non lo si trovi in futuro.

Forse il futuro è arrivato adesso, 13 anni dopo. L’aria è cambiata, il gerrymandering si è andato diffondendo sempre di più ed è diventato sempre più sofisticato e aggressivo. McCain, Kasich e altri esponenti repubblicani hanno pubblicamente invocato un freno ai casi più estremi e alcuni studiosi hanno messo a punto delle teorie promettenti per misurare quando una mappa faziosa è incostituzionale. Questa volta quello di Anthony Kennedy potrebbe essere il voto decisivo per porre un limite al gerrymandering. È improbabile che la Corte Suprema si occuperà mai di tutti i casi minori e meno eclatanti, ma è possibile che Kennedy e i giudici liberal traccino una linea di confine per evitare i casi più estremi di mappe elettorali faziose.

Roberto Tallarita

Studia cose tra diritto e economia, ma ha sempre il cruccio della filosofia. Ha vissuto in Sicilia, a Roma, a New York, a Milano; e ora a Cambridge, Massachusetts. Gli piacciono i libri, i paesaggi americani, e le discussioni sui massimi sistemi. Scrive cose che nessuno gli ha richiesto sin dalla più tenera età. Twitter: @r_tallarita