La memoria della Libia ha bisogno di fondi

Quattro mostre, 400 fotografie: ADIL (Almost down in Libya) è un progetto in Libia per non dimenticare. È un progetto espositivo e ha bisogno di denaro. Dove trovarlo? Con il crowdfunding.
Il crowdfunding è un modo apparentemente semplice per trovare soldi che finanziano dei progetti. Un finanziamento dal “basso” che mette in relazione persone e denaro per dare il via e per promuovere progetti culturali e sociali di cui il web è il motore. Citizen Journalism, partecipazione attiva, web 2.0, superamento delle barriere del “professionista” del comunicare, coinvolgimento del pubblico nel processo creativo e, soprattutto, la rete come luogo di scambio tra domanda e offerta. Questa è la materia prima del crowdfunding che in America, il 5 aprile scorso, è stato regolamentato dal J.o.b.s (Jumpstart Our Business Startups), decreto legge firmato dal Presidente Obama che, di fatto, “fa ordine” nel mercato delle startup.
 
Nella variegata costellazione della fotografia documentaria il crowdfunding sta letteralmente esplodendo.Si possono perseguire due strade: nella prima, si apre un sito web (costo relativamente leggero), si spiega il progetto per cui si chiedono i finanziamenti e si usa il sito stesso come piattaforma per la raccolta del denaro. Nella seconda, più collaudata, ci si appoggia a piattaforme come Emphasis o Kickstarter, solo per citare le più conosciute, si dichiara la cifra necessaria; si indica un tempo di inizio e di fine (in genere di qualche mese), entro il quale i soldi devono arrivare e il progetto partire. La richiesta di fondi prevede voci di spesa, mai di compenso. E i finanziatori? Soggetti attivi, che seguono il progetto passo dopo passo e che beneficiano del primo strumento di comunicazione: un catalogo o una stampa. Fin qui tutto semplice. Non è semplice però arrivare a ottenere il finanziamento necessario.
 
Un esempio di crowdfunding è il progetto ADIL (Almost-Dawn-in-Libya) di un gruppo non troppo eterogeneo di fotografi, animati dalla stessa passione per raccontare, con le immagini, le storie del mondo in difficoltà. Tutto è nato da André Liohn, fotografo da sempre impegnato nell’attualità internazionale e, in particolare, in Medio Oriente: ha riunito un gruppo di professionisti come lui per provare a costruire qualcosa che restituisse al popolo libico il rapporto con la guerra appena vissuta ma che fosse filtrato dalle immagini fisse, quelle capaci di suscitare la consapevolezza di uno sguardo a posteriori. L’idea gli è venuta studiando progetti di “visual communication for reconciliation” che hanno verificato quanto rivedere immagini della guerra appena vissuta possa contribuire a indebolire sentimenti di vendetta e rivalsa nelle vittime.

Dunque il progetto ADIL nasce per questo: riportare in Libia le immagini della guerra recente con quattro mostre, concepite come un “unico affresco visivo”, senza indicazioni geografiche o di tempo, né didascalie dettagliate, non suddivise per autori, ma disposte in un’unica sequenza che si può leggere da destra a sinistra o partendo dal centro, per terminare e ricominciare da capo, come in un cerchio. L’intenzione degli autori è quella di suscitare emozione e riconoscimento, senza la parola che spiega e dichiara: solo immagini in cui luoghi e persone hanno vissuto sofferenza e pagato prezzi dolorosi perché è la storia di un popolo e non di singole fazioni. Questa la sfida che la fotografia si trova spesso ad affrontare: parlare a tutti, scavalcare la necessità delle cose spiegate, emozionare, testimoniare e tracciare un solco nella memoria, quella degli individui e quella collettiva dei popoli.

È un’iniziativa attorno alla quale Liohn ha raccolto fotografi importanti, da sempre impegnati sui fronti di guerra del mondo: Lindsay Addario, Eric Bouvet, Bryan Denton, Andrè Liohn stesso, Christopher Morris, Jehad Nga, Finbarr O’Reilly e Paolo Pellegrin, affiancato da Annalisa d’Angelo, nell’insolito ruolo di curatore. Ognuno ha donato le sue fotografie realizzate durante il conflitto: una documentazione di tutto il periodo della guerra, ricca dei diversi punti di vista, dei linguaggi espressivi che nelle evidenti similitudini, esaltano la forza delle situazioni affrontate. L’obiettivo è arrivare ad avere quattro mostre di cento immagini l’una, nella quattro grandi città libiche, Benghazi, Misurata, Tripoli e Zintan. Un piccolo catalogo in arabo e inglese accompagnerà il progetto e sarà distribuito gratuitamente alla popolazione.
 
Le immagini – di cui potete vedere una piccola selezione in questo spazio – sono forti, il racconto ricco di piani differenti, l’angolo di ripresa mai casuale. Professionisti, cantori, esperti di guerre e sofferenze del pianeta potranno aiutare con la magia della fotografia il popolo libico a recuperare una memoria consapevole e magari pacifica di ciò che è stato?

Se il crowdfunding di Adil funzionerà, tra qualche mese, da questa pagina, andremo a vedere come è andata e cosa è successo.
 
Potete sostenere il progetto qui.
 
 
 

Renata Ferri

Giornalista, photoeditor di "Io Donna" il femminile del "Corriere della Sera" e di "AMICA", il mensile di Rcs Mediagroup. Insegna, scrive, cura progetti editoriali ed espositivi di singoli autori e collettivi.