Vaghe idee di socialismo
Una newsletter di
Vaghe idee di socialismo
Michele Serra
Martedì 30 maggio 2023

Vaghe idee di socialismo

Darina Laracy, Pietro Nenni - allora vicepresidente del Consiglio - e Ignazio Silone all'arrivo a Victoria Station a Londra per una visita ufficiale, ospiti del Partito Laburista britannico nel 1946 (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)
Darina Laracy, Pietro Nenni - allora vicepresidente del Consiglio - e Ignazio Silone all'arrivo a Victoria Station a Londra per una visita ufficiale, ospiti del Partito Laburista britannico nel 1946 (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Ragazzi! Una grande notizia! Finalmente si comincia a parlare di politica. Fin qui l’abbiamo buttata soprattutto sull’esistenziale. Sull’autoreferenziale. La solitudine. L’identità. Lo stress. Il lavoro che non rappresenta più i ragazzi, che non li seduce. I vecchi che non capiscono i giovani e i giovani che non capiscono i vecchi. Quelli di mezzo che non capiscono né i giovani né i vecchi. Beh, arriva una lettera (non di un parente, anche se si chiama Guido Serra, come mio fratello) che mi richiama, anzi ci richiama, alla politica. A lui l’onore di aprire questo numero di Ok Boomer!

“A proposito di alluvione. Lo so che si corre il rischio di semplificare e scadere nel passatismo: ma quale forma di organizzazione umana, se non ‘socialista’, potrebbe governare la transizione ecologica, la risposta all’emergenza climatica e tutta la miriade di micro e macro interventi ‘a perdere’ (cioè costosi e profittevoli economicamente per alcuno se non sovvenzionato dallo Stato) che servirebbero? Abbiamo avuto con il Covid la rappresentazione plastica di come l’Unione europea, volendo, può disporre di una ingente quantità di denaro da far piovere a cascata sui propri Stati per rispondere a una gravissima crisi (sanitaria, in quel caso). Non si è forse assistito alla più grande espressione di socialismo europeo a memoria d’uomo? Soldi pubblici erogati a fondo perduto e allentamento di tutta una serie di vincoli di spesa per i paesi membri. Udite udite: ha funzionato”.
“Certo, bisognerebbe che l’emergenza climatica venisse percepita dai cittadini con la stessa dirompenza dell’emergenza pandemica: è quello che chiedono gli ambientalisti. Per farlo occorrerebbe che i media, esattamente come è successo con il covid, venissero intasati di scienziati che spiegassero in tutte le varie trasmissioni popolari cosa sta succedendo (creando quel tot di sano allarmismo da cui solo può discendere la modifica del comportamento individuale, come abbiamo visto, e senza dare spazio al negazionismo). Non sta succedendo. Spoiler: non succederà. Però la cosiddetta sinistra è su questo terreno che si deve misurare. Senza timidezze. Schlein sono convinto la pensi così: si liberi e faccia la sua parte in modo duro, senza preoccuparsi dei tatticismi. Diceva Chico Mendes: l’ambientalismo senza socialismo è solo giardinaggio”.
Guido Serra

Caspita, Guido: non sai quanto sono d’accordo. E grazie per avere menzionato Chico Mendes, martire dell’ambientalismo e delle lotte contadine. Ma mi sono chiesto, leggendoti, quale suono possa produrre, alle orecchie di un ragazzo di vent’anni, la parola “socialismo”. Temo che evocare il socialismo, oggi, sia come parlare di Gino Bramieri, di Giuseppe Meazza, di Wanda Osiris: come fanno a sapere, i più giovani, di che accidenti stiamo parlando? Il socialismo, nel 2023, è una seduta spiritica, una ricognizione in archivio, un’immagine museale, è il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, è Pietro Nenni con il basco (nato a Faenza nel 1891), è Andrea Costa ventenne con i baffi a manubrio, e la Kuliscioff (bellissima!) che lo indottrina mentre fanno l’amore.

Provo a inanellare una serie di “socialismi”, ditemi voi quale non è circonfuso da un’aura di decrepitezza.
Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Partito Socialista italiano (mi scuso con i pochi viventi/postumi).
Partito Socialista francese e in generale i partiti socialisti europei.
Il “socialismo o barbarie” di Rosa Luxemburg (1871/1919), e in tempi più recenti di Castoriadis e dei trotzkisti francesi, e siamo comunque a ottant’anni fa.
Nella Treccani, “dottrina, teoria o ideologia che postuli una riorganizzazione della società su basi collettivistiche”. E la parola “collettivismo”, se possibile, produce un suono perfino più remoto, nonché parecchio minaccioso alla luce degli obblighi e delle sopraffazioni del collettivismo sovietico e cinese.
Vi intrattenni, tre mesi fa, sul risotto “di caseggiato” mangiato tanti anni fa in via Bergamini, nel centro di Milano: era, strutturalmente e culturalmente, un risotto socialista, ma non mi sarebbe mai venuto in mente di scriverlo, oggi, per non sembrare io stesso Pietro Nenni con il basco.

Eppure: dovessi definirmi politicamente, faticherei a trovare una parola più calzante. Mi sento un post-comunista italiano e dunque un socialista – se preferite la specifica “classica”, socialdemocratico – e sono convinto che il problema tragico del nostro evo sia l’anchilosi individualista (il narcisismo ne è la forma patologica, a carattere pandemico).
Aiutatemi, ragazzi. Troviamo dei sinonimi, dei neologismi, delle perifrasi per dire “socialismo”, cioè per dire che nessuno si salva da solo, che degli altri abbiamo necessità e a loro siamo necessari. È un principio basico, quasi rudimentale, tutto sommato, eppure rimosso. Bisognerà pure ripartire dall’idea di rimettersi insieme, in qualche maniera, sopportandoci un poco meglio anche se siamo spesso insopportabili. Partirei da questo indizio: il contrario del socialismo sono i social. Non è forse il grande paradosso dei nostri anni?

*****

Sto lavorando a un libro illustrato da Altan. Grande onore, grande contentezza. Dovrebbe uscire in novembre per Feltrinelli, raccoglie le poesie satiriche di fine anno che ho scritto per Repubblica a partire dal 1996. Letto a posteriori, un sunto degli eventi salienti a partire dalla fine dello scorso millennio. Se ve lo dico non è tanto per promozione (troppo presto!, mi sgriderebbero le ragazze dell’ufficio stampa). È perché sono sbalordito dalla staticità – non trovo altra parola – dello scenario nazionale. Staticità, ripetitività, come se niente mai cambiasse per davvero. Come se ogni anno italiano fosse la parodia del precedente.
Magari è solo una stasi apparente, molte cose, sotto la superficie, sono cambiate, alcune in meglio (… riempite i puntini), altre in peggio. Ma già nel 2009 prendevo per i fondelli Berlusconi per l’annuncio trionfale del Ponte sullo Stretto: alla posa della prima pietra sembrava mancassero pochi minuti. E ridevo dell’ipocrisia della destra di potere, che occupava la Rai con gli scarponi chiodati e però si lagnava dell’ “egemonia culturale della sinistra”. Potrei ripubblicare il 2009 pari pari, e chi se ne accorgerebbe? Per convincervi che sto dicendo il vero, ecco qui di seguito alcune delle quartine che mi hanno fatto sobbalzare. Le ho scritte quattordici anni fa, o ieri mattina?

Vien gennaio e sullo Stretto
Berlusconi in doppiopetto
mette giù la prima pietra
di quell’opera grandiosa.

La depone, poi l’arretra
poi la sposta e la riposa
più a sinistra, messa a naso
in un luogo scelto a caso.

In mancanza di un progetto
l’importante, sullo Stretto,
è di dare l’impressione
di una nuova costruzione.

Grandi applausi. Poi si glissa
quando rotola quel masso
fino al mare, giù da basso
e tra i flutti si inabissa.

Per l’oggettiva evidenza dei corsi e ricorsi storici, consentitemi di comunicarvi anche
quanto, nell’anno di grazia 2009, sotto il governo Berlusconi quater (Meloni era già ministro della Gioventù), scrivevo sulla situazione alla Rai:

C’è la fiction su Claretta
e il talk-show senza Santoro:
lo conduce una subretta,
chiama tutti “mio tesoro”.

C’è una Rai per longobardi
coi grugniti in sensurround
e una Rai che un po’ più tardi
si collega a Casa Pound.

Ma in un’interrogazione
di Gasparri e Capezzone
si denuncia la cultura
di sinistra che perdura.

Da aggiungere ho solo questo: l’ottonario, come verso “comico”, è ineguagliabile. Il Carducci lo usò “seriamente” (sul castello di Verona/ batte il sole a mezzogiorno). Ma fu Sergio Tofano, con il Signor Bonaventura, a consacrare l’ottonario come principe del verso giocoso: Qui comincia l’avventura / del signor Bonaventura.
Preceduto – stavo per dimenticarmene – dal Prode Anselmo di Giovanni Visconti Venosta: Mise l’elmo sulla testa / per non farsi troppo mal / e partì, la lancia in resta/ a cavallo di un caval.
E con la cultura, per questa settimana, siamo a posto.

*****

Per finire, a costo di essere un po’ lungo, mi piace pubblicare questa lettera, che si aggiunge ai tanti racconti di vita fin qui collezionati da Ok Boomer!. Ha qualcosa a che fare, io credo, anche con il centenario di don Lorenzo Milani.

“Caro Serra,
sono un ragazzo di provincia di 27 anni. Nato e cresciuto a Genova, ma l’amore (di mia madre) mi ha portato sui crinali appenninici dell’Alto Monferrato, in quella terra di nessuno al confine tra il Piemonte e la Liguria. Qui mi sono formato e credo che in realtà, fatto salvo quell’errore cittadino, la mia vita sia e debba essere qui tra gli alberi, i campi e il nulla petroso. Sono cresciuto con gli adulti e gli anziani, ascoltando storie, cogliendo funghi e annoiandomi al bar.
Un boomer d’altri tempi, forse. Dopo una passione per il teatro finita male mi sono laureato in lettere e ad oggi sono un professorino precario che tenta di riconsegnare agli alunni il dono prezioso che ha ricevuto nella sua scuola di paese, dove al pomeriggio ci si fermava ancora tutti a scuola per preparare la recita con gli insegnanti, dove alla domenica si andava alla Benedicta per ricordare i partigiani e dove i partigiani, gli ultimi e veri, incontravano i ragazzi per consegnare il testimone. Credo che la scuola di Mornese (il mio paese) sia stata uno degli ultimi scampoli del Novecento pedagogico. La scuola che ho ritrovato dall’altra parte della cattedra non è la medesima, ma gli alunni sì, loro li trovo identici a noi ragazzi di paese, un po’ svogliati e un po’ curiosi”.
“Sono stato alla sua conferenza al salone del libro, nel Bosco degli Scrittori, e nell’uscire mi sono appuntato queste righe: la differenza tra boomer e millennial è che il boomer fotografa gli alberi all’interno del padiglione e con occhi di stupore sospira “che bello”, laddove il millennial guarda le foglie a terra morenti e sospira “che scempio”. La nota positiva è che tanto il Boomer quanto il Millennial si accorgono degli alberi del salone del libro, laddove la Generazione X è rimasta a casa a guardare Verissimo”.
“Un’ultima considerazione linguistica: nell’ultima sua newsletter lei inserisce la ‘belinata’ come parola d’uso comune. Io che sono genovese ritrovo, con un piacevole sorriso, quel significato, ma mi chiedo se sia così efficace in altri luoghi a me distanti. Se così non fosse sarebbe un vero peccato perché il concetto di belinata è difficilmente esprimibile in altri vocaboli”.
Ian Bertolini

Caro Ian, molte estati liguri, e un’antica collaborazione con Beppe Grillo, hanno impresso “belinata” nel mio metabolismo in modo indelebile. Rispetto ai suoi infiniti sinonimi (minchiata, cazzata ecc.), belinata mi è sempre sembrata più mite. Forse il suono, chissà. Forse il fatto di pronunciarla davanti al mare, tra gli oleandri e il baobab…