Sursum cordolo
Una newsletter di
Sursum cordolo
Michele Serra
Martedì 5 agosto 2025

Sursum cordolo

«Bisognerebbe che ognuno di noi, non perché costretto ma per imparare a stare al mondo, si facesse una settimana in carrozzina»

(ArtMarie/Getty)
(ArtMarie/Getty)

Gira senza sosta la ruota del destino. Anzi, le due ruote del destino. La settimana scorsa vi avevo raccontato la mia (minima) impresa ciclistica tra Italia e Slovenia, per andare al concerto di Jovanotti sul lago di Fusine. Oggi mi tocca dirvi che sono caduto in Vespa a Milano, incappando nel maledetto cordolo in fondo al sottopasso che porta dalla Stazione Garibaldi in via Melchiorre Gioia. Un cordolo nero sull’asfalto nero in una galleria nera: non l’ho visto e ci siamo ritrovati, mia moglie ed io, a stretto, bruciante e rovinoso contatto con l’asfalto.

La mia Vespa gialla, dopo quasi vent’anni di onorato servizio verticale, ha subìto l’onta dell’orizzontalità. Mia moglie se l’è cavata con un piede blu e qualche abrasione. Io invece, avvolto di garze come una mummia, sento ronzare nel mio cervello una delle massime preferite di mio padre: “Se la gente rimanesse tranquilla a casa sua, sarebbe molto meglio”. (La sottorubrica “massime dei genitori” potrebbe assumere uno spessore enciclopedico…). Niente di rotto ma se non avessero inventato gli antidolorifici questa settimana Ok Boomer! avrebbe saltato il turno.

Mi rendo conto che si tratta di fatti miei, e pur essendo questa una newsletter (cari amici vi scrivo, così mi distraggo un po’) sarò felice, da lunedì prossimo, di tornare a parlare dei destini del mondo, che sono molto più incerottati di me. Ma c’è una pubblica utilità anche in questo frangente. Intanto segnalo a motociclisti e ciclisti milanesi, nonché a Colonne, che il cordolo nero sull’asfalto nero nella galleria nera è un pericolo micidiale. Basterebbe dipingerlo di giallo, o metterci dei catarifrangenti, e non sarei conciato come sono. Ma poi, soprattutto: questo è il mio terzo giorno in carrozzina (ne ho ancora per un po’) e il mondo – perfino il rassicurante piccolo mondo della propria casa – è talmente differente, visto da una carrozzina, che vale la pena parlarne. Perché un conto è sentirsi solidale con chi ha disabilità; altro conto è sperimentarla di persona, sia pure nel breve tempo di una guarigione certa.

Tutto cambia. Non solo molte attività ti sono impedite; ma le azioni più ordinarie, quelle che il nostro cervello ha messo da tempo in automatico, quelle alle quali non dedichiamo nemmeno una briciola di pensiero, richiedono un’attenzione micidiale. Prendere una tazzina da un armadio, sedersi sul water, aprire il frigo, aprire la finestra al gatto, ogni piccolo gesto quotidiano, per una persona in sedia a rotelle, diventa un insieme di movimenti così complesso che se sbagli sequenza devi ricominciare daccapo. I tempi si allungano fino all’inverosimile, la manutenzione quotidiana di se stessi dilaga nel corso della giornata e la occupa quasi tutta. Se dimentichi il telefono o il computer in un’altra stanza, l’altra stanza ti sembra un luogo remoto, oltre le Colonne d’Ercole. Ogni spigolo di casa, ogni gradino, ogni porta, ogni finestra, ogni interruttore, ogni cassetto, ogni oggetto, ogni presa di corrente cambia di posizione e perfino di significato, nel senso che ciò che ti pareva scontato diventa importantissimo, e irraggiungibile se non con il soccorso altrui. La dipendenza invade quasi per intero il territorio dell’indipendenza, molte delle cose che consideravi scontato fare in autonomia puoi farle solamente se qualcuno ti assiste.

Il corpo, alle prese con torsioni inedite e blocchi mai sperimentati, non è adatto alla nuova condizione. Era forgiato dalla tua vita precedente, ora è come se avessi bisogno di utensili che non hai. Ti fanno male muscoli prima sommersi, e ora portati a galla dai nuovi movimenti che ti sono necessari, e che fai malamente (usare solo la mano sinistra, se non sei mancino, è come imparare il mandarino se non sei cinese). Avevo sempre pensato che gli atleti paralimpici fossero motivati soprattutto dal nerbo, fisico e morale, che è richiesto per non arrendersi alla condizione di disabilità. Una visione un poco “eroica” che da oggi voglio correggere: il loro talento sta proprio nella “diversa abilità” che sono capaci di individuare e di sviluppare, il famoso “fare di necessità virtù”, adattare la macchina del corpo a quello che puoi ancora fare ma soprattutto a quello che imparerai a fare in altro modo. È l’altro modo che insegui.

In definitiva, e perché anche digitare su una tastiera mi costa fatica: bisognerebbe che ognuno di noi, non perché costretto ma per imparare a stare al mondo, si facesse una settimana in carrozzina. Come se fosse una delle prove richieste per sentirsi parte di quel servizio civile obbligatorio e di leva del quale io scrivo, del tutto inutilmente, da molto tempo. Usare le strade, le case, le città come le usano le persone in carrozzina è un corso accelerato di democrazia – se posso spendere una parola grossa. Si smette di pensare in forme pietistiche o “tolleranti” alla condizione degli altri. La si vive, la si comprende. E quando ci si rimette sulle proprie gambe, magari si è un po’ meno stronzi di prima.

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Due cose veloci. La prima è che vorrei che la mia Amaca sulla Repubblica di ieri, domenica 3 agosto, venisse letta anche da chi non l’ha letta. Eccola, si intitola “L’album di famiglia degli altri”.

Ogni agosto, da molti anni (presto sarà trascorso mezzo secolo), le commemorazioni per la strage di Bologna sono la testimonianza più diretta, e più triste, della memoria dispari di questo povero Paese. Memoria dispari vuol dire che la sinistra italiana ha chiara memoria dei delitti del “suo” terrorismo; e non solo ne ha preso le distanze oggi: le aveva prese anche ieri, a fatti ancora in corso.

La destra purtroppo no. L’abominevole terrorismo nero, quello delle bombe sui treni e nelle piazze, non fa parte del racconto novecentesco che il neofascismo italiano (oggi al governo) fa di se stesso. Forse perché le contiguità degli eversori con la destra parlamentare (il Movimento Sociale) furono più di una (non così il terrorismo rosso con il Pci, suo nemico); forse perché il vincitore difficilmente è capace di scalfire la sua narrazione; fatto sta che “strage fascista”, nel 2025, è un’evidenza giudiziaria definitiva, ma è una evidenza politica e storica solo per i parenti delle vittime, per chi sa vedere la nostra storia un poco al di là del proprio naso, e più in generale per l’Italia repubblicana.

Non risulta che la destra abbia avuto una sua Rossana Rossanda, che sul Manifesto, a proposito delle Brigate Rosse, parlò di “album di famiglia” fino dalle prime insorgenze del terrorismo rosso. Non risulta che il ripugnante stragismo fascista, con i suoi manovratori anch’essi noti (Gelli), con le sue protezioni internazionali (la Cia), sia unanime e acquisita certezza della comunità nazionale. In fin dei conti, è un’ulteriore prova che la famosa “egemonia culturale della sinistra” è una delle più antiche fake italiane. Se esistesse davvero, la strage di Bologna sarebbe un lutto unanime, non un lutto di parte.”

La seconda cosa che vorrei dirvi è che, da quello che vedo fuori dalle mie finestre, è un’estate bellissima, ariosa, le nuvole sono bianche e veloci, il cielo è terso e luminoso, la temperatura perfetta. Dico una cosa illogica, ma sentita: secondo me non guardare i siti meteo per qualche giorno aiuta il cielo e la terra a ristabilirsi. La “morsa dell’anticiclone africano” e i “cinquanta gradi al Sud” (che poi non ci sono stati) danno un’ansia micidiale. Al primo soffio di vento, ci si sente scampati alla fine del mondo: come prevedibile.

Ah, un’altra cosa: mi avete mandato parecchie mail sul tema “vacanze”. Alcune sono bellissime. Le tengo da parte per la prossima settimana.

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Questa settimana Zanzare in quantità esorbitante. Cominciamo. Basta mettere una parola al posto sbagliato e la vicenda di cui si narra rischia di assumere tutt’altro significato. Per esempio, dal Corriere on line, Mario e altri lettori segnalano:

ELEONORA BOI, MOGLIE DI DANILO GALLINARI,
MORSA DA UNO SQUALO A PORTORICO: È INCINTA

Il titolo è stato corretto poco dopo, non appena accertato che il morso di uno squalo, o di altro pesce, non ha facoltà fecondanti. Auguri affettuosi, nel frattempo, a Eleonora Boi. Sempre sul Corriere della Sera, edizione di Brescia, Aldo si è imbattuto in un altro caso a rischio di equivoco:

PRESI MENTRE RUBANO GRAZIE A UN VICINO

Sub iudice (molto sub iudice) questo titolo di AGI segnalato da Paola:

LA TERAPIA GENICA RESTITUISCE LA VISTA A UN PAZIENTE RARO

La persona afflitta da malattia rara può dirsi “paziente raro”? Oppure per brevità l’autore del titolo ha optato per la sintesi, confidando nelle capacità di comprensione del lettore? Ma veniamo al mattatore indiscusso di questa rubrica: il refuso. È perlomeno stravagante questo intervento delle forze dell’ordine. Dal giornale on line La Notizia Pontina, segnalata da Paolo:

FUORI STRADA SULLA PONTINA FINISCE IN UN FOSSO
SLAVATO DALLA POLIZIA STRADALE

Nel sito FlashTV, Anna Roberta si è imbattuta nella inedita soluzione giuridica di un dissidio tra genitori:

ULTIM’ORA ROCIO MORALES CHIEDE
L’AFFITTO ESCLUSIVO DELLE FIGLIE

Ma non era più economico un ordinario affido? Matteo ha trovato sul sito di notizie Piazza Pinerolese questo sensazionale fatto di cronaca. In questo caso il titolista non ha colpe né meriti, si è solo attenuto ai fatti, e sono i fatti a destare meraviglia:

VIGILI DEL FUOCO E DONNA CHE MIAGOLA
SALVANO UN GATTINO IN DIFFICOLTÀ

Tradito dall’entusiasmo il sito CiboToday. Se ne è accorto Andrea:

CAMBIA VITA E SI METTE A FARE MARMELLATE
NELLA CAMPAGNA ROMANA: HANNO OLTRE IL 100 PER CENTO DI FRUTTA

La gastronomia ci regala altre due perle estratte dall’oceano dei refusi. Nel menù di una pizzeria di Biella, Renza ha fotografato questa ricetta molto naturale e a suo modo poetica:

TORTINO DI PASTA FROLLA AI RUTTI DI BOSCO

Saranno aromatici? Originale anche quest’altra ricetta, che Francesca ha trovato nella ricca sezione “food” del sito di Repubblica:

ZABAIONE E PESCE SCIROPPATE

Provate a prepararla, se siete capaci. Se invece state andando in vacanza alle Eolie, non è rassicurante il cartello di avvertenze che la Siremar ha affisso al terminal di Lipari. Lo ha fotografato, prima di imbarcarsi, Gaetano.

L’AGENZIA NON È RESPONSABILE DELLA PERDITA DELLA NAVE

Probabile che il riferimento sia a chi arriva in ritardo e perde il traghetto. Ma detto così, si prova il brivido dell’avventura in mare.
Gran finale: per la serie “Zanzare vintage”, Andrea Franchini mi scrive per raccontare un sensazionale refuso degli anni Sessanta che suo padre, giornalista del Popolo, ha tramandato ai posteri. Meritatamente.

GIOVANE AVIERE MUORE AFFOGATO NEL MARE DI FREGNE

Si trattava di Fregene.
A proposito di mare, ad agosto è molto affollato ma vi immagino, in buona parte, su qualche mare; o più appartati su qualche sentiero di montagna. Godetevela, che io per una decina di giorni devo starmene tranquillo a leccare le ferite. Come un gatto. Ma si sa, i gatti hanno sette vite, e io credo di averne già consumate al massimo un paio. In alto i cuori!