Scuoti quella fronda di ciliegio
«È ottimo anche come legna da ardere. È duro e pesante (quasi quanto la quercia) e dunque se cade su un piede può fare molto male»

Edizione straordinaria di Ok Boomer!, nel senso che scrivo queste righe nella sala d’aspetto di un piccolo ospedale (molto efficiente!) della provincia emiliana, seduto su una sedia a rotelle, in attesa di una radiografia al piede destro, duramente colpito da un grosso pezzo di ciliegio. Il ciliegio è un legno magnifico, profumato, i falegnami lo apprezzano molto per il suo colore rosa scuro, forse rosso chiaro, insomma color ciliegio. È ottimo anche come legna da ardere. È duro e pesante (quasi quanto la quercia) e dunque se cade su un piede può fare molto male.
È il mio caso, e se ve lo dico non è per farmi compatire, ma per farvi una raccomandazione che, non si sa mai, potrebbe evitarvi guai molto grossi e anche guai minori, come il mio. Potete dedurre la raccomandazione da questo breve racconto.
Le mie scarpe anti-infortunistiche stavano lì, nella legnaia, pronte da mettere. Ho pensato: ma devo solo spostare quattro pezzi di legno, cosa vuoi che sia, in dieci minuti ho già finito. Cinque minuti dopo uno dei quattro pezzi di legno (pezzi di tronco sui dieci-quindici chili, non stuzzicadenti) mi è scivolato dalle mani e mi è caduto sul piede. Se avessi indossato le scarpe anti-infortunistiche non mi sarei fatto niente. Sono un cretino, è evidente, ed è proprio di questo genere di sventatezze, di omissioni e di superficialità che sono fatti gli infortuni sul lavoro. Non tutti, ma tanti. Un casco lasciato per terra, una scala appoggiata male, una cintura dimenticata, le scarpe inadatte, i vestiti che svolazzano e si impigliano in qualche marchingegno. Una scocciatura di trenta secondi (levarsi le sneakers, mettersi le scarpe protette, vestirsi “da lavoro”) evita scocciature di ore, di giorni, di settimane, e quando va male la scocciatura definitiva, che è andarsene all’altro mondo.
Finito il predicozzo. Mi resta da raccontare che entrando nel pronto soccorso sono stato accolto e registrato da una infermiera indiana e italiana, e subito dopo affidato a una infermiera africana e italiana, con una chiostra spettacolare di treccine dipinte d’oro. Una leonessa. E prima di me, in attesa, c’era una ragazza albanese e italiana, che mi ha detto che sta scrivendo un libro, in italiano, sulla legge orale arcaica degli albanesi, il Kanuni, perché le preme raccontare quanti guai possono provocare le leggi orali arcaiche.
Ero molto contento, è stato il mio modo (non preventivato) di guarire dal malumore che mi ha suscitato il remigration summit dei fascisti di mezza Europa. Il mondo non prende ordini dai razzisti, si muove e cerca la sua strada con la vitalità della natura e dunque, in anticipo sulle abitudini, spendo subito in partenza, in italiano, albanese, indiano e africano, il mio saluto rituale: in alto i cuori.
PS – Niente frattura, solo una contusione che è una specie di record europeo della contusione, antidolorifici, ghiaccio e poco movimento per una settimana: evidentemente esiste un santo protettore degli idioti.
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“Democratico. È una parola che amo pronunciare. Una parola che oggi è più importante che mai, nel mio Paese. Stiamo lottando. Lottiamo duramente per difendere la democrazia, che per troppo tempo abbiamo dato per scontata. E riguarda tutti, riguarda ciascuno di noi. Perché l’arte è democrazia. L’arte è inclusiva, unisce le persone, cerca la verità, riflette la diversità. Ed è per questo che l’arte è vista come una minaccia da autocrati e fascisti in ogni parte del mondo. Chi ama la libertà deve organizzarsi, protestare, votare”.
Così disse a Cannes il vecchio Robert De Niro (vecchio ma integro come pochi), e devo dire che il suo pensiero riflette quello di molti a proposito del sentimento del tutto nuovo che si accompagna alla parola “democrazia, che per troppo tempo abbiamo dato per scontata”. Anche nella piazza europeista di Roma, quando ho letto il mio breve discorso di benvenuto, mi aveva colpito sentire l’applauso caldo, e imprevisto, che ha accolto quella parola. Democrazia è stata la parola più applaudita, come una vecchia star risaputa che all’improvviso ti riappare giovane e splendida, desiderabile, energica, e ti arrabbi con te stesso per averla considerata ormai priva di appeal.
Ne approfitto per spendere due parole sull’esito delle elezioni in Romania. Affido a questa breve mail appena arrivata, che sottoscrivo, la mia opinione in materia: “Di Romania io so poco, tuttavia sono felice che le elezioni le abbia vinte chi parla di Europa e non il sovranista che strizza l’occhio alla Russia, anche se entrambi si sono dichiarati vincitori, uno avendo i numeri e l’altro no. So che è noioso tirare in ballo sempre quella parola, ma i fascisti sono fatti così: provano a vincere democraticamente, ma se perdono vogliono vincere lo stesso. A me sembrerebbe sufficiente per evitare del tutto che partecipino a ogni tipo di elezione, ma nel frattempo mi accontento che le perdano”.
Marco
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Le mie considerazioni della settimana scorsa su quanto sia radicale (e temo non mediabile) la differenza tra il sentimento xenofobo e la disponibilità a “confondersi con gli altri”, hanno provocato un bel numero di mail. Gli umori sono vari, ma i toni sono ragionanti e ragionevoli, poco inclini all’affermazione che non ammette repliche, e dunque forse non è poi così vero che l’immigrazione sia un fenomeno che non prevede mediazioni e compromessi. Ci si può provare, almeno. Di seguito una mia sintesi di alcune delle vostre mail – vi ringrazio ancora una volta di occupare questo spazio come se non vi fosse estraneo, come se fosse anche casa vostra: almeno i confini di Ok Boomer! non prevedono filo spinato.
“Interessante la sua riflessione sull’identità nazionale, che contrappone un’identità chiusa, rigida e discriminante a un’altra aperta, più sfumata e tollerante. Anche io, come lei e immagino la maggior parte dei suoi lettori, mi ritrovo di più nel secondo tipo di identità, senza tuttavia sminuire la complessità del fenomeno dell’immigrazione. Però non mi voglio rassegnare al fatto che, come ha scritto lei, non ci possa essere dialogo con l’altra ‘fazione’. Credo che qui ci si imbatta in una sorta di dilemma, forse già incontrato in passato in questa newsletter, ovvero: come poter essere tolleranti con gli intolleranti?”
Davide, 30 anni
“Con l’aria che tira, e con la signora Meloni che intende restare incollata al suo trono da fascista ripulita, non credo proprio che un vero e concreto piano migranti vedrà la luce. Non è la paura dell’altro, del diverso, è ottusità. Perché soltanto delle leggi dementi possono impedire ad un bambino, che ha fatto già quattro o cinque anni di scuola italiana, di partecipare a una gita con i suoi compagni di classe solo perché non ha i documenti in regola. Parla italiano, studia italiano, ma viene lasciato a casa. Il mio sogno? Che un giorno anche in Italia i migranti siano trattati come in Germania. Lí non li chiudono nei ghetti, li obbligano a studiare la lingua, sono aiutati tutti a trovare casa e lavoro e riescono persino a farsi raggiungere dai loro parenti. Non sarà l’Eldorado ma un segno di civiltà che in Italia manca completamente”.
Adele
“Chi migra in un Paese diverso dal suo lo fa perché viveva male e nel nuovo Paese pensa, spera, auspica di vivere meglio. E di solito in Occidente è così: diritti, lavoro, casa, organizzazione, sanità, trasporti, libertà religiosa e di espressione, nonché di realizzare se stessi. Tutto questo, però, non può non avere un prezzo, perché un prezzo c’è sempre. Per i migranti è quello di integrarsi e rispettare le leggi, i diritti degli altri, i doveri e diritti propri, le libertà di tutti e le civili regole di convivenza, le cose che fanno sì che in quel Paese si viva meglio che nell’altro. Per chi già vive nel Paese ‘dove si sta meglio’, il prezzo della mancata integrazione (derivante da tanti fattori, anche in capo ai migranti), è un peggioramento, sotto vari aspetti, della qualità della vita, a cominciare dai meno abbienti. Non so come si possa concretamente venire a capo di una questione così complessa, soprattutto con una classe politica occidentale così ‘piccola’ e miope. È facile parlare di regole da far rispettare a tutti, ma non vedo Paesi al mondo che hanno messo in pratica politiche davvero di successo, eccezion fatta, per quanto ne so, di Israele, Paese libero, prospero e democratico, fatto interamente di immigrati di tutto il mondo che da decenni convivono nella dialettica democratica. Forse da studiare meglio”.
Roberto Savini.
“Penso che gestire l’immigrazione sia l’unica via d’uscita, altrimenti quello che non si gestisce lo si subisce, come succede ora. Concordo con te che il problema alla radice si chiami povertà, generata dalla sempre meno efficace redistribuzione del reddito: sia a livello locale, tra periferia e ZTL, con tutte le contraddizioni che citi, sia a livello globale, tra Occidente e resto del mondo, che genera appunto la necessità di migrare. Orribile è chi, facendo leva sulle paure dei poveri, ammantandosi di ‘valori’ dio-patria-famiglia, difende invece l’accumulo di capitali, sviando l’attenzione di coloro che li votano; c’è da sospettare che non sia solo basso opportunismo elettorale, ma un vero e proprio disegno di sopraffazione delle masse; se così fosse, non vedo un futuro radioso all’orizzonte, con i poveri lasciati a scannarsi tra di loro per tutelare la sempre più grande ricchezza di sempre più pochi eletti, con tanti saluti alla nostra beneamata democrazia”.
Luca Colleoni
“Al di là delle questioni etiche, e se la matematica non è un’opinione (e non lo è), dovremmo ormai essere ben consci che la pensione ce la pagheranno gli ‘invasori’, con buona pace di mia suocera che tra una messa e l’altra dice di non avere niente ‘contro i negretti’. Ovviamente tollera (mia suocera) anche gli omosessuali, purché non si facciano vedere alla luce del sole”.
Lettera firmata
“Chi siamo e chi saremo, indipendenti da qualsiasi governo, lo possiamo dedurre dalle scolaresche in gita in questo periodo canonico. Biondi, bruni, beige, abbronzati, pallidi, grigio Armani che sghignazzano tra loro, escludendo gli insegnanti per ora ancora visi pallidi. A me rendono felice la giornata”.
Mamma
“Completamente d’accordo sulla stupidità del concetto razziale, quando l’evidenza scientifica dimostra senza ombra di dubbio che siamo il risultato di innumerevoli incroci di umani, da almeno qualche centinaio di secoli. Grazie per la citazione finale (Barry Lyndon), per la comunanza di sentimento nell’osservare questo cielo di Lombardia, così bello quando è bello….”.
Armido
“Sono andata in treno a Modena a trovare un’amica. Mentre il treno stava per arrivare sono stata investita da improperi da parte di un passeggero straniero, credo africano, che camminava velocemente nel corridoio mentre io mi preparavo a scendere; mi ha strattonato gridando in un italiano approssimativo che non gli permettevo di passare e poi sbraitando veri e propri insulti (nel silenzio degli altri passeggeri). Ho raccontato l’accaduto alla mia amica modenese (incallita progressista di sinistra), mi ha detto che sì, questi episodi non sono rari; l’Emilia ha aperto le porte a numerosissimi stranieri che lavorano principalmente nell’agroalimentare e che si riuniscono in numerosi gruppi in città. Non sono affabili. Lei non esce più da sola quando viene buio. La città sta cambiando volto, i residenti che si ritengono fragili semplicemente non escono di casa la sera. La politica di favorire l’afflusso di migranti, in assenza di educazione alla cittadinanza in senso lato non accompagna una buona convivenza. Troppo facile aprire senza la fatica e i costi di una buona politica per l’immigrazione!”
Lucia Portella
“Il nemico del mondo è la povertà, niente di più vero. Mi è rimasta impressa la risposta che diede Ilona Staller qualche tempo fa a un giornalista che non poté trattenersi dalla domanda: ma lei si è mai vergognata di aver fatto la pornostar? Risposta: l’unica cosa di cui bisogna vergognarsi è la miseria”.
Mauro 59
“Osservando le mie figlie (e il loro entourage) durante la crescita le ho sempre viste molto a loro agio con il melting-pot. Trovo davvero inspiegabile che le nuove generazioni, nate e cresciute in un ambiente variegato e composito, non siano solidamente schierate per l’integrazione. Considerando il nostro percorso storico/culturale mi aspetterei una forte sensibilità sull’argomento. Come molti della mia generazione siamo figli di “emigrati”: gente che negli anni 50/60 è stata costretta a cercare fortuna altrove e i cui figli (cioè noi) hanno vissuto questo fenomeno dall’altra parte della barricata. Non capisco come certe esperienze non abbiano contribuito a formare – nella generazione di noi genitori/nonni – un “tesoretto” da tramandare alle future generazioni. Abbiamo miseramente fallito? Anche su questo? Comincio a pensare che la mia generazione non ne abbia imbroccata una manco per sbaglio, e la cosa non mi lascia indifferente”.
Angelo
“Mio figlio, anni 20, quando si riferiva ai suoi compagni di classe (parlo di asilo, elementari e medie,) non l’ho mai sentito indicarli per etnia, colore della pelle, paese di provenienza. Per lui erano Pedro, Ahmed, Hu, eccetera. Eravamo noi adulti a indicarli con altri criteri. Al liceo scientifico è un’altra storia, pochi di quei ragazzi arrivano a frequentare i licei. Sono i Vannacci e un sacco di altre persone egoiste che hanno avuto il culo di nascere dalla parte “giusta del mondo” a inquinare i pozzi della convivenza. I giovani però sono pochi e il loro peso elettorale irrilevante”.
Marco
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Mi ritrovo con una sola Zanzara, per giunta trovata da me su Repubblica.it (titolo poi corretto). Non so voi, ma mi ha fatto molto ridere.
SI FINGE MATTARELLA E ANCHE SUO NIPOTE
PER DIVENTARE PRIMARIO DEL GEMELLI
Ne consegue una serie di domande. Come fa la stessa persona a fingersi Mattarella e anche suo nipote? Avrà interpretato i due ruoli separatamente o, da vero virtuoso, contemporaneamente? E per diventare primario al Gemelli, fingersi Mattarella sarà la strategia giusta? Nel caso avesse più possibilità suo nipote, meno impegnato in attività istituzionali che lo distraggono, perché non fingersi direttamente il nipote? Mi fermo qui.
Tempo ancora ballerino, su al Nord. Sole, vento, e piogge anche robuste in arrivo da martedì. Non vorrei rattristarvi troppo con il mio maggengo (il primo taglio d’erba dell’anno), ma qui rischia di finire male: servono cinque-sei giorni di sole continuo, così che dopo il taglio l’erba possa asciugare per poi venire confezionata in rotoballe (se non sapete cos’è una rotoballa, vi tolgo il saluto). Se faccio in tempo, sabato vado a Rivergaro, lungo le rive della Trebbia, a seguire una conferenza sull’aquila. L’aquila nidifica anche in Appennino. Negli anni, è passata tre o quattro volte sopra casa mia ed è sempre una bella emozione. Dicono che da mille metri d’altezza, mentre volteggia in quota, avvisti una lepre nell’erba alta, forse anche un topolino. Me, dunque, mi vede benissimo anche da cinque chilometri, ed è così generosa che a volte si lascia vedere anche da me. Buona settimana, ragazze e e ragazzi.




