Nulla è inevitabile tranne la morte, le tasse e l’abbonamento a Sky
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Nulla è inevitabile tranne la morte, le tasse e l’abbonamento a Sky
Michele Serra
Martedì 16 settembre 2025

Nulla è inevitabile tranne la morte, le tasse e l’abbonamento a Sky

«Un paio di settimane fa mi sono accorto di avere due diversi abbonamenti a Sky: avevo dimenticato di disdire quello relativo a una casa dove non abito più. E stavo pagando da due anni (per mia colpa) un abbonamento inutilizzato»

(Getty Images)
(Getty Images)

Premessa: qui di seguito vi parlo di Sky, ma non è di Sky che vi voglio parlare. È dell’enorme casino in cui ci siamo messi da quando abbiamo affidato le nostre vite a sistemi ineffabili (le meccaniche celesti di Battiato buttate in parodia) che sovrastano, e di gran lunga, la volontà degli umani. Non obbediscono a noi: solo a se stesse. E comincio a sospettare che non obbediscano neppure a biechi disegni del profitto. Perché il profitto ha una logica e una funzionalità. Qui non riscontrabile.

Un paio di settimane fa mi sono accorto di avere due diversi abbonamenti a Sky: avevo dimenticato di disdire quello relativo a una casa dove non abito più. E stavo pagando da due anni (per mia colpa) un abbonamento inutilizzato. Disdirlo è stato molto facile: un numero verde, il 170, che incredibilmente risponde, un operatore cortese ed efficiente (forte accento palermitano, abbiamo parlato anche di quanto sono belle le Madonie) che senza fare altre domande dichiara che l’abbonamento è disdetto a partire dal mese di ottobre. Il tutto in pochi minuti. Rimane attivo, ovviamente, l’altro abbonamento, quello che uso. Tutto bene, dunque – a parte avere pagato per due anni un abbonamento a vuoto senza accorgermene: ma se uno non controlla le fatture, peggio per lui.

Peccato che, dal giorno stesso in cui disdico l’abbonamento, si scatena la tempesta perfetta. Un paio di telefonate al giorno, tutti i giorni; e poi messaggi via mail e sms. È sempre Sky, che mi dice, a voce o per iscritto: «signor Michele, le facciamo una proposta molto vantaggiosa per rinnovare il suo abbonamento». Alle operatrici, una per una e tutte diverse, fino a qui almeno una ventina senza contare mail e sms, spiego, con dosi variabili di pazienza, che non capisco che cosa dovrei rinnovare: ho disdetto un abbonamento che non uso più, punto e a capo.

Il problema è che nessuna delle operatrici, a ciascuna delle quali do la stessa identica spiegazione, è – come dire – consustanziale a Sky e ne ha dunque l’effettiva rappresentanza. Nessuna di loro mi sta parlando in quanto Sky. È Sky che mi telefonava, ma io non sto parlando con Sky, sto parlando con la sua dispersa fanteria che, trincea per trincea, soldato per soldato, sta ricevendo a rullo, ogni giorno, lo stesso ordine: «parla con il signor Michele e digli che deve rinnovare l’abbonamento». E ogni fante, ognuno abbandonato nella sua trincea, non è connesso con gli altri fanti. Non è in grado di comunicare a tutta Sky: il signor Michele non rinnova un bel niente, cancellatelo dalla lista.

Posso rispondere: la mia casa è stata bombardata. Io sono morto. Il pianeta Terra è stato centrato da un asteroide e non solo il mio decoder, anche tutti i decoder del mondo ormai sono pulviscolo in rotta verso le galassie. Non importa. Avrei ugualmente udito, dopo pochi minuti, proveniente da server in orbita, o da antri elettronici collocati alle porte di Orione, lo stesso messaggio: «signor Michele, lo vogliamo rinnovare, il suo abbonamento a Sky?».

C’è di peggio – dal punto di vista delle speranze residue di rimettere la situazione sotto controllo. Io sono sicuro che, se incontrassi il signor Sky in persona (mettiamo che esista un Jeoffrey Sky, padrone di Sky) e gli dicessi: «signor Jeoffrey, non avrei mai sperato di poterla incontrare, ma già che ci siamo terrei a dirle questo. Ho dismesso un abbonamento a Sky, potrebbe per favore dire ai suoi call center, ai suoi manager, al suo Consiglio di amministrazione, se crede anche ai suoi familiari, che non desidero rinnovarlo?» Lui allargherebbe le braccia e mi direbbe: «Sono desolato ma non posso farci niente, abbiamo attivato un algoritmo che ha il compito di riattivare tutti gli abbonamenti disattivati e non siamo in grado di disattivare l’algoritmo riattivante. A questo proposito volevo chiederle: signor Michele, abbiamo tariffe molto vantaggiose, che ne dice di rinnovare il suo abbonamento?».

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“Sono un quarantenne elettore di sinistra in crisi di identità. Niente di nuovo: ormai la crisi di identità, per un elettore di sinistra, è norma esistenziale. Però i commenti che ho letto all’assassinio di Kirk sono l’ultima goccia. Forse c’è qualcosa che mi sfugge in tutta la faccenda, forse la polarizzazione che colpisce la destra richiede identico cinismo e polarizzazione. Però il tripudio, non solo in quella pattumiera che ormai sono i social, ma anche altrove, nella vita vera, nelle chat con gli amici… Quel tripudio davanti a un omicidio politico mi ha lasciato sbigottito. Leggere Saviano che dice, sostanzialmente, ‘nessuna empatia, l’unico problema è che questa cosa può favorire Trump’, lo trovo agghiacciante. Cosa succederebbe, a ruoli invertiti, se un La Russa di turno dicesse le stesse cose davanti a un morto ‘di sinistra’?
Ho appena letto la tua Amaca del 12 settembre: i morti sono uguali, le vite no.
E cosa diavolo vuole dire? Che Kirk non fosse Matteotti, è un dato di fatto. Ma la tua Amaca sembra dire: ‘la violenza è sempre sbagliata, però dai, non era poi ‘sto fenomeno, portava avanti discorsi orrendi e oggi il mondo è un posto migliore senza di lui’. (Mi dirai che non ho capito questa Amaca: ne sei davvero sicuro?). Il format di Kirk prevedeva il dialogo con un interlocutore. Ha ricevuto un proiettile.
Costa scrive, sulla sinistra: ‘Le discussioni interne si trasformano in crisi morali quotidiane. La persuasione non esiste, come l’eterodossia: anzi, l’unico interlocutore più odiato di Trump è quello che la pensa come te su qualcosa ma non su tutto. L’adesione è condizionata al pensare tutte le cose che bisogna pensare per dirsi veri progressisti. Il tono dominante è austero e animato dall’idea che la gravità della crisi imponga una mobilitazione permanente. L’ansia e il pessimismo vengono ostentati come segnali di consapevolezza e virtù’. Una sinistra sempre più impermeabile, pronta a rinunciare al dialogo, arriva persino a giustificare un omicidio politico. Ti ho sempre visto come un faro di lucidità, avevamo fatto anche la mia tesi di laurea insieme. Ma immaginarti lì in campagna a comprare pane col lievito madre e grani antichi pensando ‘oh, sto proprio bene adesso che ho scritto quanto Kirk fosse poi fondamentalmente uno stronzo’, mi fa perdere le ultime briciole di speranza. A quanto pare torneremo in un periodo di estremismi che non ho vissuto e speravo di non vivere. Buffo, in un periodo nel quale le ideologie sembrava fossero morte”.
Daniele

Caro Daniele, facciamo a metà (è il metodo più democratico). Per metà tu non hai capito quello che volevo dire in quell’Amaca. Per metà, evidentemente, non mi sono fatto capire io. Il tema, enorme, terribile, è di quelli che non basterebbero dieci volumi e un forum di una settimana chiusi nell’Agorà dei Saggi (figuriamoci un’Amaca, 1700 battute circa). Proviamoci lo stesso, a costo di approssimazioni: ne vale la pena.
L’assassinio politico è un crimine, come dire, indeclinabile. Nel senso che viene “dopo” la politica, la eradica, la nega, e in questo senso ogni omicidio politico è un omicidio della politica, e tutti gli omicidi politici sono lo stesso omicidio. Poche e illustri eccezioni, in tempi pre-democratici e ben più cruenti del nostro (l’uccisione di Cesare, il tirannicidio, il regicidio “alla Bresci”), sono state meritevoli di un dibattito storico, etico e politologico ormai millenario. Per il resto, si tratta della decisione di sopprimere, quasi sempre a sangue freddo e a tradimento, dunque vilmente, un nemico la cui sola esistenza è considerata insopportabile. L’attentatore ritiene il movente “politico” un’attenuante. Io credo sia invece un’aggravante: perché il suo gesto, del tutto individuale, viene scaricato sulle spalle di comunità (la sinistra, la destra, quant’altro) che ne pagheranno le conseguenze, e l’intera scena politica, che coinvolge milioni di persone, sarà imbrattata di sangue e avvelenata dal gesto di un singolo.

Forse perché la mia opinione sulla violenza politica è molto ferma, ed è la stessa da una vita (la violenza politica, in democrazia, è un sequestro della scena pubblica da parte di piccole minoranze, a volte di isolati fanatici) non ho avvertito alcun “tripudio” per l’uccisione di Kirk, magari perché mi tengo accanitamente alla larga dai social. Per lo meno nella mia cerchia di amici, e sui media che frequento, ho avvertito soprattutto molta preoccupazione, quasi angoscia, per il clima nel quale sprofonda l’America.
Quanto alla poca empatia per la vittima, quella sì, l’ho riscontrata anche io. E no, non ne sono indenne, caro Daniele. Ma l’esecrazione, e anche la rabbia, per un delitto così vigliacco e stupido, e per le sue conseguenze; la pena per la vedova e i due figli piccoli; sono parte dei miei doveri civili e umani, nonché dei miei doveri politici, di cittadino che vive in mezzo a simili e anche a dissimili, e di entrambi deve avere rispetto. Questo dovere non è meno decisivo e importante dei miei indirizzi morali e delle mie idee politiche; ma non ha il potere, e nemmeno il diritto, di farle scomparire. Penso che il movimento Maga e i suoi ideologhi agiscano sulla base di un sentimento di sopraffazione sociale, di supremazia razziale e (forse l’aspetto peggiore e retrivo) di giustificazione “religiosa” dei primi due aspetti. E penso che nulla di peggiore, di più intollerante, di più nocivo si sia manifestato, in Occidente, dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Non credo si debba rinunciare a pensarlo, e a scriverlo, perché uno studente fanatico ha ammazzato Kirk. L’assassino è solo l’ultimo di una genia di armigeri fuori controllo che tanto peso ha avuto, e sta avendo, nella storia di quel Paese, nel quale le morti per arma da fuoco, ogni anno, sono, incredibile ma vero, attorno alle ventimila. E temo che questo aspetto, così oggettivamente rilevante, dell’accaduto, non muterà di una virgola il plauso ideologico che la gente di Maga concede al mostruoso arsenale privato americano.

Infine, caro Daniele, ti devo altre due brevi risposte. Sulla sinistra “dell’ansia e del pessimismo” concordo in larga parte con quanto ha scritto Francesco Costa: è moralista e incline ai toni lugubri, e una sua parte (minoritaria) è anche intollerante e aggressiva. Con questa ala savonaroliana della sinistra italiana ebbi a che fare, purtroppo per me, quando organizzavo la manifestazione europeista del 15 marzo a Roma, e non fu gradevole. La sinistra come la intendo io non è la stessa, specie per quanto riguarda l’umore con il quale si deve stare al mondo. Ti rimando al lungo (troppo?) papello che ho pubblicato proprio ieri su Robinson, contro la sinistra della lagna continua.
Seconda risposta: la mia spesa normalmente la faccio all’Esselunga, adesso vedo se riesco a trovare anche lì il pane con i grani antichi, poi ti faccio sapere.

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Dopo la finale mondiale del volley femminile, avevo scritto di trovare assurda la musica da discoteca che rimbomba nei palazzetti. Non solo nelle pause, anche in momenti di gioco. Mi arriva questo autorevolissimo “placet” dal telecronista del volley in persona, Marco Fantasia. Credo che sia la prima volta che mi scrive un telecronista e ne sono molto orgoglioso.

“Grazie per aver dato forza e voce a una denuncia che porto avanti, solitario, già da un paio d’anni, a proposito della deriva del volley da spettacolo sportivo a show discotecaro/circense. Deriva che non si registra solo in campo internazionale, ma anche in alcuni palazzetti italiani; Milano, guarda caso, su tutti. Mi permetto, nel caso non lo avesse già letto, di allegare un bellissimo articolo di Luca Vettori (ex nazionale di pallavolo) uscito nei giorni scorsi sul Manifesto”.
Marco (il telecronista travolto dall’umpa umpa thailandese)

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Zanzare due sole, ma di livello. Luca mi manda da Trento la pubblicità di un ristorante che, secondo lui, risponde alla domanda “cosa verrà dopo il bosco verticale”.

VASTA SCELTA DI PIATTI LOCALI
E PIZZE CON GIARDINO INTERNO

Dalle pagine milanesi di Repubblica, Marco segnala questo ennesimo caso destinato a fare discutere sul ruolo delle forze dell’ordine:

INVESTITO E UCCISO, IL POLIZIOTTO TORNA LIBERO

Certe settimane – questa compresa – ho paura di essere stato troppo lungo ma confido nella vostra capacità di sintesi: si salta quello che non interessa, se poi si perde qualcosa di notevole, pazienza. Nemmeno una parola è indispensabile, checché se ne dica del Verbo, e paraggi. Il primo (e l’ultimo) monologo teatrale che ho portato in scena cominciava così: “Bisognerebbe parlare poco. Sarebbe molto meglio rimanere in silenzio e guardare le nuvole che passano”. Io sono la smentita vivente di questo principio (parlo, anzi scrivo tantissimo) ma non per questo è meno giusto. Guardate dunque le nuvole, nei cieli di questo settembre ce ne sono a bizzeffe, di ogni forma e di ogni colore (mentre scrivo, sopra casa, cielo a pecorelle. Non è seguita pioggia a catinelle, vedi i proverbi).

Funghi a caterve, quest’anno, e amici sadici che mi mandano fotografie con canestri ricolmi di porcini, ovoli, cantarelli, e io mi sono rimesso in piedi ma nei boschi, certo, non posso ancora andarci. Mi accontento di guardare le fotografie, è una specie di pornografia micologica che poi, per fortuna, culmina nell’atto carnale della buona tavola con buoni amici. Ci sono i funghi, ci sono le nuvole, che ci manca? In alto i cuori.