“Non lo so se mi conviene”
«Eppure, a pensarci bene, è proprio sulla base di questi stessi parametri che dovremmo riconoscere, anzi ammettere di “stare bene”: ovvero di godere di libertà, tutele, occasioni, beni materiali, esperienze che sono negate a moltitudini»

Sarà capitato anche a voi (a me capita spesso) di sentirvi bene, se non proprio felici quanto meno contenti, e di provarne imbarazzo – con tutto quello che succede nel mondo. “Io sto bene, che vergogna”, come cantava Gaber nell’Illogica allegria. Lo raccontava così, questo sentimento di vergogna:
“Lo so, del mondo e anche del resto
Lo so che tutto va in rovina.
Ma di mattina, quando la gente dorme col suo normale malumore
Mi può bastare un niente, forse un piccolo bagliore
Un’aria già vissuta, un paesaggio o che ne so: e sto bene”.
(Può darsi che ve ne abbia già parlato, dell’Illogica allegria, ma portate pazienza, per me quella canzone è una specie di spirito-guida, e poi con gli anni capita di ripetersi…). Non è dunque l’incoscienza, a spianare la strada alla contentezza di vivere la propria vita, o almeno certi momenti della propria vita. Non è il menefreghismo, l’insensibilità. Lo sappiamo bene, “che il mondo va in rovina”, o almeno che ci sono pezzi di umanità piegati dal dolore, dalla servitù, dalla guerra e dalla fame. Eppure, a pensarci bene, è proprio sulla base di questi stessi parametri che dovremmo riconoscere, anzi ammettere di “stare bene”: ovvero di godere di libertà, tutele, occasioni, beni materiali, esperienze che sono negate a moltitudini. Non è fingendo una ipocrita contrizione che possiamo tradurre in bella figura i nostri privilegi.
E comunque, al di là di questa lettura “politica” della questione, ci sono piccole percezioni private, minuzie sentimentali, brividi di fisicità e di scambio materiale con la natura, i suoi odori, le sue luci e i suoi suoni, “un niente, un piccolo bagliore”, e la percezione della nostra vita, in quel preciso momento, è irresistibilmente “felice”. Una passeggiata con il cane, un saluto con una persona che è bello salutare, un piatto che ami cucinare per gli amici, uno scorcio di strada che ti parla bene della tua città e te la fa sembrare bella…
Mi colpisce sempre, nelle testimonianze di chi frequenta e conosce i paesi che una volta si chiamavano “del Terzo Mondo” o “in via di sviluppo”, ora meno eufemisticamente paesi poveri, il frequente richiamo al migliore umore medio di quelle popolazioni. Probabilmente gioca, in questa nostra percezione, anche l’idea, molto consolatoria, che il denaro non dà la felicità, che la vita semplice mette al riparo dalle complicazioni psichiche, che “cuor contento il ciel l’aiuta”, eccetera. È la secolare propaganda con la quale chi ha di più affronta la minaccia incombente di chi ha di meno, e chissà che prima o poi non voglia riprendersi il maltolto, meglio tenerselo buono dicendogli: lo vedi come sei felice con quel poco che possiedi?
Ma si intuisce un nocciolo di verità, nel binomio “vita semplice-felicità”, così come nel binomio opposto, “consumismo-insoddisfazione”, o “competizione-nevrosi”. E qualcosa di vero c’è, nell’individuare nel peso delle nostre sovrastrutture economiche e psicologiche, nella moltiplicazione dei nostri desideri e delle nostre pretese, una ragione di angoscia.
Ma poi, infine: mi pare di capire che l’usanza di lagnarsi, di considerarsi vittime di questo e di quello, di misurare il proprio grado di intelligenza e di sensibilità con il metro del malessere (“solo i cretini possono essere felici”), sia diventata una forma dilagante di conformismo. Una specie di postura obbligatoria. In Occidente questa è l’epoca della lagna. Non conosco nessuno che mi abbia detto, recentemente, “mi sento felice”. Tanto vale vagliare, tra le possibili vie di fuga e di cambiamento, una ragionevole dose quotidiana di contentezza.
E ditemi se non è un segno il fatto che, proprio mentre stavo pensando di cominciare questo numero di Ok Boomer! così come l’ho cominciato, aprendo i pacchi con i nuovi arrivi di libri ne ho trovato uno che si intitola: La felicità è un atto politico. L’ha scritto Giulia Blasi (una che scrive bene, e per noi boomer, scusate, conta parecchio), lo leggerò tutto di un fiato.
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In parecchi, e non l’avrei mai detto, mi hanno scritto per ricordare Fausto Amodei (antico e prezioso autore di canzoni, certamente non sulla cresta dell’onda da molti anni) e ringraziarmi per avere pubblicato il testo di quel piccolo gioiello che è Il tarlo.
“Ho 29 anni, conoscevo Fausto Amodei e batto un colpo! Tutto grazie alla trasmissione su Radiotre ‘Il Dottor Djembè’, di Stefano Bollani e David Riondino. Grandissima trasmissione e grandissimo artista! Il tarlo è veramente una canzone meravigliosa…”
Chiara
Di quella puntata manda il link Carlo Vareschi, eccolo qui.
Molti i riferimenti a Bollani (il Bollani televisivo) anche in altre mail. Mauro scrive che “Bollani e Cenni hanno cantato proprio Il tarlo in ‘Via dei Matti numero zero’ nel 2023, allora l’ho cercato nel web e ho scoperto le sue canzoni, davvero bravissimo, e c’erano anche Calvino, Rodari ed Eco che hanno contribuito al lavoro dei Cantacronache”. Anche altri lettori dicono di avere conosciuto Amodei grazie a “Via dei Matti”. E dunque, vedete che per certi versi viviamo tempi felici: le poche residue trasmissioni culturali sono un piccolo segnale, ma se uno lo capta e poi va sul web può trovare quasi tutto quello che gli serve. Il web può essere, se usato a proposito (diciamo: selettivamente) uno splendido amplificatore delle cose belle, e anche delle cose perdute. Ne approfitto per dire che Bollani è non solo formidabile, è anche molto utile, grande artista e grande divulgatore, ma questo già si sapeva. Quello che magari si dice di meno è che la sua partner in “Via dei Matti”, Valentina Cenni, è brava tanto quanto lui, e dunque essergli moglie vale, come moltiplicatore di energia e talento, tanto quanto per lui esserle marito.
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Citavo, la scorsa settimana, la celebre caustica frase di Rino Formica “la politica è sangue e merda”. Non sapevo, e ringrazio il lettore Valerio de Nardo che me lo spiega, che Formica citava a sua volta Jean-Paul Sartre. Pubblico volentieri il brano di Le mani sporche che de Nardo allega, perché dice molto della politica di ieri e di oggi. Il cinismo non desta simpatia: ma è molto poco simpatico anche il “purismo” intransigente e astratto, che è alla base di molto estremismo, molto fanatismo.
“Come tieni alla tua purezza ragazzo! Come hai paura di sporcarti le mani! Ebbene resta puro! A che serve, e perché vieni tra noi? La purezza è un ideale da fachiri, da monaci. Voialtri intellettuali, anarchici borghesi, vi trovate la scusa per non fare nulla, restate immobili, stringete i gomiti al corpo, portate i guanti. Io, le mani, le ho sporche. Fino ai gomiti. Le ho affondate nella merda e nel sangue. E del resto? Credi proprio che si possa governare innocentemente?”
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Settimana gloriosa per le Zanzare. Comincerei da un segnale molto inquietante che ci arriva da questo cartello che Daniela ha fotografato in un parco di Cassano d’Adda:
QUI HANNO PIANTUMATO I BAMBINI NATI NEL 2007
Si presume che siano stati i bambini a piantumare il parco, non a essere piantumati, ma insomma un poco di spavento, a una prima lettura, può insorgere. Restando nel campo dei diritti umani violati, impressiona questo titolo della Nuova di Venezia e Mestre segnalato da Barbara. Riguarda l’emergenza per una infestazione di cimici (gli insetti) nel carcere di Venezia, e la drastica soluzione proposta dalle autorità:
I SINDACATI: CI SONO 280 PERSONE INVECE DI 142
IL DIRETTORE: DISINFESTIAMO
Diversi lettori segnalano un titolo di Repubblica.it (in seguito corretto) che complica ulteriormente la già difficile missione della Flotilla:
FLOTILLA, COORDINATORE DI TUNISIA CONTESTA
LA PRESENZA DI UN ARRIVISTA LGBTQ+
Sarà un vero lgbtq+ che sgomita per farsi notare, o qualcuno che si spaccia per lgbtq+ pur di fare carriera? La confusione politica è comunque al culmine, come si deduce da questo titolo di Repubblica.it (poi corretto) che Valerio attribuisce, e come dargli torto, alla “attitudine schizoide del presidente americano”:
TRUMP: PUTIN E TRUMP SI ODIANO, PROBABILMENTE
DOVRÒ CONVINCERLI IO A INCONTRARSI
A confermare che l’umanità non attraversa un momento felice, e la sua reputazione è in netto ribasso, Paolo segnala dal Corriere del Trentino (poi corretto) lo sconcertante esito di un recente referendum locale.
ORSI, IL REFERENDUM: IL 97 PER CENTO
DEI CITTADINI SONO UN PERICOLO
Basta la caduta di una piccola preposizione (“per”) e risulta invertito il rapporto tra giudicanti e giudicati. Fa parte della tradizione classica nazionale (in Italia “giallo”, per via libresca, è diventato sinonimo di “caso poliziesco”) questo titolo del Giornale di Vicenza segnalato da Pierfrancesco:
TROVATO MORTO NEL CANTIERE A 36 ANNI: È GIALLO
Infinite le varianti, ricordo sulla pagina dell’Unità di Imola un “Cadavere ripescato dal Santerno, è giallo”, e un memorabile “Giallo in colorificio” di non so quale cronaca (nera) di parecchi anni fa. Brutte notizie anche sul fronte climatico:
È IN ARRIVO DALLA FRANCIA UNA NUOVA PERTURBAZIONE ATLETICA
Da Corriere.it, segnalano diversi lettori preoccupati dal nuovo tipo di fenomeno atmosferico, sicuramente foriero di piogge molto vigorose.
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Effettivamente ha piovuto molto, su al Nord, nella settimana appena trascorsa, con qualche guaio in Piemonte e Lombardia, il Lago di Como tracimante e a Milano il Seveso che esce dalla sua “tombatura”, come d’abitudine. Essendo vivo, del resto, come potrebbe fare altrimenti? Seppellire i morti è pratica corrente, ma seppellire i vivi? Nonostante, nei decenni, siano stati messi in funzione i famosi “scolmatori” dei quali sento parlare da quando sono nato, il Seveso ogni tanto ha necessità di tornare a cielo aperto, e lo fa. Allo stesso modo altri fiumi e canali (per esempio a Bologna e Genova) quando si gonfiano scoperchiano i loro improvvidi sepolcri, e se ne vanno in giro per la città, combinando guai.
Avevo vent’anni (mezzo secolo fa), cominciavo appena la mia storia di scribacchino all’Unità di Milano, in viale Fulvio Testi, e il Seveso usciva almeno un paio di volte all’anno alluvionando buona parte di Milano Nord. Si allagava la tipografia, e le vie attorno al palazzo. Un vigoroso tipografo, con alte galosce, mi portò una volta in spalle fino alla redazione, guadando il viale. Ridemmo insieme di quella condizione: “lo vedi che è tutto sulle spalle della classe operaia?”. Si chiamava Colombo, cognome tra i più lombardi. Ne ricordo non solo il volto, anche la voce e la parlata milanese. Chissà se c’è ancora. Grazie, Colombo, per avermi salvato dalle acque.
Bando a memorie e nostalgie: adesso c’è un bel sole, brillante e tiepido, è domenica mattina. Qualche sparo in lontananza annuncia la riapertura della caccia, si sente a tratti il latrato acuto e nervoso delle mute di bracchi e segugi. Tutte le bestie sono inquiete – anche i miei cani; il gatto no, i gatti se ne fregano – ma qui per le valli e per i boschi ogni essere vivente se la può giocare a cielo aperto, a differenza dei miliardi di animali reclusi negli allevamenti intensivi. Arriva mezzogiorno e tutto tace, i cani dormono tranquilli nel prato davanti a casa dopo avere abbaiato a perdifiato tutta la mattina – dev’essere faticosissimo, abbaiare. Preparo il pranzo e cerco di capire dai telegiornali come se la passano quelli della Flotilla. Chissà come se la caveranno.
Abbasso i droni e in alto i cuori.




