L’Occidente relativo
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L’Occidente relativo
Michele Serra
Martedì 28 ottobre 2025

L’Occidente relativo

«Infastidisce, nell’“occidentalismo” quando diventa ideologico, quel complesso di superiorità che rischia di impedirci l’esercizio della tolleranza, ovvero di ciò che vantiamo essere la nostra virtù più preziosa»

(Getty)
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Non capisco più bene che cosa vuol dire Occidente – quando lo leggo, quando lo scrivo – e dunque avrei deciso, di qui in poi, di adoperare questo termine il meno possibile. Astronomicamente, e scritto con la minuscola, è laddove tramonta il sole, e fin qui non c’è discussione. Un punto cardinale, che come i suoi tre fratelli ha il potere fantastico di spostarsi ovunque ci si sposti. In Portogallo l’occidente è l’Atlantico, a New York è l’America tutta intera, in California è l’immenso Pacifico, in Giappone è l’Asia settentrionale, a Mosca è l’Europa e gira gira il cerchio si chiude e si riapre all’infinito, a ciascuno il suo occidente e il suo oriente.

Ma storicamente, culturalmente, politicamente? Se riferito all’Europa, e a quel suo ingombrante derivato coloniale che è l’America, l’Occidente (con la maiuscola, come se fosse il nome di una nazione) è davvero troppe cose per riuscire a definirlo senza dimenticarne qualcuna. È tutto e il contrario di tutto. È la cultura giudaico-cristiana, è il capitalismo sorgente e trionfante, è l’imperialismo in purezza (la prima globalizzazione dell’umanità è stata la conquista e la sottomissione dei popoli di tutta la Terra, con pochissime eccezioni, per mano degli europei: Gengis Khan, al confronto, fu un dilettante che agiva su scala locale, poco più di un bullo rionale). È la tratta degli schiavi e il suprematismo bianco, come si dice oggi. È il nazifascismo e la Shoah.

Ma è anche la cultura classica, l’illuminismo, la rivoluzione borghese, la democrazia, il marxismo, il femminismo, la psicanalisi, la ragione e la scienza che si rivoltano contro l’oscurantismo religioso. È Eraclito, Seneca, Dante, Shakespeare, il Rinascimento, Spinoza, Galileo, Diderot, Einstein, il romanzo russo e il romanzo francese, l’impressionismo, l’astrattismo, Bach, Beethoven, Verdi, Mahler, il rock’n’roll. Picasso. I Beatles. Il cinema. La tragedia greca, la commedia dell’arte e l’opera lirica.
Ed è infine (forse soprattutto?) ciò che i fanatici islamisti colpiscono con la strage più simbolica, quella del Bataclan contro la “musica satanica” e i giovani che, celebrandola, liberano il corpo; ciò che Putin considera – giustamente – nemico mortale del suo potere mistico-autocratico: un luogo dove la libertà delle persone ha più spazio e più garanzie rispetto a qualunque altro luogo del pianeta. Ultimamente, grazie a Trump, anche rispetto agli Stati Uniti.

Parlare di “valori occidentali”, in questo senso, ha un senso. Eccome se lo ha. A patto che la rivendicazione di libertà (di questo si tratta) non pretenda di dichiarare chiuso il dibattito. Troppe variabili, troppe complicazioni, troppe controindicazioni impediscono, a noi abitanti del cosiddetto Occidente, di impancarci a Modello Universale. A partire dal fatto che gli stessi “valori occidentali”, per affermarsi in Occidente, hanno dovuto faticare assai, e combattere contro nemici anch’essi occidentali. Hanno dovuto sfidare il rogo e il patibolo, accendere rivoluzioni: e ancora oggi, come dimostra l’America di Trump, sono tutt’altro che garantiti.

Mi serve, a questo punto, dare la parola a un lettore.

“Sono nato anch’io nel 1954, e ultimamente mi capita spesso di girovagare fra i ricordi di gioventù, quando ero un severo militante di Lotta Continua: allora sì che stavamo bene, il mondo era nettamente e manicheisticamente diviso in due, era più facile orientarsi fra i labirinti della geopolitica. Oggi senza più riferimenti ideologici (giusti o sbagliati che fossero) è molto più complicato.
Premesso che sono ben contento di vivere in questa parte di mondo che ha infiniti meriti, una cosa di questa parte mi disturba: oggi ci manca un approccio olistico alla realtà. ‘Una persistente cecità, che nasce da un illusorio senso di superiorità, induce l’Occidente a credere che tutte le vaste zone in cui è diviso il nostro pianeta debbano seguire uno sviluppo che le porterà a sistemi analoghi al suo. E che tutti gli altri mondi sono solo temporaneamente trattenuti dal lanciarsi sulla via della democrazia pluripartitica di tipo occidentale e dall’adottare il modo di vita dell’Occidente. Ogni paese viene giudicato sulla base del suo grado di avanzamento su questa via, ma in realtà questa concezione nasce dall’incomprensione da parte dell’Occidente dell’esistenza di altri mondi che vengono arbitrariamente misurati con il metro occidentale’.
Sai chi ha scritto queste cose? Non un pericoloso sovversivo comunista o terzomondista, ma Aleksandr Isaevič Solženicyn, uno scienziato e scrittore che si era fatto molti anni nei gulag staliniani. Sono parte del discorso che tenne ai laureandi dell’università di Harvard, a New York, l’otto giugno 1978. Ecco, ho l’impressione che noi tendiamo a considerare giusto tutto quello che siamo e che facciamo noi, e sbagliato quello che sono e fanno gli altri, e se ci chiudiamo nella nostra visione del mondo e trascuriamo quella degli altri, i conflitti sono inevitabili e possono essere infiniti”.
Francesco Biggi (Ficulle, TR)

Francesco dice bene, secondo me. Infastidisce, nell’“occidentalismo” quando diventa ideologico, quel complesso di superiorità che rischia di impedirci l’esercizio della tolleranza, ovvero di ciò che vantiamo essere la nostra virtù più preziosa. Il democratico che dà lezioncine di democrazia al resto del mondo può avere le migliori ragioni, ma leggendo certe tirate e certe filippiche sulla falsariga “diventate come noi, oppure l’umanità è destinata alla barbarie”, mi torna in mente il monito che un mio vecchio caporedattore all’Unità, e poi grande amico, Sergio Banali, opponeva a chiunque facesse discorsi troppo animosi, troppo roboanti, troppo comizianti: “Scendi dal cavallo bianco e rinfodera lo spadino”. C’è un sacco di gente, in giro per il mondo, che dovrebbe scendere dal cavallo bianco e rinfoderare lo spadino. E il problema è equamente suddiviso tra i quattro punti cardinali.

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La strada che sale da Pont Canavese, sopra Ivrea, alla Valle Soana, è micidiale. Stretta e tortuosa, in certi punti se due automobili si incontrano bisogna che una faccia marcia indietro fino al primo slargo utile per scansarsi. Si risale una gola severa, che i colori autunnali ingentiliscono appena. È di quelle strade di montagna che fanno capire a chi le percorre quanta tenacia ci vuole, per rimanere attaccati a quelle rocce, quegli alpeggi, quei boschi e non lasciarsi scivolare a valle, nell’indistinto della pianura, nel comodo delle città. Ci vogliono radici forti, per rimanere attaccati ai monti.

L’ho risalita sabato, quella strada, per andare a Ronco Canavese, centro principale della Valle Soana, dove un giovane sindaco tosto e ingegnoso, Lorenzo Giacomino, mi ha invitato per parlare, nel piccolo teatro comunale, di una iniziativa inedita e coraggiosa: proclamare “montagna sacra” il Monveso di Forzo, una bella montagna del luogo. Ovvero dichiararla inviolabile dall’uomo, inventandosi una specie di “tabù moderno” che renda indisponibile alla nostra invadente specie almeno qualche porzione del pianeta. Per dirlo con le parole di uno dei promotori, Toni Farina, scrittore e uomo di montagna: “Un’istanza provocatoria, discutibile (infatti è stata molto discussa), ma necessaria per lasciare simbolicamente quell’esiguo spazio fisico ad altri esseri viventi. Esseri ai quali sulla Terra Homo sapiens ha tolto via via lo spazio vitale. Il Monveso di Forzo è così diventato simbolo di accettazione di un limite nella società del no-limit. Nessun divieto, ma semplice e personale accettazione di un invito”.

La proposta (alla quale ho aderito, faccio parte del piccolo comitato promotore) ha diviso il mondo della montagna, a partire dai responsabili del Parco del Gran Paradiso, del quale il Monveso è parte. A me sembra importante mettere il concetto di “limite” al centro dell’attenzione in un momento storico dominato dall’accessibilità indiscriminata e dal consumo forsennato. Non tutto può essere alla portata di una carta di credito, non tutto è in vendita. Nel reticolo di funivie, impianti di risalita, percorsi facilitati, una montagna senza umani ha una luce speciale: la si può guardare solo dal basso, incorniciata dal cielo.

Ringrazio la vivace comunità della Valle Soana, le volontarie della biblioteca, il sindaco, le tante persone presenti (in sala c’era anche qualche giovane in mezzo al grande nevaio dei capelli bianchi) per la giornata davvero particolare. Suggerisco, a chi volesse approfondire l’argomento, il bel libro di Enrico Camanni La montagna sacra. Camanni conosce le Alpi come pochi, e le sa raccontare.

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Il titolista (eroe indiscusso di questa ormai gloriosa rubrica, “Zanzare mostruose”) va di fretta e in genere si muove in spazi grafici molto stretti, che lo costringono a sintesi spericolate. Come questa dell’Eco di Bergamo, segnalata da Daniela:

STORNO E FRINGUELLO
È BATTAGLIA LEGALE

Non sono, come sembrerebbe, i due vivaci uccellini a battersi con le carte bollate. La disputa è attorno alla possibilità di cacciarli (e mi permetto di sottolineare la scandalosa sproporzione tra il predatore armato e la piccola preda). È sempre l’ansia di sintesi ad avere generato questo titolo del Tempo, trovato da Flavia, che fa pensare a un caso di inutile accanimento ai danni di una defunta:

INVESTITA E UCCISA
OBBLIGO DI DIMORA

Non la brevità, ma una notevole confusione nella sequenza dei concetti ha invece guastato questo titolo del Messaggero Veneto, segnalato da Andrea:

CARICHE DELLA POLIZIA CONTRO I MANIFESTANTI
USATI GLI IDRANTI CHE LANCIANO BOTTIGLIE
E FUMOGENI, FERITO UN GIORNALISTA

Fabrizia ci manda un esempio classico di errore di quelli che a scuola costavano, nei tempi bui della repressione pedagogica, un voto molto basso. Locandina della Stampa:

PERDITA DI GAS
EVACQUATE DUE PALAZZINE

Fosse stata una perdita d’acqua, dice Fabrizia e io con lei, l’errore sarebbe stato più scusabile. Infine, sul sito online OA Sport, un apparente caso di dolorosa ricaduta per una campionessa:

ASIA D’AMATO TORNA AI MONDIALI
DOPO QUATTRO ANNI, INFORTUNI ALLE SPALLE

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Invio questo numero di Ok Boomer! con una certa ansia. Un po’ perché sono in ritardo (è lunedì mattina) un po’ perché non vedo l’ora di uscire fuori di casa: è una giornata radiosa, l’autunno quando decide di fare le cose in grande è la più bella delle stagioni. Splendente e malinconico, versatile come nessun altro momento dell’anno (dalle brume al sole più limpido, dal generoso tepore diurno al semi-gelo notturno). Non vi dico del colore degli alberi qui attorno per non essere banale. Vi dico solo: non fate foliage, che è una roba molto fighetta. Guardate gli alberi – i parchi, i boschi, i giardini – e camminateci in mezzo, che è molto meglio. E sempre in alto i cuori!