I limiti dei limiti
«Nella sua capacità di accettazione, nel suo stoicismo, nella sua cognizione che esiste una giusta misura, e il resto è smisuratezza che porta alla rovina e alla guerra, il senso del limite contiene il germe della rassegnazione. Non è entusiasmante, non indica qualcosa di sconosciuto da raggiungere, esclude l’utopia, la straordinarietà, il colpo di vita. Non produce adrenalina, il limite, se non nel desiderio del suo superamento»

Credo di non avere mai scritto e letto la parola “limite” così tante volte come negli ultimi anni. Così tante che rischio di averla in antipatia, come capita con le parole troppo usate. Eppure, non c’è sinonimo o perifrasi che possa rimpiazzarla. Limite è una parola implacabile, vuol dire “oltre non si può andare”, a partire dal limite più noto e spiacevole, che è la fine della vita.
Limes ha origini agrimensorie e militari, ma è poi passato a indicare qualcosa di profondo e di importante nella vita individuale così come in società. Il senso del limite coincide, per (quasi) tutti noi, con l’idea che non tutto ci è consentito, che il rispetto degli altri pone evidenti limiti ai nostri comportamenti. Abbiamo dei limiti, c’è un limite a tutto, quel bullo ha superato ogni limite, eccetera. Ogni forma di educazione prevede, tra i passaggi più difficili, la necessità di insegnare ai piccoli che ci sono dei limiti: il loro naturale (e commovente) sentimento di onnipotenza, di libera espansione, di libertà sfrenata, prima o poi dovrà fare i conti con l’esistenza degli altri. Si nasce smisuratamente liberi, si cresce prendendo atto che non è completamente vero. Mica facile, come nozione.
In questo preciso momento della storia umana quel concetto è diventato, almeno così mi sembra, il vero oggetto del contendere della politica e dell’economia, e anche di qualcosa di più della politica e dell’economia. Porre dei limiti al potere – a partire dalle auree intenzioni di Pericle l’ateniese – è l’essenza di ciò che chiamiamo democrazia. E se ci siamo arrivati abbastanza vicino solo da un paio di secoli, dopo due o tre millenni di autocrazia, teocrazia, dittatura, assolutismo, vuol dire che ci è voluta una gran fatica. Perché pretendere illimitato il proprio potere, quello politico e quello economico, è l’obiettivo degli autocrati, degli straricchi e, per dirla con semplicità quasi infantile, dei prepotenti.
Di quelli che tendono ad allargarsi troppo, a prevaricare sugli altri, a non tenere conto – appunto – dei limiti che sono stati tracciati a salvaguardia della libertà e del diritto di tutti. È questo il vero grande punto di tensione, in buona parte del mondo. La democrazia pretende il limite, su quello si fonda. Non solo la socialdemocrazia, che ha o dovrebbe avere l’evidente scrupolo di tutelare la maggioranza della società dall’ingordigia di pochi; anche la democrazia liberale, che pure tiene in grande conto l’intraprendenza di ciascuno e valorizza l’iniziativa privata, però dentro una cornice di leggi e regole accettate da tutti. Entro limiti ben definiti. Per questo, precisamente per questo, Putin, Trump, Musk odiano la democrazia. Perché dove prevale la democrazia, muore la loro arroganza.
Bene. A questo punto vi sarete fatti l’idea che io mi senta dalla parte del limite: ed è un’idea giusta, perché odio i prepotenti, amo i rispettosi. Ma è un’idea incompleta. Perché il mio omaggio al limite è incrinato da un dubbio importante. Penso, anzi scopro ogni giorno, che il senso del limite ha un difetto (lo stesso difetto della democrazia?). Nella sua capacità di accettazione, nel suo stoicismo, nella sua cognizione che esiste una giusta misura, e il resto è smisuratezza che porta alla rovina e alla guerra, il senso del limite contiene il germe della rassegnazione. Non è entusiasmante, non indica qualcosa di sconosciuto da raggiungere, esclude l’utopia, la straordinarietà, il colpo di vita. Non produce adrenalina, il limite, se non nel desiderio del suo superamento.
L’elogio del limite è tipicamente “da vecchi” che non riescono a toccare il cuore dei più giovani. È un ottimo punto di arrivo, non può essere una base di lancio, è un luogo di approdo (decoroso, anche ammirevole), ma non ha la spinta propulsiva dell’inizio. Va bene crescere, ma rinchiudere quella bestia che siamo in un bozzolo di saggezza riesce davvero a esprimere “il senso della vita”?
Ci sono, tipicamente, anche limiti da scavalcare se non da distruggere, pensate a certe frontiere, pensate al Muro di Berlino che fu uno dei supremi monumenti alla ottusità umana, pensate al pregiudizio e al conformismo, che limitano lo sguardo fino alla cecità. Pensate all’ingegnosa avventura dei nostri simili con gli impedimenti più vari (malattie croniche, amputazioni, blocchi motòri) che con i loro limiti combattono ogni giorno, e non se ne lasciano condizionare – uno lo incontro spesso, sulla sua handbike, che sfreccia lungo la mia stessa strada, rasoterra, invincibile, sembra un Mas sull’asfalto: prova a dirglielo, a uno così, che deve accettare il limite…
E dunque? E dunque non è facile giocarsela, tra la realtà e il sogno, tra il senso del limite e la grande emozione che ci dà andare più in là con lo sguardo. Benigni ha intitolato “Il Sogno” il suo acceso, bellissimo monologo sull’unità europea, così che fosse ben chiaro che ne siamo paurosamente lontani, dall’unità europea. E così da non dimenticare che per vivere dobbiamo anche sognare. Sognare, beninteso, qualcosa che non c’è, perché le cose che già abbiamo sono importanti (la democrazia importantissima, e per niente scontata), ma se smettiamo di immaginarne di nuove, e di diverse, il presente diventa una gabbia. Un limite soffocante.
Voi, per esempio: sognate ancora? E che cosa sognate?
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“Caro Michele,
ho questo pensiero: perché non dovrei iniziare a pensare agli statunitensi come nemici? Sono attento alle parole che uso, indirettamente grazie alla tua scrittura e direttamente grazie al Post (e al Nanni Moretti di Palombella Rossa). Quindi non scrivo con leggerezza: dico ‘statunitensi’ e non Trump perché, alla fine, Trump e la sua amministrazione sono stati democraticamente eletti; e dico ‘nemici’ perché mi sembra che l’idea fondamentale radicata nella maggioranza degli statunitensi, e validata dal loro leader – un’idea di superiorità, di benessere proprio al di sopra degli altri, di prevaricazione a qualsiasi costo – sia ormai incompatibile con i valori europei di collaborazione e sviluppo”.
“Con gente che ragiona così; che sta bene solo essendo in cima; che pensa che il mondo sia una piramide alla cui sommità può stare un solo Stato; ecco, io con gente così non so in che modo possa essere alleato, e come si possa ambire a uno sviluppo comune. E come altro posso chiamare chi ha una visione così radicalmente diversa dalla mia, se non ‘nemico’? Non vedo questo fatto come necessariamente negativo. Anzi, trovandomi d’accordo con ciò che ha mosso la tua manifestazione del ‘Make Europe’ di qualche settimana fa, vedo questi mesi come utili per migliorare la nostra Europa e la nostra Italia. Vedremo che succederà. Magari avrò ragione a pensarli nemici, magari una parte del popolo statunitense si ribellerà, magari economicamente avrà ragione Trump ma politicamente sarà un disastro non appena le altre nazioni avranno recuperato il gap. Ma di sicuro la Storia cambierà”.
Filippo G, 31 anni
Caro Filippo, ho sempre pensato che gli americani siano europei “espansi”. Fuggiti dagli spazi ristretti e pure dalle ristrettezze economiche e politiche dei paesi d’origine, si sono affacciati a quella sconfinata, esaltante enormità, e libertà d’azione. E si sono accesi di una luce nuova, abbagliante e feroce. Hanno sterminato e sottomesso i nativi, importato schiavi dall’Africa, e viaggiato verso un Ovest illimitato. Hanno costruito un’epica della forza, dell’intraprendenza e del progresso tecnologico che forse non ha eguali nella storia umana. Il limite, per quei coloni bianchi, era un concetto insensato, e sull’assenza di limite hanno costruito la loro potenza imperiale. Bastava portare il bestiame e la ferrovia qualche miglio più a Ovest, quale limite poteva mai impedirlo?
Poi l’immigrazione (da tutto il mondo) e la costruzione di una democrazia fino a qui quasi impeccabile hanno cambiato, e di molto, l’America, e anche la nostra idea dell’America. Il suprematismo bianco di Trump è un cascame feroce, patetico e pericoloso di una epopea ormai remota. Molti degli americani moderni lo sanno, e vedrai che reagiranno. Tra un democratico della East Coast e un democratico europeo le affinità sono parecchie: hanno in comune molte convinzioni. Lo stesso vale per un leghista italiano e un attivista “Maga” del Middle West: si intendono al volo. È una storia incredibile e non conosciuta quanto meriterebbe: ma l’elmo cornuto indossato da uno degli energumeni che assaltò il Campidoglio era appartenuto a un leghista italiano della prima ora.
La spaccatura tra i rispettosi e i prepotenti, tra i gentili e i brutali, tra i democratici e gli antidemocratici, è trasversale ai popoli e alle nazioni. È globalizzato anche il conflitto politico. Pensa che anche in Cina – fin qui non un modello riconosciuto di democrazia – la battaglia per i diritti delle donne ha un suo corso, una sua forza, e ha conquistato un posto rilevante nel dibattito pubblico. Dunque non sono “gli statunitensi”, i nemici della tolleranza. Né “i cinesi” i nemici dell’uguaglianza di genere. Il mondo è tagliato a metà, trasversalmente, e la cosa importante è cercare di stare nella metà giusta. E rafforzarla.
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Le Zanzare di questa settimana mi sembrano notevoli. La mia preferenza va a questo titolo del Resto del Carlino, pagina di Forlì, segnalato da Anita. Così perfettamente comico da far sospettare che il titolista l’abbia fatto apposta.
MOBILE IMBOTTITO
SERVE UN TAVOLO
Sommario e articolo chiariscono che non si tratta del suggerimento di un arredatore, ma di una questione sindacale: Cgil, Cisl e Uil chiedono un tavolo (delle trattative) per il settore del mobile imbottito.
Fa pensare a una decisa svolta manageriale nel mondo cattolico il titolo scovato da Ciro sul Giornale di Sicilia:
UNA 24 ORE PER IL SIGNORE:
L’ADORAZIONE IN CATTEDRALE
Si tratta, invece, di una preghiera lunga un giorno. Non teologica, ma zoologica è invece questa sorprendente scoperta nel mondo degli insetti, che Giuseppe ha trovato in una drogheria, per invogliare i clienti all’acquisto della vecchia, funzionale carta moschicida. Il cartello così suggeriva:
QUATTRO SPIRALI
PER MOSCHE ADESIVE
Dal mondo affascinante delle locandine appese davanti alle edicole proviene questa, che Marco ha fotografato scusandosi per non essere risalito alla testata di provenienza:
VARENNA, IL LAGO
RESTITUISCE UN CADAVERE
DOMANI IN REGALO
Infine, su Repubblica.it, Paolo segnala una rivelazione molto allarmante sulle condizioni psichiche del nostro Paese:
SALUTE MENTALE, NE SOFFRONO
SEDICI MILIONI DI ITALIANI
Chissà gli altri 44 milioni come se la passano male.
Primavera in gloriosa esplosione. Tardivi i faggi, ancora del tutto dormienti le tre albinie del mio giardino, si muovono veloci i tigli e le querce, gli olmi e gli ornielli, i carpini e le svariate famigliole dei pruni. Tra quindici giorni avranno tutti la chioma nuova. Viole a migliaia, ma sembrano milioni. Già in fiore, da giorni, i biancospini.
L’altro giorno, non di buon umore per avere letto un paio di mail stupidamente acide, e rabbuiato per le notizie dal mondo, scendendo in paese ho visto che stava trafficando attorno alle api, cinto di tuta e maschera, il giovane apicultore che se ne occupa come il buon pastore del suo gregge. Ho abbassato il finestrino, lui ha sollevato la maschera. Gli ho chiesto: “Tutto bene? Come stanno le api?”. Mi ha risposto, con un grande sorriso: “ciliegi tutti in fiore! Api contentissime!”
Il mio umore si è subito sintonizzato su quello delle api. Un saluto ronzante. In alto i cuori.




