Good vibrations
«Evidentemente il mio corpo, in questa stagione più che nelle precedenti, entra più facilmente in risonanza con lo spettro di frequenze e il timbro tipici delle voci femminili»

Il titolo di prima pagina di Domani di domenica 17 agosto, “Make Putin Great Again”, mi sembra la sintesi perfetta, e anche spiritosa, di quello che è accaduto lassù, nella selvaggia Alaska. Rimane aperta la discussione sulla cosciente volontà di Trampe (come lo chiama il Vernacoliere) di restituire tutti gli onori a Putin, come il Gatto farebbe con la Volpe e ogni compare con il suo compare; oppure se Trampe sia talmente vanitoso e tronfio da non essersi neppure reso conto dell’accaduto. Chissà. La sola certezza è che la cosiddetta Europa non riesce a non sembrare una spettatrice, per giunta pagante. E questo duole assai – tranne che alla destra europea fellona, che alla nostra malconcia e decrepita democrazia preferisce il bullismo dei due compari autocrati. Fine di questa breve lamentazione.
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L’immobilità forzata di questo insolito agosto di convalescenza mi regala il tempo per fare cose sempre rimandate, o mai programmate. Per esempio dare un capo e una coda alle mie playlist, che sembrano un deposito casuale di voci e suoni raccattati un po’ ovunque con l’intenzione – perennemente disattesa – di metterle in ordine, prima o poi.
In questa ricognizione nel caos, mi ha molto colpito un aspetto che non avevo mai messo a fuoco prima d’ora, e tutt’altro che un dettaglio. C’è un cambiamento strutturale nella mia colonna sonora quotidiana: la netta prevalenza, in tempi recenti, della voce femminile. Negli anni della mia lunga gioventù, tra i cantautori italiani, americani e francesi e quelli che nei Sessanta si chiamavano “i complessi” (anche i Beatles e gli Stones erano “complessi”), tra i bluesmen e i rocker, e poi venendo appena più in qua Pink Floyd, Genesis, Led Zeppelin, il prog, per non dire del punk, per non dire del rap, la musica pop (non solo quella che ascoltavo io, credo) aveva una voce soprattutto maschile. Manca una verifica statistica accurata di questa mia affermazione, ma consideratela fondata al novantanove per cento. Nelle stanze della mia giovinezza e pure della mia maturità le voci femminili erano una riverita minoranza. Per una Janis Joplin o una Patti Smith c’erano venti gruppi regolarmente muniti di frontmen maschi, per una Patty Pravo o una Bertè o una Giovanna Marini c’era l’esercito dei cantautori dei quali conoscevo la discografia praticamente a memoria, De André, Guccini, De Gregori, Vecchioni, Paoli, Tenco, Endrigo, Fossati, Finardi, Paolo Conte…
Ora mi rendo conto che le mie playlist più recenti, per via del tutto spontanea, ovvero senza alcuna intenzione di fare una selezione “di genere”, per sola “pesca” casuale o semicasuale nel mare magnum di Spotify, traboccano di voci femminili. Taylor Swift a tonnellate, Lana Del Rey, Billie Eilish, Sinéad O’Connor, Dolores O’Riordan (Cranberries), Lorde, Lady Gaga, Regina Spektor, English Teacher, Boygenius, Sharon Van Etten, King Hannah, Linda Perry, Blondie, Cassandra Jenkins, Norah Jones e molte altre che dimentico; e tra le italiane, a parte i monumenti nazionali Bertè e Nannini e qualche evergreen di Mina, Milva e Vanoni, molta Elisa e parecchia Francesca Michielin.
Mi sono interrogato sulle cause del fenomeno. Ho messo insieme alcune probabili concause, alcune quasi ovvie, altre più discutibili e personali. La più immediata delle spiegazioni è che anche nella musica, come in quasi ogni altro campo, il gap di genere va inesorabilmente scemando, ed è dunque oggettivamente più probabile che si ascoltino femmine tanto quanto maschi. Questa ipotetica “parità raggiunta”, ammesso che lo sia per davvero, non basterebbe però a spiegare il clamoroso vantaggio delle voci femminili nelle mie playlist più recenti. Tocca addentrarmi, dunque, nel profondo delle mie corde, laddove la ricezione dei suoni è bene o male accetta.
Se la musica è così importante (per me lo è molto, da sempre) è perché è un fenomeno fisico. Vibrazioni, risonanze, battiti che attraversano il corpo. Non solo la mente. Proprio il corpo. L’emozione intensa che certe arie d’opera, certe sinfonie, certe canzoni, certi ritmi producono in ciascuno di noi non è solamente frutto di un piacere intellettuale. Si tratta, secondo me in misura maggiore, di un piacere fisico, una specie di risonanza interna che quel tipo di frequenze, e quella sequenza di note, producono – in modo diverso – in ciascuno di noi. Se non sopporto il raggae così come il “liscio”, voglio dire, non è per ostilità ideologica alla cultura giamaicana, e nemmeno per dissidenza nei confronti del rispettabile clan dei Casadei o perché la piadina non è tra i miei cibi prediletti. È perché quel tipo di ritmo e di suono non riesce a coinvolgere nemmeno mezza molecola della mia persona. Mi è indifferente.
Evidentemente il mio corpo, in questa stagione più che nelle precedenti, entra più facilmente in risonanza con lo spettro di frequenze e il timbro tipici delle voci femminili. Per esempio la voce di Taylor Swift nei toni medi e bassi (in quelli acuti sono brave quasi tutte) mi procura una mezza beatitudine: c’è una calma e una sicurezza, anche nella pronuncia delle parole (si potrà dire “grafia sonora”?) che mi incanta. Gira in rete, da tempo, la diceria che certe sue canzoni aiutino ad addormentare i neonati, placandone le bizze. Il neonato che è in me concorda.
Ovviamente ogni illazione spiritosa sulla mia andropausa è lecita, e può darsi che il gineceo di voci di donna del quale mi circondo corrisponda a necessità consolatorie tipiche del maschio non più giovane. Preferisco rilanciare, e forse esagerare, dicendo che ben al di là delle predilezioni personali, nella voce femminile echeggia – in tempi di maschi alfa brutali, di guerre spietate e di deportazioni rivoltanti, di soldati spaventati e feroci – qualcosa che assomiglia alla pace, e chiedo scusa per la parolona. È un suono, una frequenza, che si discosta dal discorso che si è impadronito del mondo. Non quando parla la Zacharova (che incorpora un mitra nella favella), perché ogni regola ha le sue eccezioni. Ma quando tacciono i dispacci dei Capi, e i convogli cingolati si allontanano, la voce delle ragazze è la prima che si vorrebbe sentire, nella speranza o nell’illusione che quella frequenza, quelle vibrazioni, siano, come si dice, più vicine alla natura madre e alla terra che tutti ci genera.
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Continuano a piacermi i vostri racconti – a volte succinti come dispacci – di ciò che ci ostiniamo a chiamare “vacanze” e forse sono un’altra cosa. Praticamente infinite le variazioni di luoghi, di tempi di permanenza, di intenzioni, di tutto.
“Vacanze da ottuagenario. In realtà basta poco. Alicette, un bicchiere di vino e poi “la mer” e dopo, complice il tempo mutevole, allungato su una sdraio piedi all’aria sotto il portico con una leggera pioggerellina che proprio ora accelera (azz, un diluvio!) ad ascoltare una messa funebre di Mongiusti e guardare il dito medio del mio piede destro che ogni tanto si incastra e non pensare proprio a nulla, non desideravo altro in questo giorno. Grazie a dio”.
Tommaso
“Quest’anno i primi acciacchi dell’età. Niente Ladakh, niente Mongolia in tenda, niente Laos, solo un tranquillissimo paese a 750 metri di altezza nell’entroterra salernitano per sfuggire al caldo. Nuove esperienze: tutti ti (ri)conoscono subito, tutti sanno chi sei. Il custode di un magazzino ha l’orto di fronte la casa che ho affittato e mi ha cercato per due giorni per farmi assaggiare le delizie del suo orto. Vacanze anche queste. Ora ci facciamo il caldo ferragosto con piccola escursione lungo un ruscello con tanti freschi guadi. Poi, a settembre, si vedrà…”.
Sergio Ferraiolo
“La mia vacanza quest’estate è sostanzialmente un tentativo di disintossicazione dai social, X soprattutto, dove ormai si raduna un’umanità rancorosa, frustrata, priva di fantasia. Al contrario leggendo le mail che le arrivano scopro persone interessanti, divertenti, desiderose di ragionare, di raccontare senza necessariamente ferire. Insomma una boccata d’aria. Poi sì, andrò a fare un trekking in Kazakistan a settembre, camminare mi è sempre piaciuto tantissimo. Da sola o in compagnia a seconda dell’umore”.
Flavia
“Quest’estate mia moglie ed io (di Genova) abbiamo affittato una casa nell’entroterra, a Savignone, per passare anche le vacanze. È sufficientemente vicino alla città per fare i pendolari, ma l’arrivo alla sera e i weekend al fresco e con l’aria pulita sono impagabili. Per non parlare dei ritmi lenti…. Siamo sessantenni ma la scoperta di lasciare la città non per i canonici 15 giorni ci ha reso felici scopritori di una nuova (?) realtà. Non abbandoniamo la voglia di viaggiare, ci mancherebbe, ma visto quello che proviamo qui stiamo cercando una casetta per passare le prossime estati. E chissà, trasferirci dopo la pensione? Intanto rivitalizziamo alcuni borghi. W la villeggiatura, anche popolare!!!”
Simone Blangetti
“Le mie vacanze da 4 anni sono le stesse: circa 2 settimane in Vandea, regione di cui conoscevo il nome per i noti motivi storici, ma di cui ignoravo totalmente l’ubicazione. È una zona tranquilla sull’Oceano, subito sotto la Bretagna, dove ha una casetta la mia compagna Caroline. Molto poco turistica, ci vengono d’estate soprattutto francesi con la seconda casa oltre ai locali che vanno in spiaggia. Qualche spunto di riflessione per noi italiani. I costi sono molto più accessibili. Tutte le spiagge sono enormi e libere. Niente lidi, solo ogni tanto un barettino con qualche sedia e poltroncina, e alla fine il posto lo trovi sempre. La mobilità è stupefacente. Nei posti più grandi ci sono parcheggi con parcometro, negli accessi più piccoli pochi posti auto disponibili, gratuiti ma segnati con le strisce. Il parcheggio selvaggio è disincentivato con multe da 450€. Numero infinito di rastrelliere per bici, d’altronde siamo in una zona piena di ciclabili. Non solo limite a 30 km orari, ma divieto di superare la bici davanti a te! È il regno della bici a 360°, con accessori fantasiosi, come il portasurf, carrettini di tutti i tipi da agganciare (per trasportare bimbi, animali, ‘masserizie balneari’ di ogni tipo) e anche aste per creare tandem con le bici dei figli piccoli. La pulizia è stupefacente! Nonostante spesso ci sia vento, che fa volare imballi vari, ognuno si occupa della spiaggia come di una cosa comune, raccoglie e riporta a casa. I bambini sono tanti e non piangono! Le mamme e i papà sono più sciolti e li lasciano liberi di riempirsi di sabbia e andare in giro. Non ho ancora imparato come si dica ‘capriccio’ in francese. Ieri ho visto un bimbo che protestava, lamentandosi. Ma lo faceva a bassa voce. D’altra parte il tono di voce degli adulti è mediamente molto più basso del nostro”.
Fabrizio
“Quest’anno trascorro con mio marito luglio e agosto in affitto in un piccolo appartamento a Palazzuolo sul Senio (Fi). Due mesi sono lunghi, ce li possiamo permettere perché siamo entrambi pensionati; abbiamo scelto una località a 45 km dalla nostra casa in pianura a Faenza, a cui possiamo tornare per innaffiare le poche piante che resistono nelle fioriere, e anche perché il costo di una mensilità qui (tutto compreso) è inferiore alla spesa per una settimana sulle Alpi e dunque per noi accessibile. Palazzuolo era un gioiellino, è in decadenza per invecchiamento dei turisti e peggioramento dei boschi per siccità e alluvioni: la montagna “si muove”, ma resta bellissima, piena di castagneti e faggete centenari. Siamo orgogliosi di questa villeggiatura primi anni ’60, del tipo che ricordiamo quando eravamo bambini con mamme casalinghe (anche se noi non ce le potevamo permettere; andavamo in “colonia”). Palazzuolo: piscina con acqua di sorgente, camminate, trekking e giri in bici. Nient’altro!”
Maria Rita
“Personalmente, da semi-nomade digitale come mi definisco, non sono rappresentativo degli italiani. In soli otto messi, potendo lavorare da remoto e potendomelo permettere economicamente, sono stato in Cambogia Laos Croazia Bosnia Montenegro Kosovo Macedonia Polonia Austria Botswana Benin Togo e pianifico già il Salento (dai miei), le Canarie e la Cina prima della fine dell’anno. Tutto intervallato da periodi in Italia. Spero che nei prossimi anni più italiani che ne hanno voglia possano permettersi questo tipo di esperienze, piuttosto che sognare Rimini o Gallipoli o Alghero per due settimane e poi di nuovo tutti in città a lavorare. Non sanno cosa si perdono”.
Alessandro
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Il caldo sta mollando. È domenica sera, termine di una settimana afosa come poche, con notti grevemente umide. Chissà in città, che caldo maledetto. Sento i primi refoli freschi arrivare e rompere la cappa d’afa, dicono che mercoledì pioverà. Nel frattempo ho riscoperto il ventilatore, un modello silenzioso che muove l’aria con grazia naturale, una specie di brezza che conforta e porta finalmente al sonno.
Sono tornati i gruccioni, uccelli africani la cui migrazione è per me un mistero irrisolto: arrivano, ogni anno, solo ai primi di agosto. Dove cavolo stanno nel lungo intermezzo tra la stazione invernale in Africa e l’arrivo qui al Nord? Li senti ben prima di vederli, perché fanno una caciara più unica che rara. Il gruccione non sta mai zitto. Coloratissimo, con una livrea tropicale, il becco lungo e appuntito, sembra un colibrì molto oversize, deve avere esagerato a tavola. Mangia vespe e api e dunque gli apicultori lo temono assai, ma in qualche maniera deve campare anche il gruccione.
Zanzare rimandate al prossimo turno. Dieci gradi in meno di temperatura a partire da metà settimana. Sarà un sollievo. Ovunque voi siate, in alto i cuori.




