A Stanley Donen piaceva ballare

Quando Stanley Donen nasce, nel 1924, il cinema è ancora senza sonoro: in sala c’è solo un pianista che accompagna le gesta delle clamorose stelle del muto. Columbia, South Carolina, è un paesone non troppo eccitante, e il piccolo Stanley non ama la religione ebraica cara ai genitori (diventerà presto ateo) né la frequentazione dei compagni. Se le autobiografie dicono la verità, a Stanley piacciono già da piccolo quasi solo il cinema e la danza, tanto che a sette anni si fa iscrivere dalla madre a un corso per imparare a ballare. Nel 1933 perde la testa per Carioca (Flying down to Rio), una fantasmagoria danzante esotica in cui Fred Astaire e Ginger Rogers sulla locandina vengono dopo la protagonista Dolores Del Rio, stella messicana dal profilo avventuroso. Prima di compiere vent’anni, Donen è già a Broadway a fare il ballerino di fila. Il protagonista dello spettacolo è Gene Kelly, di dodici anni più grande, che gli fa da fratellone e lo porta presto a Hollywood. In realtà non lo porta solo a Hollywood: lo porta alla Metro Goldwyn Mayer, dove da qualche tempo un produttore di nome Arthur Freed ha messo in piedi un dipartimento che sta facendo meraviglie. Dalla “Freed unit” negli anni passeranno tra gli altri Judy Garland, Mickey Rooney, Gene Kelly, Debbie Reynolds (la mamma di Carrie Fisher), Cyd Charisse, Leslie Caron, Lucille Ball (la prima comica femminista moderna), Fred Astaire, Bob Fosse, e registi come Vincente Minnelli, Busby Berkeley, Kelly e lo stesso Donen.

Donen arriva alla regia dopo che ha già fatto il ballerino, l’assistente coreografo, il coreografo, lo sceneggiatore, l’assistente alla regia: mastica cinema e musical, vive in quel mondo con la leggerezza di chi ne ha sempre fatto parte, senza ansie da protagonista, con l’etica sana dell’arte collettiva. La MGM è in effetti la più grande delle major, possiede i teatri più lussuosi e propone gli spettacoli più scintillanti, ma Arthur Freed ha messo in piedi una struttura produttiva fatta di poche persone selezionate che lavorano con impostazione artigianale. Donen insieme a Gene Kelly dirige tre film fondamentali. Un giorno a New York è una celebrazione di vitalità e passione, l’avventura di tre giovani marinai in libera uscita nella metropoli (Donen stesso ha 25 anni). Cantando sotto la pioggia è un backstage musical ambientato nel mondo del cinema: come i film musicali di un tempo, racconta la storia autoriferita di un musical, ma nel mondo delle major hollywoodiane alle prese con il passaggio da muto a sonoro, dallo star system delle icone fascinose inarrivabili a quello legato a talenti più tangibili. Poi c’è l’ultimo film insieme, a metà anni ’50: si intitola È sempre bel tempo, e racconta di sponda la televisione e i cambiamenti che la società del tempo sta vivendo. Nel frattempo Donen dirige una serie di film da solo, sempre alla MGM e poi altrove, tra cui il classico assoluto Sette spose per sette fratelli.

Il cinema musicale secondo Stanley Donen non è fatto di “tuner”, di film di canzoni, ma piuttosto di film dove il racconto cambia forma nei momenti fondamentali per dare spazio ai numeri musicali, dove l’aspetto coreografico è centrale, integrato con la storia e con la canzone. Quando Hollywood si sposta proprio verso i film di canzoni, Donen passa alla commedia romantica. Nel 1958 dirige per la Warner quella perla di Indiscreto, con Ingrid Bergman e Cary Grant, dove a un certo punto i due ballano, felici come se fossero per un attimo dentro un numero musicale della MGM: una scena che riluce della propria stessa grazia, con Grant che non riesce a infilarsi nella quadriglia e Bergman che lo guarda spazientita, le mani sui fianchi. Anche Sciarada, con Cary Grant, Audrey Hepburn e Walter Matthau, merita ovviamente una citazione.

Stanley Donen ha diretto una trentina di film. Ha preso un Oscar solo alla carriera nel 1997, presentato da un innovatore innamorato dei classici come Martin Scorsese, e gestito come un piccolo numero musicale all’insegna di “eravamo in tanti, non è stato così difficile, mi sono divertito come un pazzo”.

I suoi film più significativi sono cresciuti nella considerazione dei critici di decennio in decennio. Cantando sotto la pioggia oggi è considerato un film perfetto, meraviglioso, capace di interpretare il genere industriale hollywoodiano per eccellenza come spazio rivoluzionario, plastico, potremmo dire quasi di lotta e di governo. Se la domanda “Qual è il tuo film preferito?” ha un senso personale e relativo, da interpretare come se si parlasse del cappotto che ti fa sentire meglio, Cantando sotto la pioggia è per me da anni la risposta migliore. In tutto il cinema di Donen, con e senza Gene Kelly, si respirano un equilibrio e una leggerezza sopraffini; si percepisce il tocco di chi sa gestire le stelle dell’età d’oro di Hollywood senza incatramarle nella loro stessa celebrità, dando spazio a ruoli e parti nelle quali ciascuno è libero di superare i propri confini. Con uno stile coreografico elegante ma esplosivo, allergico ai ruoli fissi della generazione precedente, il cinema di Donen è un cinema dove spazi e personaggi hanno potenzialità infinite. Lo sconvolgimento che spesso i numeri di danza si portano dietro è sempre abbracciati dalla gente con un senso di partecipazione vera, quasi di liberazione. Nessuno è esente dal contagio, sia esso un insegnante di dizione insolentito dai suoi allievi, o un passante che vede tre tizi che ballano con i coperchi dei bidoni della pattumiera, o ancora un poliziotto che trova uno strano tipo che balla e salta nelle pozzanghere sotto il diluvio. C’è un’idea di coinvolgimento collettivo che ricorda a tutti i provinciali davanti allo schermo che è possibile, al cinema si può, prendere in mano il proprio destino di marinaio, attore o promessa sposa, e farne qualcosa di imprevisto.

Da decenni Donen era fidanzato con Elaine May, grande attrice, moglie di Woody Allen nella recente serie Crisi in sei scene. Portava al collo una medaglietta da cane in argento con scritto: “Stanley Donen. Se lo trovate, restituitelo ad Elaine May”. Lui voleva sposarla. Lei, dopo tre matrimoni finiti, ha sempre rifiutato categoricamente. Sono stati insieme fino alla fine. Stanley Donen ha avuto una vita felice di successo e soddisfazione, e non ha mai smesso di ritenersi fortunato. Ha collaborato a costruire uno dei momenti più alti del cinema industriale hollywoodiano. Ci ha insegnato che quando la vita fa piovere forte, c’è solo una soluzione: ballare e cantare sotto la pioggia.

PS – Se non riguardiamo un po’ di numeri di danza, Stanley se la prende. E quindi ecco una piccola selezione.

On the town 

When You Walk Down Mainstreet with Me 

Baby you knock me out 

I like myself 

Barn dance 

Moses supposes

Singin’ in the rain

Good Morning

The binge trash can dance 

Indiscreet

Charade

Matteo Bordone

Matteo Bordone è nato a Varese negli anni della crisi petrolifera. Vive a Milano con due gatti e molti ciclidi. Lavora da anni a Radio2 Rai e a volte in televisione. Scrive in alcuni posti, tra cui questo, di cultura popolare, tecnologia, videogiochi, musica e cinema.