Tre punti per il mio voto

Si avvicinano le elezioni politiche, la discussione programmatica sulla trasformazione digitale del Paese mi pare sia ancora a zero. Molte domande restano quindi inevase. Le prime che mi vengono in mente sono: esiste una connotazione politica che identifichi i temi del digitale? Quali sono le caratteristiche di una politica dell’innovazione di sinistra rispetto ad una di impronta conservatrice?

Una quota rilevante di questa incertezza deriva dal fatto che molti dei temi in campo hanno interpretazioni e risposte incerte. La battaglia per l’imposizione fiscale a Amazon o Google è di destra o di sinistra? La tutela dei nuovi precari digitali è un tema sindacale inevaso o un semplice adattamento ambientale? Le rendite di posizione di categorie strutturate della vecchia economia (tassisti, banche, editori, albergatori, ecc.) si difendono meglio da destra o da sinistra? E ancora: le libertà digitali dei cittadini sono un valore dello schieramento progressista o sono invece un argomento indistinto in cui le peggiori spinte reazionarie piombano dentro ogni proposte di legge da tutto l’arco parlamentare?

Sono domande senza una risposta chiara anche per due altre ragioni: perché simili cambiamenti indotti dal digitale scuotono il sistema dall’interno, mettendo in crisi tutti alla medesima maniera e perché nessuno dei soggetti politici che fra qualche mese chiederanno il nostro voto, sembra aver realizzato che i temi della politica digitale sono oggi, molto spesso, semplicemente i temi della politica in senso lato. Se una simile amnesia dovesse proseguire, alle prossime elezioni ci troveremo a dover scegliere fra partiti politici che affrontano il 2018 con i medesimi punti di riferimento del secolo scorso.

Nell’impossibilità di farmi un’idea su come i vari schieramenti immaginino la prossima Italia digitale, segnalo tre punti concreti che mi piacerebbe venissero considerati.

1) Superare AGID. L’Agenzia per l’Italia Digitale è un buon esempio del metodo burocratico e svagato che la politica dedica da sempre ai temi che non la interessano. L’Agenzia è un soggetto sottodimensionato, operativamente quasi ininfluente, con serissimi contenziosi interni che ne ostacolano le già modeste possibilità di azione. All’Agenzia sono però in carico punti importantissimi della trasformazione digitale del Paese. Uno su tutti: la lotta al divario digitale, che è oggi forse la zavorra più vistosa che abbiamo. In un sistema politico fluido Agid sarebbe da chiudere immediatamente ma da noi, dove qualsiasi apparato burocratico una volta varato diventa virtualmente inaffondabile, l’unica cosa che si potrà concretamente fare sarà provare a “superarla”. Liberandola almeno da alcune delle sua grandi responsabilità alle quali, come si è visto in questi anni, fatica a dare risposte.

2) Potenziare il Team digitale. L’unica esperienza davvero significativa per il futuro digitale del Paese è stata nell’ultimo periodo il team guidato da Diego Piacentini. Un gruppo anomalo, messo assieme dall’ex vicepresidente di Amazon fuori dalle logiche di cooptazione a cui siamo abituati, composto da tecnici prevalentemente molto giovani, spesso rientrati in Italia appositamente. Un gruppo che, senza grandi strombazzamenti, ha costruito una serie di mattoni importanti per avviare il processo di digitalizzazione della PA. Lavoro complicatissimo e lungo, soprattutto per ragioni ambientali che forse potrete immaginare: un gruppo di giovani tecnologi impegnati a dialogare quotidianamente non solo con i software e gli applicativi ma anche con la burocrazia ministeriale, le società parastatali, le pretese degli enti locali ecc. Per conto mio al Team, di cui il Paese ha un fortissimo bisogno, mancano due cose, anzi tre. La prima, la più importante, è una forte investitura politica. Non le solite frasi di cortesia ma una costante e chiara discesa in campo della politica a supportarne le azioni. Mi piacerebbe leggerne nei programmi elettorali: chissà se qualcuno se ne ricorderà. La seconda è un allargamento dei suoi obiettivi: se c’è una critica che mi sentirei di fare a Piacentini è che si tratta di un gruppo molto orientato alle tecnologia, talvolta anche in maniera un po’ fideistica. Gli ingegneri di solito sono fatti così: pensano che quando la macchina che stanno costruendo sarà perfetta tutti la useranno. Purtroppo temo che in Italia sia più complicato e servano ulteriori risorse e una visione un po’ più ampia. Per esempio dentro il Team vedrei bene un gruppo di esperti che si occupino del divario digitale culturale italiano, a ipotizzare e mettere in campo strategie per iniziare lentamente a ridurlo. È un dato che oggi il Team digitale non si occupa del principale problema che abbiamo sul fronte innovazione, quello dei moltissimi italiani allergici alla grammatica digitale. A che servirà una PA brillantemente digitalizzata nei suoi processi se la metà dei cittadini resta poco o per nulla connessa? Oggi ovviamente il tema non è fra i compiti del Team digitale. Sarebbe giusto che, con nuove risorse ed il medesimo approccio concreto, potesse occuparsene. Il terzo punto è banale ma lo dico lo stesso. Sarebbe fantastico che Piacentini rimanesse, anche se so già che molto probabilmente non sarà così.

3) Un Ministro per il digitale. Argomento vecchio e un po’ abusato. Non so se serva un Ministro o un Sottosegretario o qualcosa d’altro. Sono però ormai abbastanza certo che la politica italiana abbia bisogno di una figura di collegamento che si occupi dei temi digitali a cavallo fra governo, partiti politici, ministeri, parlamento, aziende e società civile. Si tratta di una figura di grande complessità perché tale ruolo dovrebbe essere affidato a qualcuno competente e contemporaneamente dotato di una forte investitura politica (una specie di unicorno, per dirla tutta). La solita medaglia di cartone appuntata sul petto di qualcuno a caso non servirebbe a niente. Molti dei danni che sono stati fatti in questi anni sul digitale in Italia, derivano da una sostanziale mancanza di una linea politica al riguardo da parte dei partiti e del governo ma anche da una completa assenza di qualsiasi coordinamento. Noncuranza, incompetenza, passatismo e improvvisazione sono stati elementi distintivi dell’azione del Parlamento e in parte anche del Governo: un Ministro per il digitale servirebbe moltissimo, anche se oggi, paradossalmente, il digitale entra e contamina tutti i processi, dentro ogni struttura decisionale, così come in ogni ambito lavorativo. Tuttavia noi non ce ne siamo ancora accorti: servirà qualcuno che ci ricordi ogni giorno che non esiste alternativa per rendere il nostro Paese migliore di quello che è stato fino ad oggi.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020