Internet ai tempi di Dickens

Una delle tante idee che prima o poi ciascuno di noi ha coltivato è quella della beatificazione di Internet come “grande occasione per l’umanità”. La rete come territorio inesplorato di rivalsa dell’intelligenza sulla stupidità, del ragionamento sulla forza bruta, del pensiero sull’istinto. Magari fosse così. In realtà non è difficile capire che nel momento in cui tutto diventa rete, quando ogni contenuto vira verso il digitale, se ogni pensiero passa prima da una tastiera che dalla bocca di chi lo ha appena ideato, immaginare una ipotetica Internet dell’eccellenza diventa piuttosto complicato. Così qualche giorno fa Michele Serra, la cui Amaca su Repubblica è da tempo una specie di laboratorio di fraintendimento delle dinamiche di rete, si è tuffato a piedi pari in questo tranello di santificazione. Riferendosi a un leghistello di provincia autore di una battuta indecente su Facebook a riguardo del terremoto emiliano Serra scrive:

” Nell’attesa che (in un paio di secoli?) si trovi una misura di massa, un’etica di massa per affrontare una questione fin qui limitata a giornalisti, scrittori, politici, credo sia importante che l’uso rozzo o violento o ‘gnorante della parola pubblica non venga considerato alla stregua del famoso “prezzo inevitabile da pagare al progresso”. Cioé: se uno dice una scemenza o una odiosità, bisogna rinfacciargliela, bisogna imputargliela. Non deve passarla liscia, è diseducativo. Il pregiudizio classista che ha retto per anni le televisioni (“al popolo basta la bassa qualità”) ha già fatto abbastanza danni per traslocarlo pari pari al web rassegnandosi al fatto che dare la parola a tutti equivalga a renderla vuota e volgare. Twitti? Sei su Facebook? Il tuo modello non dev’essere Rovato, dev’essere Dickens. Meglio: anche Rovato deve puntare a Dickens.”

Puntare a Dickens è la maniera di Serra per immaginare una Internet dei sentimenti alti, uno spazio editoriale dove prevalgano i contenuti (possibilmente) degni ed intelligenti. Lo stesso modello, del resto, dei media precedenti dove un guardiano all’ingresso stabiliva tempi, palinsesto e collocazione.
Solo che Internet non è fatta così. Non c’è il guardiano e nemmeno il palinsesto e i leghisti buzzurri che aspirano a diventare Dickens si contano sulle dita di una mano. Invece le scemenze vengono già oggi spessissimo imputate, altrettanto spesso le odiosità vengono subito vigorosamente rinfacciate: il caso della cretinata infelice del leghista di Rovato dove è stato stigmatizzato se non su Facebook stesso dagli utenti dickensiani di Facebook?

Più di sostanza l’altra questione sollevata da Serra, quella di cosa sia diventata la “parola pubblica”. Se Internet è il luogo di tutti la parola pubblica diventa questione complicata e lontanissima dall’elaborazione culturale del giornalista o dello scrittore. Se le parole si moltiplicano e diventano moltissime, se Youtube ingoia 72 ore di nuovi video caricati per ogni minuto che passa, come potremo pensare anche solo lontanamente di riservare a tutte queste parole l’attenzione e il valore che abbiamo riservato agli scritti della piccola elite culturale che fino a ieri ha avuto accesso allo spazio pubblico?

Non sarà possibile esercitare un controllo complessivo sul senso delle cose dette e scritte in rete, dovremo invece trovare la maturità necessaria per ignorarle, per lo meno in quella amplissima maggioranza dei casi nei quali questo sia possibile. È una questione di rapporto con la realtà che oggi in rete manca quasi interamente, specie fra la categoria maggiormente esposta dei comunicatori professionisti (giornalisti. politici scrittori, ecc) e che collide violentemente con i nostri ordinamenti e con il senso comune. Tutti – in fondo – diffamano tutti, in rete come nelle piazze delle nostre città, almeno un po’, più o meno elegantemente, a voce o per iscritto. Il bisbiglio della piazza che commenta la gobba di Andreotti non è stato fino ad oggi troppo stigmatizzato: lo diventa, ineluttabilmente, quando quelle stesse parole traslocano su una pagina web e da lì negli ingranaggi implacabili dei motori di ricerca. Il mondo e i suoi umori restano uguali, cambiano i luoghi e le dimensioni della sua rappresentazione.

Il coraggio per ignorare le molte parole del mondo che ci offendono dovrebbe essere uno dei nostri prossimi traguardi. È, in un certo senso, il nostro prossimo percorso di democrazia in rete. E quando non le ignoreremo potremo sempre controbatterle, come scrive Serra, potremo fare valere il ragionamento e il buon senso. In ogni caso non esiste alcuna ipotesi praticabile di sterilizzazione democratica e colta dei contenuti presenti in rete.

E i miei più sentiti complimenti al sindaco di Firenze.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020