Perdere le cose

Cinquanta anni fa gli americani persero una bomba atomica. Si chiamava Mark 28, era lunga 2 metri e mezzo, larga 58 centimetri e pesava più o meno 900 chili. Successe a Thule, in Groenlandia, il 21 gennaio 1968. Era su un enorme bombardiere che disegnava degli otto nel cielo artico a undicimila metri di quota, un B-52, Fortezza Volante, di nome HOBO 28.

Il bombardiere è partito sei ore fa dallo stato di New York. Come lui ce ne sono in aria minimo 12, sempre, giorno e notte, da otto anni: volano su tre rotte ai confini dell’Unione Sovietica, sono pronti a colpire se comincia la guerra. Si chiama deterrenza nucleare e quando sale la tensione aumentano i voli: durante la crisi dei missili a Cuba ne tengono in cielo 68. È la Guerra Fredda.
E il freddo qui gioca la sua parte. Perché alla partenza il terzo pilota, si chiama Alfred “Joe” D’Amario, ha 38 anni, è di Baltimora, Maryland, mette tre cuscini di gommapiuma su un bocchettone dell’aria calda. E un altro sotto un sedile. Poi se ne scorda. Fanno rifornimento in volo e arrivano sopra la Groenlandia. Lì cominciano il “Thule monitor”, disegnare giri nel cielo sopra la grande base dell’areonautica Usa. Per ore e ore. Il comandante manda il secondo pilota a riposarsi, Joe D’Amario ne prende il posto. Qualcuno dell’equipaggio dice nell’interfono che ha freddo: “Non si può alzare un po’ il riscaldamento?” Joe controlla qualcosa e dice che niente, è già al massimo. Poi, siccome è una persona cortese, apre una valvola di sfiato del motore per convogliare altra aria calda in cabina. Ma c’è qualcosa che non funziona e l’aria che arriva dalla combustione di centinaia di litri di cherosene al minuto è rovente. Mezz’ora dopo qualcuno comincia a dire che in quest’aereo si muore di caldo. Joe pensa che a questo equipaggio non va mai bene nulla. Poi una voce nell’interfono: “Ma non lo sentite anche voi questo odore di gomma bruciata?“. Il navigatore si alza e comincia a perquisire l’aereo. Ma è una bestia enorme, lunga come un trilocale. Cerca dappertutto. Joe ha un dubbio: i cuscini. Al secondo tentativo, nello scompartimenti inferiore, in navigatore trova il fuoco dietro a una scatola di metallo. Prende un estintore, prova a spegnerlo. Lo svuota, ne prende un altro. Non ci riesce.

Adesso c’è un aereo gigantesco che trasporta 4 testate termonucleari e un incendio. Il comandante, si chiama John Haug, dichiara l’emergenza e chiede di atterrare alla base di Thule. Sono a 140 chilometri, questione di minuti. Non bastano. L’incendio cresce, l’equipaggio ha svuotato gli estintori, salta l’impianto elettrico, il fumo invade tutto e in cabina non si riescono a vedere neanche gli strumenti. Joe D’Amario scorge le luci della base che si avvicinano. Quando il bestione ci passa sopra schiacciano il bottone e si espellono fuori. Sono in sette. Leonard Svitenko, il copilota che era andato a riposare deve uscire da un portello. Ci batte la testa contro e muore. Gli altri si salvano. Il navigatore, Curtis Criss, perde entrambi i piedi a causa del congelamento. Fuori ci sono 30 gradi sotto zero.

Il B-52 vola da solo per qualche chilometro ancora. Poi gira a sinistra e si schianta sul ghiaccio a 900 chilometri all’ora. Le quattro testate termonucleari da 1,1 megatoni ciascuna e l’esplosivo ad alto potenziale che le circonda esplodono. Ma non è un’esplosione nucleare, più come una bomba sporca. Le 100 tonnellate di kerosene bruciano per ore, il ghiaccio si fonde. Dalla base di Thule, a 12 chilometri, vedono le fiamme.

L’evento è classificato come Broken Arrow, Freccia Spezzata: incidente che coinvolge un’arma nucleare ma senza rischio di guerra. Però la freccia tocca recuperarla. Parte l’operazione Crested Ice. Per 9 mesi 700 tra militari americani e lavoratori danesi della base cercano i pezzi. È un lavoro infame con venti fino a 130 chilometri all’ora e temperature tra i -30 quando va bene e i -60 quando fa freddo. Quelli che setacciano il ghiaccio la chiamano operazione Dottor Freezelove, per via del Dottor Stranamore, il film di Kubrick che 4 anni prima aveva raccontato l’eccitazione per la bomba. Fino al 14 febbraio è sempre notte, notte artica: portano lampade e generatori. Bisogna fare in fretta, prima che il disgelo disperda la macedonia ghiacciata di plutonio, uranio, trizio, alluminio, plastica e kerosene. Grattano diecimila tonnellate di ghiaccio e neve, cercano frammenti delle 4 bombe, le inscatolano e portano tutto in Texas e Sud Carolina.
Dicono che è quasi tutto, il 93% del materiale contaminato. Poi, in agosto, gli americani mandano un sottomarino a cercare ancora. Con i danesi, la Groenlandia è loro, sono molto riservati.

Nel 2008 la BBC lavora su documenti declassificati grazie al Freedom of Information Act, intervista il comandante Haug e Joe D’Amario e fa i conti: non è vero, come dice il Pentagono, che tutte e quattro le bombe sono andate distrutte. Quando i tecnici cercano di rimettere insieme i pezzi raccolti il puzzle non torna: si arriva a tre bombe. E la quarta? Niente, non c’è. La diamo per grattugiata troppo fine, irrecuperabile, dissolta nell’acqua. Da quelle parti l’acqua è tanta, la radioattività dissolta. Basta, inutile pensarci, fine della storia.

Ma la Freccia Spezzata di Thule lascia dietro una scia di cose:

– La fine dei B-52 sempre in volo con le atomiche nella stiva. Troppi rischi, troppe bombe perse. Questa è la decima volta che seminiamo atomiche, basta. Subito, dal giorno stesso, B-52 e terra e, se c’è l’allarme, gente che corre e decolla alla svelta. L’anno dopo, con Nixon alla Casa Bianca, contro l’Unione Sovietica arriva la “Teoria del pazzo”. Ma ne parliamo un’altra volta.

– Una polemica infinita in Danimarca. Sui risarcimenti a chi si è ammalato recuperando ghiaccio sporco, sulla sovranità nazionale, su il via le basi Usa dalla Danimarca. Sta tutto in un bel film, The Idealist (2015), di Christina Rosendahl. La storia vera di Poul Brink, un giornalista radiofonico, che vuole sapere cosa è successo davvero.

– Una sconferma, rara, per la BBC. Un rapporto dell’Istituto danese per gli studi internazionali, incaricato dal governo di capirci qualcosa, nell’agosto 2009, dice che la bomba mancante non esiste. E che il sottomarino americano, quell’agosto cercava altro.

– Un monumento all’esperienza umana, brutta, di quando hai perso qualcosa che ti è caro cui si aggiunge la sensazione bruttissima che non sai neanche se alla fine l’hai ritrovata oppure no. Schegge, conti che non tornano, frantumi al posto dell’unità. Thule, vista così, non è troppo lontana dal Partito Democratico.

– Alfred “Joe” D’Amario ha volato fino al 1970. Poi ha fatto l’assicuratore e scritto un libro. Vive in Florida, gioca a golf, fa karaoke e viaggia. Non sappiamo che rapporto abbia, adesso, con i cuscini.

Massimo Cirri

Da venticinque anni divide le giornate in tre: psicologo al mattino; conduttore radiofonico (Radio Popolare, poi a Radio2 Rai con Caterpillar) al pomeriggio. La sera, spesso, è impegnato come autore teatrale.